Lo stage fa concorrenza sleale all'apprendistato, per correggere questa stortura bisogna riformarli entrambi

Scritto il 11 Feb 2021 in Notizie

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Gli stage sono troppi, i contratti di apprendistato troppo pochi. Da questa semplice e incontrovertibile verità è scaturito un lavoro dei Giovani democratici di Milano che vede la luce proprio oggi: una proposta per riformare in maniera combinata la disciplina dello stage e quella dell’apprendistato, appunto, per «spostare l’attuale sacca di sfruttamento e precarietà, che troppo spesso si nasconde dietro il tirocinio extracurriculare, verso un’opportunità di crescita per l’azienda e di sicurezza economica per i giovani lavoratori: l’apprendistato». L’impresa è ovviamente ardua, sopratutto perché l’apprendistato non ha mai avuto grande fortuna. Un vero e proprio mistero, perché sulla carta si tratta di un contratto molto vantaggioso per le aziende, sopratutto perché permette di inquadrare l’apprendista fino a due livelli sotto la categoria (e di conseguenza pagarlo meno) e prevede un’aliquota contributiva agevolata, dunque il datore di lavoro paga molti meno contributi previdenziali del normale: in più, da quando esiste Garanzia Giovani, se si accoglie un giovane in tirocinio e poi lo si assume con contratto di apprendistato si accede a un bonus.

stage lavoroTutto questo non è bastato, negli ultimi anni, a portare l’apprendistato ad essere il contratto “di default” per far entrare i giovani nel mondo del lavoro. E in parte questo insuccesso è da imputarsi alla concorrenza sleale del tirocinio, come la Repubblica degli Stagisti ha più volte notato - tanto da formulare una proposta, già nel 2010, che legasse il numero massimo di tirocinanti ospitabili al numero di apprendisti presenti in azienda (una proposta purtroppo mai attuata da nessuna regione). «Questi due rapporti risultano assolutamente concorrenti per la finalità: formazione ed inserimento lavorativo» si legge nel testo della proposta, presentata al pubblico proprio oggi: «Tuttavia sono molto diversi sul profilo pratico: per il giovane il tirocinio non concede alcuna tutela, mentre nell’apprendistato sono presenti tutte le tutele del contratto di lavoro dipendente; per il datore di lavoro il tirocinio consente molta flessibilità e riduce il costo del lavoro a un semplice rimborso sottopagato, mentre l’apprendistato prefigura un vero e proprio salario e richiede la contribuzione previdenziale, assistenziale e assicurativa per un periodo più lungo».

E dunque ecco la nuova campagna lanciata dai Giovani Democratici di Milano con la collaborazione della pagina Facebook “Lo Stagista Frust(r)ato”, con quattro slogan molto eloquenti: “Meno stage più diritti”, “Meno stage extracurricolari più apprendistati”, “Stop all’abuso degli stage” e “L’apprendistato come vero e unico contratto di formazione”. Va specificato che il focus di questa proposta sta sull’apprendistato cosiddetto “di secondo livello” o “professionalizzante”, che quanto a numeri è il più frequente. Esistono poi l’apprendistato duale di primo livello per il diritto/dovere all’istruzione – in cui l’apprendista alterna giorni a scuola e giorni in azienda – e quello duale di terzo livello per “l’alta formazione e ricerca”, in cui l’apprendista segue lezioni all’università per una parte del tempo e lavora in azienda per l’altra parte; ma questa proposta si concentra sul “professionalizzante”.

