Aspiranti avvocati, praticantato più breve ma guadagni bassi sopratutto per giovani e donne

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 03 Nov 2017 in Approfondimenti

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Tecnicamente si chiama “tirocinio per l'accesso alle professioni regolamentate”, anche se tutti l'hanno sempre chiamata pratica professionale. In particolare, il periodo di formazione post-laurea per diventare avvocato, oggi chiamato anche tirocinio forense, ha subìto nel tempo delle modifiche, le ultime previste nel decreto ministeriale 70/2016 che sono entrate in vigore a partire dal 1 gennaio 2017.

Cosa è cambiato, quindi, per chi oggi vuole diventare avvocato? Innanzitutto, per chi ha cominciato la pratica a partire dal 6 giugno 2016, è cambiata la durata: se una volta erano necessari 24 mesi presso uno studio legale, adesso ne bastano 18, con almeno 20 ore settimanali (ne riparleremo più avanti).

Poi, superato l’esame e iscritti all’ord
ine professio
nale, comincia la vera battaglia sul campo per un reddito. Perché nonostante la professioni eserciti ancora una certo fascino, negli anni la mole di lavoro è diminuita molto, grazie a varie riforme che hanno portato fuori dai tribunali alcuni procedimenti una volta appannaggio solo degli avvocati, come le separazioni e i divorzi. E complice la necessità di spese per l’uso di software e del processo telematico, oltre all’eliminazione delle tariffe minime, la concorrenza in molti casi è diventata una gara al ribasso.

Basta leggere i numeri: secondo le ultime statistiche pubblicate dal Consiglio Nazionale Forense relative al 2016, il totale nazionale degli iscritti all’albo è di 243.680 soggetti, con il picco di avvocati a Roma, oltre 25mila, seguita da Milano, quasi 19mila, e Napoli, quasi 14mila. Città che possono tranquillamente definirsi “capitali” degli avvocati, visto che al quarto posto c’è Bari, con scarsi 7mila iscritti: la metà della terza in classifica.

Ma la professione conviene ancora? La Cassa Forense, cassa nazionale di previdenza e assistenza degli avvocati, ha provato a dare una risposta con un’analisi molto dettagliata dei numeri dell’avvocatura 2016, che in parte sono positivi: segnano una ripresa, dopo un lungo periodo di contrazione dei redditi. Ma evidenziano gravi disparità: per età, sesso e regioni. Oltre il 54% degli avvocati ha un reddito annuale sotto i 20mila euro, con quasi tre su dieci con poco più di 5mila, e circa l’80% al di sotto della media che è di 38mila euro l’anno. Discriminazione che avviene per età e sesso: se fino a 40 anni il reddito medio è sui 20mila euro annui, con gli uomini oltre i 27mila e le donne ferme sui 15mila, un avvocato uomo tra i 65 e i 69 anni in media guadagna oltre 80mila euro l’anno mentre una collega coetanea poco più di 40mila.

E poi ci sono i ritardi nei pagamenti: principale problema riscontrato dagli avvocati under 40, secondo il rapporto Censis del marzo 2016, seguito dal peso crescente dei costi e adempimenti burocratici. Problemi che riguardano tutte le fasce di età, ma incidono in maniera netta sui redditi dei più giovani.

Per gli avvocati alle prime armi diventa quindi più complicato riuscire ad avere un reddito dignitoso alla fine del mese. Problemi che si aggiungono a quello dell’affollato mercato del lavoro per i legali italiani. Basti pensare che dal 1985, quando gli avvocati erano 48mila, ad oggi, il numero si è quintuplicato, portando l’Italia ad essere il terzo Paese a livello europeo per concentrazione di avvocati con una media di quattro ogni mille abitanti, dopo il Liechtenstein e la Spagna (rispettivamente a sei e cinque). In numeri assoluti il Bel Paese è secondo solo alla Spagna, che ha più di 250mila avvocati.

Una categoria di dimensioni abnormi dunque rispetto agli altri Paesi, con un reddito medio sceso negli ultimi anni: elementi che hanno influito sul numero di iscritti alla facoltà di Giurisprudenza. Tanto che secondo i dati fotografati dall’ufficio anagrafe del Miur e dalla redazione del Sole24Ore nell’anno accademico 2015/16 c’è stato un calo del 35% di iscritti rispetto a quattro anni prima.

