Dopo l’articolo uscito all'inizio di aprile sul New York Times, la polemica sull’aumento degli stage non retribuiti in Usa si è riaccesa. Il pezzo di Steven Greenhouse, «The unpaid intern, legal or not», raccontava l’attacco nei confronti degli stage (internship in inglese) non retribuiti sferrato da Patricia Smith, di recente nominata dal Senato avvocato generale per lo stato di New York del dipartimento del lavoro statunitense. L’articolo è stato segnalato alla redazione della Repubblica degli Stagisti nelle scorse settimane anche da due lettrici: Ambra Barboni, che attualmente sta effettuando un tirocinio in Usa, e Simona Silva, responsabile dell'ufficio stage della facoltà di Sociologia della Bicocca.
Il quotidiano americano faceva notare che «molti studenti hanno riferito di aver svolto internship con mansioni non formative, anzi, molto "basse"». Basta farsi un giro su qualche sito americano di annunci di lavoro per accorgersi, in effetti, che tutto il mondo è paese: anche negli Usa la quantità di offerte al limite della legalità, complici la crisi economica e una regolamentazione di facile interpretazione, è in costante aumento. La Repubblica degli Stagisti ha contattato un’esperta di problematiche relative ai giovani lavoratori americani, Anya Kamenetz [nella foto], redattrice di Fast Company, magazine americano di economia e marketing. La giovane giornalista, laureata a Yale e candidata al premio Pulitzer nel 2004 a soli 24 anni per la sua rubrica sul Village Voice, e autrice di libri tra cui «Generation debt: why now is a terrible time to be young» (più o meno «Generazione debito: perché adesso è un momento disastroso per essere giovani»), ha risposto spiegando che molte delle offerte di stage estivi presenti su siti come Craiglist «sono quasi sicuramente illegali perché non rispettano le linee guida dettate dal Fair Labor Standards Act».
Di cosa si tratta? Del documento firmato nel 1938 dall’allora presidente americano Roosvelt; un testo più volte emendato che stabilisce, tra le altre cose, l’ammontare del minimo salariale e le regole per il pagamento degli straordinari ai dipendenti. Questa legge federale è supportata dal 2004 dalle linee guida stilate dalla divisione WHD del dipartimento del Lavoro che differenziano chiaramente gli "stagisti-lavoratori" dagli "stagisti-apprendisti". In sostanza, secondo il testo aggiornato nel mese di aprile, i primi devono essere retribuiti con almeno il minimo salariale e, se superano le 40 ore settimanali, devono ricevere anche la retribuzione degli straordinari; gli “stagisti-apprendisti”, invece, possono anche non essere pagati – ma solo se sono presenti precisi requisiti. Lo stage non retribuito – anche se comprende l’effettiva partecipazione alle fasi produttive della società in cui presta servizio – deve riguardare attività a scopo educativo e l’esperienza di formazione deve essere sostanzialmente a favore del giovane lavoratore.
Il documento mira a tutelare anche i dipendenti, affinchè insomma il nuovo arrivato non rubi loro il lavoro: lo stagista non retribuito non deve sovrastare l’attività dei colleghi interni che sono comunque invitati a supervisionare le attività del ragazzo. Il datore di lavoro non può (o quantomeno non potrebbe) trarre vantaggio immediato per il suo business da parte del giovane in formazione: però d’altra parte non ha mai l’obbligo di assumerlo al termine del tirocinio.
Un’altra voce che si unisce con toni più critici alla polemica apparsa sulle pagine del New York Times è quella dell'Economic Policy Institute [qui a fianco l'homepage del sito]. Il 5 aprile, infatti, l’organizzazione nonprofit di Washington che tutela gli interessi dei lavoratori a basso-medio reddito ha presentato un rapporto in cui sostiene che i tirocini non retribuiti rischiano di favorire gli studenti che possono permettersi di lavorare gratis e di non proteggere giuridicamente i tirocinanti da discriminazioni e sfruttamento sul posto di lavoro. Il memorandum politico, firmato da Kathryn Anne Edwards e Alexander Hertel-Fernandez, critica duramente il sistema dei tirocini in Usa e propone un’immediata riforma dell’attuale regolamentazione. Secondo gli autori i punti critici riguardano principalmente la discriminazione dei giovani meno abbienti, lo sfruttamento sul posto di lavoro e la sostituzione di dipendenti con stagisti meno costosi perché non pagati. Una posizione, questa, condivisa anche da diversi giornalisti americani come Drew Kann che nell’editoriale per l’Ajc di Atlanta «Not all college students can afford to take on unpaid internships» scrive che «non tutti gli studenti possono accettare di fare stage estivi non pagati perchè devono pagarsi le tasse universitarie, l’affitto dell’alloggio, etc. A molti, quindi, i tirocini d’estate da usare come opportunità di inserimento nel mondo del lavoro postgraduation sono preclusi».
Insomma, negli States lo status giuridico di “stagista” è al centro del dibattito e chiarire una volta per tutte i confini tra la formazione e il lavoro, in effetti, sarebbe utile. Come del resto anche qui da noi.
Ilaria L. Silvuni
Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
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