Italia nel pieno di un “inverno demografico”, neanche il Covid ha fermato gli espatri

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 15 Nov 2021 in Approfondimenti

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L'Italia sembra vivere un lungo e ormai inesorabile 'inverno demografico'. A ribadirlo ancora una volta è la sedicesima edizione del Rapporto Italiani nel mondo, edito dalla Fondazione Migrantes e presentato nei giorni scorsi a Roma, finalmente in presenza dopo un anno di stop a causa della pandemia. «I nostri territori si stanno spopolando sempre di più» commenta Delfina Licata, sociologa e curatrice dello studio, «dalle zone interne verso i centri urbani, da sud a nord, e dall'Italia verso l'estero».

Ne consegue che l'unica Italia che continua a crescere «è quella che risiede strutturalmente all'estero» conclude lo studio, per lo più composta da giovani.
L’Italia «è oggi uno Stato in cui la popolazione autoctona tramonta inesorabilmente» si legge ancora. E lo stesso vale per la popolazione immigrata, anch'essa ferma «complice la crisi economica, la pandemia, i divari territoriali e l’impossibilità di entrare legalmente».

La popolazione iscritta all'anagrafe estera, l'Aire, risulta aumentata nell'ultimo anno del tre per cento, del 13,6 negli ultimi cinque anni, e dell'82 per cento dal 2006, primo anno di pubblicazione del rapporto. Così, a gennaio 2021, la comunità di residenti all'estero ammontava a quota 5 milioni e 652mila unità, «il 9,5 per cento degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia». Se si considerano anche gli italo-discendenti si raggiunge la cifra di 80 milioni di persone, un insieme la cui «portata umana, culturale e professionale è di valore inestimabile» secondo le parole del messaggio inviato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella all'evento di presentazione.

Si registra così nell'ultimo anno per l'Italia una perdita complessiva di quasi 384mila residenti, mentre l'estero ne guadagna 166mila. A lasciare il Paese «sono i giovani nel pieno della loro vitalità personale e creatività professionale». Una mobilità che riguarda soprattutto chi ha tra i 18 e i 34 anni (42 per cento) e chi tra i 35 e i 49 anni (23 per cento). Il 50 per cento di questi è partito per motivi di espatrio, pur essendovi una larga fetta di residenti all'estero che è tale perché lì è nata: sono quasi il 40 per cento.

Un dato da registrare è infatti anche la maggiore presenza femminile tra gli expat, e lo spostamento di interi nuclei familiari, spesso con figli minori. «A inizio 2021 è ancora più evidente il processo di assottigliamento della differenza di genere iniziato già sedici anni fa quando le connazionali iscritte all’Aire erano il 46,2 per cento» scrivono i ricercatori. Il numero è poi risalito fino «a oltre 2 milioni e 700mila iscrizione» rappresentando il 48,1 per cento del totale Aire. Un processo quello in corso che può ritenersi non solo di «femminilizzazione», ma anche di «familiarizzazione». Partono donne alla ricerca di realizzazione personale e professionale, ma «vi sono anche tanti nuclei familiari con figli al seguito».

Una rete di spostamenti di per sé positiva – se non fosse che non prevede rientro, trasformandosi dunque in una perdita incolmabile. Diventando «strutturale e non circolare come sarebbe invece auspicabile» sottolinea Licata. Neppure la riduzione inevitabile degli espatri dovuta alla pandemia ha veramente posto un freno alle partenze. Il ridimensionamento certo c'è stato, ma ha riguardato «solo le vere partenze, il numero cioè di chi ha materialmente lasciato il Paese per andare all'estero». E che è sceso di 21mila unità nel 2020 rispetto al 2019. Ma le contrazioni più significative sono riferite solo a anziani e minori sotto i dieci anni, soggetti più fragili da mettere al riparo rispetto al rischio rappresentato dalla pandemia.

Chi parte, parte sopratutto per destinazioni vicine: Europa in primis. Il che sarebbe un non problema perché così «i giovani italiani iniziano a sentirsi europei e si crea sempre di più una cultura condivisa» ha sottolineato la giornalista Maria Cuffaro [nella foto sotto] intervenendo alla presentazione. Il nodo si presenta al rientro, quando e se avviene: «I ragazzi si ritrovano con una società cristallizzata, dove vigono metodi e culture di trent'anni fa». E questo «è respingente». Così la via per il futuro continua a essere l'estero, e per superare «la piramide demografica rovesciata in cui ci troviamo ci vorranno intere generazioni».

Ai primi posti come mete continuano a piazzarsi Regno Unito, Germania e Francia, che da soli coprono il 52 per cento delle destinazioni degli espatri.
Supera il Brasile la Svizzera, che segna quest'anno l'ingresso di circa 8.100 connazionali. Una crescita marcata è segnalata infine nel Regno Unito, che presenta un saldo positivo rispetto all'anno precedente con un più 33 per cento di iscrizioni, ancora una volta concentrate nella fascia 18-45 anni (67 per cento). Un dato curioso mettendo in conto la Brexit, ma presto spiegato: «Si tratta della presenza italiana tipica per il Regno Unito» chiariscono i ricercatori della Fondazione Migrantes: «Giovani e giovani adulti, nuclei familiari con minori che la Brexit ha obbligato a far emergere attraverso la procedura di richiesta del settled status». Vale a dire «un permesso di soggiorno a tempo indeterminato per chi può comprovare una residenza continuativa sul territorio inglese da cinque o più anni».

Un ultimo effetto dell'emergenza sanitaria globale sono stati i rientri forzati di chi aveva «un progetto migratorio acerbo unito a un inserimento occupazionale non certo». Tipico il caso di chi era impiegato nel turismo e nella ristorazione. «I dipendenti assunti da poco tempo perché di recente arrivo all’estero o inseriti con contratto a tempo determinato o non regolare, o in nero» è scritto nel rapporto, «non hanno avuto scampo e sono stati falcidiati dall’epidemia». Perdendo il lavoro, «l’unica strada percorribile è stata quella di fare ritorno».

Ilaria Mariotti 

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