Ilaria Mariotti
Scritto il 04 Nov 2020 in Notizie
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Un'Italia impoverita delle «sue forze più giovani e vitali, di capacità e competenze che vengono messe a disposizione di altri Paesi che non solo le valorizzano appena le intercettano, ma ne usufruiscono negli anni migliori». Il quindicesimo Rapporto italiani nel mondo curato dalla sociologa Delfina Licata e edito dalla Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei è stato presentato online – come richiedono i tempi – nei giorni scorsi. E la fotografia è ancora una volta quella di un sempre più giovane e corposo flusso migratorio degli italiani verso l'estero. Migliaia di persone che se ne vanno, mentre da noi, dice a chiare lettere il rapporto, «imperversa un malessere demografico spietato». L'unica parte di un'Italia sempre più spopolata che cresce «è quella che ha messo radici all’estero».
La comunità degli italiani espatriati fuori dai confini nazionali ha raggiunto quota 5,5 milioni di persone.Oltre la metà, vale a dire tre milioni, è residente in Europa; con una crescita rispetto al 2006 – quando di italiani all'estero se ne contavano 3,1 milioni circa – del 76 per cento, che non ha conosciuto pause in questi ultimi tre lustri.
Ma tutti questi emigrati faranno mai rientro? «Di tornare se ne parla poco, sono solo partenze» è la risposta impietosa di Licata. Proprio qui sta uno dei nodi: «La mobilità all'estero è una strada che vorremmo non a senso unico» ha detto il premier Giuseppe Conte prendendo parte alla presentazione del rapporto, la prima volta per un presidente del Consiglio «bensì percorribile in entrambe le direzioni». L'Italia ha bisogno «di chiamare a raccolta le energie migliori tra questi giovani all'estero, offrendo incentivi a rientrare nel Paese, a aggregare talenti per il rilancio delle imprese in particolare nel Mezzogiorno». La mobilità verso l'estero «deve superare il suo essere malata e diventare circolare» gli ha fatto eco Vincenzo Morgante, direttore di TV2000.
A lasciare l'Italia nel 2019 sono stati ufficialmente 131mila cittadini, diretti verso 186 destinazioni del mondo e provenienti da ogni provincia italiana. Di questi circa il 75 per cento è sotto i 50 anni: più nello specifico, il 40 per cento ha tra i 18 e i 34 anni, mentre il 23 ha un'età compresa tra i 35 e i 49 anni. La metà di queste persone ha scelto di partire per ragioni di espatrio. Un altro consistente 35 per cento è invece costituito da nuove nascite di italiani all'estero. Si parla di numeri ufficiali, che risultano dunque al registro Aire – l'anagrafe degli italiani all'estero – a cui sfuggono di converso gli espatriati che non comunicano la propria partenza, malgrado sia obbligatorio per legge farlo.
Il dato più significativo sulla composizione del flusso migratorio italiano verso l'estero è quello anagrafico. La nuova mobilità è formata «sia da nuclei familiari con minori al seguito (più 84 per cento nella classe di età da zero a 18 anni)» si legge, «sia dai giovani e giovani adulti da inserire immediatamente nel mercato del lavoro (più 78 per cento rispetto al 2006 nella classe 19-40 anni)». A decidere di cambiare residenza è insomma la forza lavorativa nei suoi anni migliori, insoddisfatta, come si deduce, dell'offerta che proviene dall'Italia.
L'altro dato è poi che a emigrare non è sempre e solo – o almeno non più – chi ha la laurea. Lo studio «svela un costante errore nella narrazione della mobilità recente» è scritto, «raccontata come quasi esclusivamente formata da altamente qualificati occupati in nicchie di lavoro prestigiose e specialistiche». I cosiddetti "cervelli in fuga". Non è così: tra gli italiani residenti all'estero solo un 29 per cento risulta in possesso di una laurea (dato del 2018). E in più, rispetto al 2006 la percentuale di chi si è spostato all’estero possedendo una laurea o un dottorato è cresciuta del 193 per cento, ma quella di chi aveva in tasca solo un diploma è cresciuta ancor di più, registrando un +292%. All'estero si cerca insomma non solo l'occupazione specialistica, ma anche «lavori generici». Ed è andando fuori dai confini nazionali che «il bisogno di lavoro viene soddisfatto» ha commentato monsignor Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes [nella foto sotto], intervenendo al webinar.
L'analisi evidenzia poi un altro fattore, che è quello della provenienza dell'espatriato. Perché al primo posto in numeri assoluti c'è sempre la Lombardia con oltre 21mila partenze nel 2020, seguita da Sicilia, Lazio e Veneto, che si attestano ognuna sulle circa 10mila partenze. Ma sarebbe un errore considerare l'espatrio come prerogativa del Nord Italia, mette in luce il rapporto. In percentuale «a svuotarsi sono soprattutto i territori già provati da spopolamento, senilizzazione, eventi calamitosi o sfortunate congiunture economiche» spiega il comunicato, ovvero quasi sempre piccoli centro.
Il vero divario non è insomma tra Nord e Sud, ma tra città e aree interne, che sono quelle da cui si scappa di più perché «è qui che regna il malessere» ha segnalato Licata. È il caso per esempio di Castelnuovo di Conza (in provincia di Salerno) che ha fatto registrare un boom di iscrizioni all'Aire segnando un più 478 per cento, seguito da Carrega Ligure (Alessandria) con il più 361 per cento. In terza posizione Castelbottaccio (Campobasso) con una crescita del 269 per cento.
Quanto alle mete, sono aumentati gli spostamenti verso il Regno Unito e la Spagna, rispettivamente saliti del 147 e 242 per cento. Ma mentre si continua a approdare nei Paesi «di vecchia mobilità» come li definisce il rapporto, Germania, Svizzera e Francia, si individuano anche «nuove frontiere» della mobilità: Malta (più 632 per cento), Portogallo (più 399 per cento), Irlanda (più 332 per cento), Norvegia (più 277 per cento) e Finlandia (più 206 per cento).
L'ultimo mito da sfatare riguarda poi le pensioni che finiscono nei conti correnti stranieri, ai connazionali fuori dall'Italia da generazioni, e a cui il rapporto dedica un capitolo. Sbaglia chi crede che siano un buco nero: le pensioni pagate all’estero «rappresentano solo il 2,4 per cento del totale delle prestazioni Inps», ha chiarito il presidente dell'istituto pensionistico Pasquale Tridico all'incontro telematico. Ma il dato da considerare è soprattutto che il saldo tra entrate e uscite è a nostro favore perché a fronte dei soldi in uscita vi sono altrettante pensioni percepite da italiani rientrati dopo anni di lavoro all'estero.
«Il complesso delle pensioni ricevute da Paesi stranieri è pari a 3,5 miliardi di euro» ha precisato Tridico. «Le pensioni verso l'estero ammontano invece «a 466 milioni», determinando «un saldo abbondantemente a nostro vantaggio» frutto di decenni di emigrazione italiana nel Novecento. Un elemento che definisce ancora una volta il nostro come un Paese di emigrati, tanto che si stima che la comunità italiana nel mondo arrivi a raggiungere la cifra «di 80 milioni di persone» ha specificato il premier Conte. Al diritto di migrare deve fare però da contropartita, nelle parole del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, «il diritto di restare, il diritto di tornare, il diritto a una vita felice e dignitosa».
Ilaria Mariotti
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