Scritto il 13 Nov 2023 in Interviste
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Quando ci svegliamo la mattina, siamo felici di quel che ci aspetta? Del lavoro che faremo per gran parte della nostra giornata? Tutti abbiamo in testa un’idea di quel che ci piace – o ci piacerebbe – fare. Un sogno, a volte addirittura una “vocazione”, come si dice di alcuni mestieri particolari come il medico, o il prete, o l’insegnante. Il lavoro è una attività che occupa la maggior parte del nostro tempo per la maggior parte della nostra vita adulta. Ed è bene quindi che ci faccia sentire bene.
Negli ultimi anni si è parlato molto di “quiet quitting”, sopratutto in riferimento alla generazione Z. Sempre più persone si riconoscono nella filosofia “Yolo” (you only live once, si vive una volta sola) e sono più attente al benessere personale, alla sostenibilità e all'equilibrio tra il tempo dedicato al lavoro e alla vita privata. Oggi quindi a volte non basta avere «un lavoro»: si punta a un nuovo equilibrio che permetta non solo di guadagnare bene, ma anche di vivere bene. E quindi è importante capire «cosa possa e debba significare creare “lavoro di qualità”, lavoro che sappia ricomporre le esigenze di competitività delle imprese con le aspirazioni e i desideri dei singoli», come si legge nel libro “Un bel lavoro”, sottotitolo “Ridare significato e valore a ciò che facciamo”.
L'ospite di questa puntata del podcast è l'autore di questo libro, Alfonso Fuggetta, professore ordinario di Informatica presso il Politecnico di Milano e amministratore delegato e direttore scientifico del centro di ricerca Cefriel.
Il libro delinea dieci grandi temi per costruire la definizione del buon lavoro, il bel lavoro. Mettendosi nei panni di un giovane, Fuggetta è convinto che uno degli aspetti più importanti da considerare sia «la possibilità di imparare», cioè il fatto che l'azienda offra «non soltanto i corsi per la formazione, ma uno stile di lavoro, un ambiente lavorativo in cui sono previste diverse modalità di sviluppo personale».
Peraltro, è raro che una persona sappia fin da giovanissima quali sono di preciso i suoi talenti e le sue inclinazioni professionali: «Quindi provare vari ambiti professionali, o varie mansioni nello stesso ambito professionale, può essere utile» riflette Fuggetta. Senza esagerare, naturalmente, per non finire a fare "job hopping": «Quelli che saltano da un lavoro all'altro troppo frequentemente rischiano poi di disperdere» le proprie energie e la concentrazione, e finire per non riuscire a «costruire qualcosa di solido».
Rispetto al grande tema dello smart working, uno dei fattori del "buon lavoro" specialmente per le nuove generazioni, Fuggetta si orienta verso una modalità "blended": «Durante il lockdown, e non si poteva fare altrimenti, tutto è stato sbilanciato sull'online; però penso che per quasi tutti sia stato un sospiro di sollievo poter tornare anche ad una interazione fisica», perché ci sono «discussioni che non si possono far da remoto. Ha senso anche la fisicità del rapporto diretto, del sorriso, del muoversi nello stesso spazio. Noi siamo esseri sociali, non siamo fatti per interagire con una tastiera e con una matrice di pixel».
Rispetto alle chance occupazionali per i giovani italiani, Fuggetta sottolinea nel libro e nella conversazione podcast che a fronte di tanti giovani senza lavoro, i diplomati ITS o i laureati in ingegneria trovano spesso un'occupazione prima ancora di finire gli studi. Ma c'è un tema di sovraffollamento di alcune università: «Abbiamo bisogno di più poli universitari» afferma Fuggetta, contrastando con decisione la retorica che punta il dito sul numero eccessivo di atenei in Italia: «Ma devono essere centrati sulle materie per cui c'è maggiore richiesta», e contemporaneamente andrebbe fatto «un piano complessivo che dica quante persone formare».
Alfonso Fuggetta discute con la fondatrice della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina anche lo spinoso tema dei salari bassi e dei giovani sottopagati, con una riflessione molto schietta su come sia spesso la pubblica amministrazione a proporre le retribuzioni più basse, per esempio con le gare e gli appalti al massimo ribasso. E allora bisognerebbe pretendere uno «Stato che paga bene, che paga il giusto», e che non sia invece il primo «a generare la compressioni dei salari: se il pubblico iniziasse a spendere in maniera più responsabile i suoi soldi, probabilmente un effetto positivo sul mercato lo si avrebbe». Perché anche alle aziende private arriverebbe un buon esempio che ora manca.
Dal canto loro, le aziende dovrebbero attrezzarsi per considerare la formazione dei dipendenti un investimento strutturale e permanente: «Abbiamo bisogno di aziende più robuste; magari anche di dimensioni non enormi, ma robuste dal punto di vista patrimoniale, culturale e manageriale». Aziende che siano «capaci di innovare e di fare prodotti nuovi».
In chiusura, Fuggetta ricorda che «non tutti gli imprenditori sono sfruttatori» – non a caso Cefriel fa da molti anni parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti – «e oggettivamente noi viviamo anche difficoltà e fatiche che derivano da un contesto che in troppe circostanze non aiuta a creare e gestire lavoro. A me dà fastidio» dice «quando sento da dire che gli imprenditori sono tutti ladri, sfruttatori». Perché «non basta semplicemente che gli imprenditori siano persone perbene, oneste: serve anche un contesto ambientale, un insieme di leggi, di meccanismi che funzionino».
Il buon lavoro, in Italia, c'è: forse non è sotto i riflettori, forse non è facile da trovare, ma esiste. E le imprese che lo offrono, che lo praticano per e con i loro collaboratori e dipendenti, combattono ogni giorno con «un tessuto di norme, regole, leggi, consuetudini che non aiuta, mettiamola così, intraprendere e creare posti di lavoro». Ma con uno sforzo collettivo dello Stato, delle università e del mondo imprenditoriale, un nuovo mondo del lavoro sarebbe possibile: a beneficio di tutti, a cominciare dai giovani.
Non a caso, il consiglio di lettura che Alfonso Fuggetta ha per gli ascoltatori del podcast della Repubblica degli Stagisti è un libro che definisce l'azienda moderna come un'azienda «orientata all'apprendimento continuo»: per sapere di che titolo si tratta, dovrete arrivare in fondo all’episodio! E piccolo spoiler: Fuggetta ha anche un romanzo del cuore da consigliare!
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