Ilaria Mariotti
Scritto il 24 Dic 2018 in Notizie
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Un Paese fermo nell'immobilismo sociale, che non cambia neppure tra le mura scolastiche. «La provenienza familiare influenza ancora moltissimo lo status dei ragazzi» esordisce Mauro Borsarini, presidente di Almadiploma, alla presentazione dell'indagine 2018 sul profilo dei diplomati nei giorni scorsi a Roma.
Dei 292 istituti e 46.500 studenti finiti nel mirino del consorzio si vede come chi ha un'estrazione elevata ha una alta probabilità di proseguire su quel binario, tanto che ad avere entrambi i genitori laureati sono per esempio il 38% dei liceali (al classico si toccano punte oltre il 69%), contro il 15 dei tecnici e il 10 dei percorsi professionali. Ed è proprio nei licei che si riscontrano anche le situazioni familiari più avvantaggiate, con la maggiore frequenza di figli di liberi professionisti, dirigenti e imprenditori, presenti nel 30 per cento dei casi (che diventano addirittura il 50 nei classici).
«Il background culturale e socio-economico è un elemento fondamentale per studiare i percorsi formativi degli studenti» si legge nello studio, che evidenzia anche come la volontà di proseguire negli studi sia forte in chi proviene da contesti più abbienti. Intendono continuare a studiare otto liceali su dieci, mentre al tecnico e ai professionali rispettivamente il quarantatré e il ventidue per cento.
I più ricchi riescono anche di più: «I liceali ottengono voti di diploma più elevati rispetto agli altri, con il massimo dei voti per il 9% di loro, la metà per i tecnici» rileva Almadiploma. Niente di nuovo sotto il sole, si dirà, perché non stupisce certo che i figli delle famiglie più agiate si iscrivano a scuole prestigiose, i licei appunto, per destinarli a carriere appetibili, contro i meno avvantaggiati a riempire invece gli istituti tecnici. E non sorprende nemmeno che, nonostante il generale livello superiore di istruzione, le madri (il 63,5% delle quali diplomate contro il 54,8% dei padri), non ricoprano quasi mai posizioni elevate – solo in meno di un caso su dieci – contro i padri, per cui avviene in un caso su cinque.
A stupire è invece un altro dato: e cioè che i ragazzi ammettono apertamente di essere fortemente influenzati nelle proprie scelte dall'ambito familiare. Finiti i tempi in cui i genitori si contestavano, oggi i figli seguono la strada da loro decisa (per il 61,3%) da mamma e papà, e anche dagli insegnanti (influenti per il 42,1%).
Ancora una volta, la percentuale maggiore di studenti più inclini a seguire i consigli dei genitori si ritrova nei licei, dove l'impronta iniziale della famiglia di origine si avverte a ogni step. Il trend resta però tra tutti i diplomati una volta conseguito il diploma, con diciannovenni che – quando decidono di andare avanti con gli studi, che accade circa per la metà degli studenti di scuola superiore – continuano a ascoltare mamma e papà anche per decidere a quale facoltà iscriversi.
Una influenza che persiste anche sul medio-lungo periodo: «a distanza di cinque anni le figure più rilevanti nella scelta formativa permangono i genitori» conferma lo studio: lo sono – con poche differenze tra i vari rami di studio – per il 70% dei diciannovenni. E anche i docenti pesano molto, con un'influenza del 30%, ancora una volta rilevata in maniera quasi omogenea tra tutti i gruppi. Senza sorprese neppure il piano delle materie universitarie su cui cade la preferenza: quelle scientifiche per un quarto dei maschi, le umanistiche per quasi il 30% delle femmine.
Poca autonomia insomma, nonostante «si osservi un generale aumento della rilevanza dei consigli esterni» sottolinea l'analisi, e il «crescente accesso all’informazione». E – altro elemento di novità – le esperienze all'estero dei diplomati, presenti nel bagaglio di in un diplomato su tre. Il riflesso della medaglia lo si vede con il senno di poi: «Se tornassero ai tempi dell’iscrizione» scrivono gli analisti «il 46% dei diplomati cambierebbe l’indirizzo di studio o la scuola». In seguito si pentono insomma della scelta fatta e una delle ragioni principali per cui, se potessero, cambierebbero percorso è molto pragmatica: «completare studi che preparino meglio all’università e al mondo del lavoro».
Sarà per questo che si dicono soddisfatti – per qualcuno sarà una sorpresa... – delle esperienze di alternanza scuola-lavoro svolte, che per la prima volta li hanno messi in contatto con le aziende. Nel 2018 sono infatti arrivati al diploma di maturità i primi studenti che hanno compiuto l’intero triennio di alternanza scuola-lavoro previsto dalla legge 107/2015. Di loro «la grande maggioranza ha apprezzato lo stage – che è la misura di alternanza più diffusa – per tutti gli aspetti esaminati: chiarezza dei compiti, organizzazione, utilità per la formazione» evidenzia lo studio.
Resta il neo della poca coerenza con gli studi rilevata dagli studenti: quasi la metà dei ragazzi lamenta questo problema. Ma a questo si potrebbe sopperire con «i nuovi percorsi pensati per questi indirizzi per acquisire competenze trasversali» si dice convinto Borsarini, spiegando anche come la probabile scelta del governo di diminuire le ore di alternanza a 150 per i tecnici e 90 per i licei rischi di «far disperdere un patrimonio di percorsi fatti bene e in cui i ragazzi trovano senso». Un passo indietro sul fronte dell'orientamento di cui i ragazzi hanno invece bisogno, e che sarebbe da scongiurare anche per colpire quell'immobilismo sociale riscontrato «su cui la scuola deve fare tanto» auspica Borsarini.
Ilaria Mariotti
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