«Tutto è iniziato una sera di un anno fa. Con i Giovani Democratici di Milano avevamo ricevuto nei giorni precedenti diverse segnalazioni di brutte esperienze di stage: turnazione di stagisti sulla stessa posizione, mancanza di formazione nel corso dello stage, tutor assenti o indifferenti, promessi di assunzione puntualmente non rispettate…» ripercorre Davide Di Silvestre, 25enne attivista dei Giovani Democratici di Milano alla Repubblica degli Stagisti: «Abbiamo deciso di fare qualcosa, mettendo insieme un gruppo di lavoro senza formalizzarci troppo sull'appartenenza politica. Abbiamo studiato il problema con alcuni focus group, coinvolgendo stagisti ed ex stagisti di tutti i settori, poi ascoltando giuslavoristi, esperti e parti sociali: fondamentale è stato il nostro rapporto con Cgil-Nidil Milano ed alcune federazioni locali di Confartigianato e Confindustria» sulla scorta dei «pochi dati del Ministero del Lavoro e dell'Anpal». Passo successivo: un questionario online «con il quale abbiamo raccolto un migliaio di interviste che ci hanno aiutato molto alla stesura della nostra proposta: capire come e cosa modificare non è stato affatto facile, ma quei dati ci hanno suggerito i punti di maggiore criticità del sistema attuale: la concorrenza tra tirocinio e apprendistato, l'abuso del tirocinio per sostituire normale lavoro subordinato – sostituzioni malattia/maternità, aumento carico di lavoro… – riduzione progressiva dell'efficacia del tirocinio all'aumentare della distanza dal termine della formazione».

stage lavoroDi Silvestre [nella foto qui accanto durante uno degli eventi di preparazione della proposta, insieme a Pietro Galeone e Serena Gerghi] rientra perfettamente nel target di giovani che vivono ogni giorno nell’universo stage: di origini abruzzesi, vive a Legnano e si divide tra il lavoro in banca e l’università Milano-Bicocca, dove studia Finanza. «Una volta raggiunto un testo che risolvesse queste criticità, abbiamo iniziato a contattare le parti politiche che si sono incontrate pubblicamente – anche telematicamente – ad un evento a Milano lo scorso 25 settembre e da quel momento abbiamo limato e modificato la proposta per accogliere i suggerimenti di tutti» continua, ricordando anche il contributo  della Repubblica degli Stagisti: «Alcune delle proposte inserite nella riforma ci sono state suggerite proprio da voi! Come ad esempio il portale online con i dati sul numero di tirocinanti finalizzato a garantire serietà e trasparenza dalla parte di chi offre stage e apprendistato».

Sul versante tirocinio è stata ripescata dai promotori del progetto la proposta di legge a prima firma Massimo Ungaro (ex democratico, ora passato a Italia Viva) ma purtroppo mai calendarizzata in questi due anni e mezzo. «La nostra proposta sul nuovo tirocinio si riconduce alla proposta  Ungaro, attualmente depositata alla Camera dei Deputati, corretta in minima parte per essere integrata alla presente proposta». I tre punti principali sono una drastica riduzione della possibilità di attivare tirocini al di fuori di un percorso formativo-accademico («il tirocinio può essere attivato dagli studenti nell’arco del loro percorso di studi ed entro i 3 mesi successivi al conseguimento del titolo; in caso di conseguimento del titolo durante il periodo di tirocinio non occorrono adempimenti o procedure di riattivazione»), della durata massima – «non superiore ai 3 mesi (o alle 480 ore) nel caso di mansioni manuali o meramente esecutive; non superiore ai 6 mesi (o alle 960 ore) per mansioni di concetto» – e infine l’introduzione di una indennità minima obbligatoria anche per i tirocini configurati come “curricolari”, che oggi ancora possono essere gratuiti: «minimo 350 euro mensili (ciascuna regione può incrementare tale limite) per tirocini di durata superiore a un mese (160 ore); importo adeguato ogni tre anni secondo parametri Istat».

In sostanza la proposta è quella di copiare il modello francese “addolcendolo”: in Francia infatti da molti anni i tirocini extracurricolari sono stati vietati, e dunque si possono fare solo stage curricolari, cioè svolti mentre si sta facendo un percorso formativo formalmente riconosciuto (per esempio si è iscritti a una facoltà universitaria). E questi tirocini curricolari, in Francia, vengono pagati: la cifra viene aggiornata periodicamente, ed è una percentuale dello Smic (il salario minimo in vigore in Francia ormai da settant’anni).

In particolare la prima proposta ridurrebbe drasticamente il numero degli stage – diventerebbe impossibile attivarne per chiunque abbia finito l’ultimo ciclo di formazione da oltre tre mesi, dunque resterebbero davvero strettamente riservati solo ai giovani o tutt’al più a qualche adulto alle prese con una laurea tardiva. La seconda proposta renderebbe molto meno appetibile lo stage per tutte le mansioni che necessitano di una formazione lunga. E la terza proposta taglierebbe le gambe a chi negli stage vede solo un modo per poter disporre di persone senza doverle pagare. La Repubblica degli Stagisti concorda e sostiene in particolare la seconda e la terza proposta.