Per quelli, però, che non rinunciano a studiare da avvocati, il 2017 ha portato come accennato meno mesi di pratica per l'attuazione di quanto già previsto dal dpr 137/2012 in tema di riforma degli ordinamenti professionali e, più nello specifico, dalla legge 247/2012 in cui è dedicata una sezione a parte, il capo I del titolo IV, al tirocinio professionale.

Dei diciotto mesi di pratica la legge attuale prevede, peraltro, che sei possano essere svolti durante gli studi universitari, quindi ancora prima di aver preso la laurea. Per farlo il primo requisito necessario è quello di essere in regola con gli esami, in particolare con alcuni come diritto civile e penale. Lo studente praticante avvocato dovrà frequentare uno studio professionale per almeno 12 ore settimanali, ma nel frattempo non è esonerato dalla frequenza dei corsi obbligatori universitari. E in più è obbligato anche a seguire i corsi di formazione continua tenuti da ordine e associazioni forensi, al pari di qualsiasi altro avvocato. Punti esplicitati anche nella convenzione quadro firmata tra Consiglio nazionale forense e Conferenza nazionale dei direttori di giurisprudenza e scienze giuridiche nel febbraio 2017. In pratica, quindi, lo studente avvocato tirocinante avrà molto lavoro da fare e molti impegni da dover incastrare nelle 24 ore giornaliere.

Non c'è solo la possibilità di fare una parte della pratica professionale pre laurea. Il decreto ministeriale, infatti, stabilisce anche che sei mesi possano essere fatti all’estero, in un Paese dell’Unione europea presso lo studio di professionisti avente titolo equivalente a quello di avvocato abilitato. Il praticante deve, però, comunicare al Consiglio dell’ordine i contatti del professionista e la sua equivalenza a titolo di avvocato.

Gli aspiranti avvocato possono anche svolgere 12 mesi presso l’Avvocatura dello Stato o fare un periodo formativo presso gli uffici giudiziari e fare gli ultimi sei mesi di pratica presso uno studio. E nel caso del tirocinio presso gli uffici giudiziari la buona notizia è la presenza di un rimborso di 400 euro al mese. Somma che fa gola a molti, tanto che negli ultimi anni il numero di richieste per questo tipo di tirocini è cresciuto. Con la conseguenza che nel 2016 ben 1300 dei 4mila laureati che avevano scelto questa opzione si sono ritrovati senza alcun rimborso.

Non sono solo i numeri sulla professione futura a scoraggiare i giovani a intraprendere questa strada, si aggiungono anche le opinioni di chi oggi l’avvocato lo fa e non sembra avere un giudizio particolarmente positivo sulla fase attraversata dall’avvocatura: secondo l’indagine Censis 2015 quasi l’80% degli intervistati era convinto che si stesse attraversando una forte crisi professionale ed economica con la necessità di ripensare il proprio ruolo. Una situazione ancora lontana dal risolversi: secondo il rapporto annuale sull’avvocatura 2017, infatti, oltre il 78% degli avvocati l’anno scorso ha avuto difficoltà a risparmiare e uno su due ha subito un ridimensionamento delle entrate.

Non servono poi studi statistici per sapere che nonostante l’alto numero di legali, le cause non si risolvono prima, anzi. I tribunali si intasano a causa del numero di procedimenti e all’aumento smisurato della burocrazia che, complici i tre gradi di giudizio, fa sì che solo per avere una sentenza di primo grado i tempi medi di definizione siano 992 giorni.

Sullo sfondo per molti resta, però, la figura dell’avvocato come colui che sa ascoltare, ragionare e mediare seguendo un’etica. Poi nella pratica, complice la rincorsa al guadagno, e l’alta concorrenza, spesso si finisce con ampliare i lati negativi della professione. Che per molti giovani, però, ha ancora un certo fascino.

Marianna Lepore

Foto quadrata in alto a destra: di Morganforuall da Pixabay in modalità Creative Commons

 

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