Tirocinanti nei tribunali, ora l'Unione europea promette di vigilare

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 30 Apr 2018 in Notizie

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«La Commissione chiederà allo Stato membro maggiori informazioni al fine di valutare l'entità del fenomeno ed eventuali spese che potrebbero non essere conformi al diritto dell'Unione o al diritto interno». Alla fine la risposta tanto attesa dell’Unione europea è arrivata. Il 25 aprile la commissaria Marianne Thyssen ha dato una risposta non scontata all’interrogazione presentata il 20 febbraio dall’europarlamentare del Movimento 5 stelle, Laura Ferrara.

Una risposta non scontata, si diceva, visti i precedenti. La questione è quella dei tirocinanti della giustizia, le cui sorti la Repubblica degli Stagisti segue fin dal 2010. All’epoca 50 lavoratori romani in cassa integrazione cominciarono un tirocinio negli uffici giudiziari, con un rimborso spese di 400 euro lordi mensili, e con l’obiettivo di aiutare il complesso e rallentato iter all’interno dei tribunali. Un processo che poi fu esteso a tutta Italia, arrivando a coinvolgere migliaia di persone.

Così dal 2010 ad oggi, «Migliaia di tirocini vengono riprogrammati annualmente e svolti dalle stesse persone in vari uffici giudiziari italiani direttamente alle dipendenze del ministero di giustizia o delle regioni, che li finanziano con risorse del Fondo sociale europeo nell’ambito di politiche attive del lavoro», scrive Ferrara nella sua interrogazione. Ricordando che il ministero autorizza i tirocini programmati dalle regioni tramite apposite convenzioni e che «da parte delle regioni è illegittimo continuare a destinare risorse del FSE per formare le stesse persone già formate negli anni». Non solo, l’europarlamentare del Movimento 5 stelle ricorda anche quello che la Repubblica degli stagisti ha più volte raccontato in questi anni: questi tirocini non sono mai sfociati in alcuna forma di contratto di lavoro, «per cui i fondi utilizzati non hanno perseguito alcuna finalità di inserimento/reinseimento lavorativo, ma sono stati utilizzati per mascherare reali rapporti di lavoro».

E come se non bastasse il tutto senza avere alcuna tutela previdenziale o assistenziale tipica dei normali lavoratori. Ma la Commissione «è a conoscenza dell’uso improprio che le regioni italiane fanno delle risorse del Fondo Sociale Europeo?», chiede Ferrara nell’interrogazione. E la risposta, questa volta, fa un passo in avanti rispetto al passato. Perché la commissaria Marianne Thyssen ricorda sì che «la gestione del FSE si basa sul principio della gestione concorrente, quindi gli orientamenti generali vengono elaborati a livello dell’Unione europea, mentre l’attuazione spetta alle competenti autorità nazionali o regionali in ciascuno Stato membro». Come a dire, l’Europa stabilisce le regole generali ma poi sono i singoli stati che devono verificarne l’attuazione. Questa volta, però, la Commissaria aggiunge un tassello importante rispetto al passato, perché scrive che «In relazione al caso in oggetto, la Commissione chiederà allo Stato membro maggiori informazioni al fine di valutare l’entità del fenomeno».

Non solo, alla richiesta se questi tirocini
siano in contrasto con i principi della raccomandazione del marzo 2014, sulla qualità, durata ragionevole e condizioni di lavoro, Thyssen assicura che la Commissione seguirà gli sviluppi della situazione attraverso i riesami del comitato per l’occupazione e il semestre europeo. Se, quindi, nel 2015 la stessa Thyssen scriveva che «i tirocini in oggetto sono stati organizzati in linea con il programma operativo per la Calabria del Fondo sociale europeo e pertanto rispondono agli obiettivi cui erano destinati», quelli di prevenire i rischi di disoccupazione, mentre due mesi fa dichiarava di non essere al corrente «dei tirocini ai quali fa riferimento l’onorevole deputata. Per questo motivo non può valutarne la conformità al quadro di qualità per i tirocini», adesso la stessa Thyssen assicura che vigilerà su questi stage.

Questa è sicuramente una buona notizia per i tanti che in questi anni hanno continuato ad affollare i tribunali senza alcun vero riconoscimento del proprio lavoro. «La risposta della Commissione fa ben sperare rispetto all’uso illegittimo delle risorse del Fondo sociale europeo nell’ambito delle politiche attive del lavoro per finanziare i tirocini formativi negli uffici giudiziari», ha dichiarato l’europarlamentare Ferrara. Che ricorda come proroga dopo proroga, «quello che doveva essere uno stage formativo, la cui durata massima è prevista dalla legge per non oltre 12 mesi, diventa per migliaia di italiani l’ennesima gabbia precaria che cela un rapporto lavorativo a tutti gli effetti».

Ferrara si spinge oltre e dichiara che «non vi è dubbio alcuno che finora con la complicità del Ministero e delle Regioni, in Italia si sia portata avanti una pratica dalla dubbia legittimità». Per i tirocinanti della giustizia, quindi, si potrebbe aprire qualche speranza. Proprio la Thyssen sottolinea che se questi tirocinanti «sono di fatto lavoratori regolari è possibile segnalare eventuali prassi non conformi tramite gli opportuni meccanismi di ricorso disponibili a livello nazionale, tra cui l’azione legale». Ma allo stesso tempo ricorda come il diritto dell’Unione non prevede l’obbligo di trasformare i contratti a tempo determinato in a tempo indeterminato.

Qualcosa di positivo potrebbe aprirsi abbinando il controllo dell’Unione europea a quello del ministero del lavoro, che proprio recentemente ha inserito per la prima volta i tirocini tra gli ambiti di intervento per l’attività di vigilanza dell’ispettorato nazionale del lavoro per il 2018. E se questi controlli venissero fatti anche all’interno dei tribunali e delle corti di appello, probabilmente ci sarebbe molto da “scoprire”.

Nel frattempo un traguardo da festeggiare c’è: l’Europa che fino a due mesi fa non conosceva un programma che finanzia da otto anni, non solo ha scoperto che esiste. Ma ha anche assicurato che vigilerà sul fenomeno. Una richiesta che i tirocinanti della giustizia avanzavano ormai da troppi anni.

 Marianna Lepore

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