Sul fronte dell’apprendistato, le misure contenute nella proposta sono molto più numerose e corpose: dalla semplificazione burocratica – digitalizzando «interamente tale procedura attraverso un portale online gestito da una PA da identificare (Inps, Ministero del Lavoro, Anpal, ecc.), con l’obiettivo di guidare l’HR o il piccolo imprenditore in tutte le fasi del percorso di attivazione (tagliando quelle ridondanti tra stato e regioni), oltre ad evitare dubbi interpretativi e gestire attraverso un’unica piattaforma tutte le comunicazioni obbligatorie che il portale manderà automaticamente a valle» – alla riformulazione del vantaggio contributivo, che aumenterebbe con “l’anzianità” («lo sgravio contributivo aumenta all’aumentare della permanenza dell’apprendista presso il datore di lavoro, per disincentivare la rotazione di apprendisti senza rinnovo») all’innalzamento della qualità e pertinenza della formazione obbligatoria durante l’apprendistato («bisogna privilegiare l’obiettivo di garantire l’occupabilità dell’apprendista nel settore in cui opera, fornendo attività formative effettivamente efficaci a tale scopo»), fino alle clausole di stabilizzazione, cioè «norme che disincentivino i datori di lavoro a non convertire alcun apprendistato in tempo indeterminato» come per esempio che «qualora il tasso di conversione degli apprendisti risultasse inferiore al 33%» l’azienda non possa più attivare più di un apprendistato nel corso dei dodici mesi successivi», controbilanciato dalla ipotesi che «qualora lo stesso tasso di conversione risultasse superiore al 80%, la decontribuzione risulterebbe efficace anche per gli apprendisti non convertiti»; e infine «per i datori che negli ultimi 36 mesi hanno attivato 3 o meno apprendistati, qualora il numero di apprendisti non confermati risultasse superiore a 2, la contribuzione a carico dell’azienda sugli apprendisti di nuova attivazione passerebbe dal 11,61% attuale al 20%».

Una ulteriore proposta contenuta nel progetto dei Giovani Democratici di Milano sull’apprendistato è quella di abbassare ulteriormente la retribuzione degli apprendisti, ma solo per i primi mesi: «una retribuzione minima crescente (già previsto in alcuni ccnl): 60% della retribuzione minima per l’inquadramento nei primi 6 mesi, del 70% nei successivi 6 mesi, dell’80% fino alla conversione in contratto a tempo indeterminato».

Ora che succederà? «Entro la fine del mese verrà presentata la nostra proposta sia alla Camera sia al Senato, ma le tempistiche della calendarizzazione e l'iter parlamentare saranno necessariamente influenzati dall'attenzione mediatica che gli verrà rivolta, per questo è fondamentale firmare la petizione sul nostro sito e diffondere il più possibile questa iniziativa».

Ma questo è davvero il momento giusto, in piena pandemia, per prevedere una così radicale riforma di stage e apprendistato? Il rischio è chiaramente quello di contrarre ancor di più il numero di occasioni per i giovani di entrare nel mondo del lavoro. La soluzione proposta è di procedere «in due fasi, con l’obiettivo di non contrarre l’offerta di nuovi inserimenti lavorativi».

«Il Paese sta vivendo una pesantissima crisi sanitaria, economica ed ora anche politica» dice De Silvestri: «Proprio per questo non possiamo pensare di fermarci. Il nuovo governo sarà chiamato a programmare investimenti per più di 200 miliardi di euro: non si può fare un investimento simile senza tenere conto di chi e come dovrà ripagare in futuro l'enorme quantità di debito necessario per finanziarla. Serve un’altra prospettiva, servono più diritti per sostenere chi si dovrà far carico della rinascita e della resilienza del nostro Paese». I politici ascolteranno? «Il 4 febbraio siamo stati auditi sul tema in Commissione Lavoro», il che è già un buon punto di partenza: «Tuttavia serve l'impegno di tutti nel diffondere e firmare la proposta per essere sicuri che questa possa veramente diventare legge e cambiare davvero l'ingresso nel mondo del lavoro della nostra e delle prossime generazioni».

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