Ilaria Mariotti
Scritto il 11 Lug 2017 in Notizie
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L'alternanza scuola lavoro include anche servizi di orientamento, non solo formazione in azienda. Ne fa parte Push To Open, «un programma dove aziende, professionisti e istituzioni spiegano e raccontano che cos’è il lavoro e come scegliere l’università in base alle prospettive occupazionali» si legge sul sito della start up Jointly. Un centro che offre servizi di welfare condiviso e che, a tre anni dall'avvio, ha coinvolto 2.500 studenti del penultimo e ultimo anno delle superiori, di cui 1.500 solo nell'ultima tornata. In base a un sondaggio interno «quasi un ragazzo su tre, tra i 15 e 24 anni, è un Neet e il 75% dei ragazzi al termine delle scuole superiori compie le proprie scelte di studi universitari senza conoscere nulla riguardo al lavoro e alle possibilità occupazionali».
L'idea nasce da qui, spiega la ceo di Jointly Francesca Rizzi: «I giovani vanno incontro a un futuro di collaborazioni a partita Iva, o di on demand economy se vogliamo dirlo con un termine che suoni meglio». A loro che devono costruirsi un futuro professionale così complicato viene proposto «un viaggio attraverso un programma di orientamento che li aiuta a scegliere cosa fare al termine della scuola, dopo il diploma». Con una prospettiva di lungo termine, che non si limita «a guardare a subito dopo l'università ma oltre: 16 anni non è un'età troppo giovane per farlo, la pensano così sia i ragazzi che i loro genitori». Gli studenti ricevono così «una cassetta degli attrezzi» aggiunge la Rizzi, «che poi dovranno imparare a usare».
In cosa consiste? Il programma prevede un percorso interattivo, sviluppato per lo più in digitale, che si estende tra ottobre e gennaio di ogni anno con il coinvolgimento di circa 25 aziende. In questa fase si può usufruire delle guide di specialisti dell’orientamento, di consigli di psicologi adolescenziali, del punto di vista di esperti su temi specifici, e anche di testimonianze di under 35 inseriti in azienda. «Abbiamo assistito a dirette online, ricevuto consigli su come parlare e gesticolare durante i colloqui di lavoro e su come mettere in luce le esperienze acquisite» ha raccontato Bianca Bucciarelli, 17 anni, partecipante al progetto.
«C'è una piattaforma online interattiva e suddivisa in canali tematici con contenuti come interviste, lezioni teoriche, simulazione di colloqui, canali per la ricerca del lavoro, proposte di business game provenienti dagli stessi ragazzi» spiega Barbara Demichelis, responsabile della ricerca Universo 18 di Jointly. «Tutto per far capire cosa cerca un'azienda e a cosa ci si deve preparare». Alla fine del percorso un workshop aziendale. Il risultato «è a che a 17 anni si trovano con un bagaglio di conoscenze che di solito si acquisisce non dopo l'università, ma dopo anni di lavoro» ha proseguito Demichelis.
A guadagnarci sono tutti. I ragazzi «che raggiungono così un notevole vantaggio competitivo sui coetanei» ragiona la ricercatrice, e le aziende, che possono «contare su un servizio di welfare aziendale come tale meritevole di agevolazioni fiscali». E anche le scuole, a cui il programma permette di scontare 50 ore di alternanza, un quarto del monte ore previsto dalla legge. «L'alternanza ha creato un sacco di lavoro» commenta Raffaella Massaccesi, preside del Liceo Montale di Roma.
La scuola è uno degli istituti scelti per 'Adotta una classe', una della possibilità nell'ambito di Push to open che consente alle aziende di mettersi in contatto con una determinata classe di diplomandi e farsi conoscere dall'interno. «Una sfida grande» dice ancora la preside, «contando che l'anno prossimo l'alternanza impegnerà più di 1 milione e mezzo di studenti di tutti gli indirizzi». E il problema sono anche le «tante resistenze da vincere: l'impatto sui licei ha scatenato pregiudizi, si assimila l'azienda al profitto e all'economia, qualcosa che sembra stare da tutt'altra parte rispetto alla cultura».
Sace, società assicurativa del gruppo Cassa depositi e prestiti che ha ospitato qualche settimana fa a Roma la presentazione del progetto, ha proposto il servizio ai figli dei dipendenti, includendo poi anche gli amici – «fino a cinque per ognuno» specifica Roberta Marracino, direttrice della Comunicazione. Il compito è «aiutare un paese che vive una situazione meno fortunata di quella che abbiamo avuto noi». Venticinque anni fa, «quando mi sono laureata, era il 1992: anno in cui c'era la crisi economica, la disoccupazione era comunque al 12% come oggi», racconta. «Ma dopo il titolo in un ateneo di periferia di Trieste potevo contare su tre offerte di lavoro: era un altro mondo».
Ilaria Mariotti
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