Pensionati tartassati? La verità è che sono i giovani i più penalizzati

Paolo Balduzzi

Paolo Balduzzi

Scritto il 28 Nov 2019 in Approfondimenti

Inps pensioni

Chi comincia a lavorare oggi dovrà farlo fino a settantuno anni. È questa una delle conclusioni dell’ “Oecd Pensions at a glance 2019”, l’attesissimo – perlomeno per gli addetti ai lavori – rapporto dell’Ocse sulle pensioni. L’Italia si caratterizza come uno dei paesi dove più bassa è attualmente l’età di pensionamento effettiva ma anche quello in cui, al contrario, i giovani risultano maggiormente penalizzati. Come è possibile quindi che nel nostro paese le ultime riforme in questo campo siano andate esattamente nella direzione opposta, vale a dire quella di congelare l’adeguamento automatico dell’aspettativa di vita e di anticipare il pensionamento con “Quota 100”?

pensioniNon solo: se si guarda a come è distribuita la povertà all’interno della popolazione (dati Istat 2018), si scopre che le famiglie con figli minori sono quelle per cui l’incidenza di povertà assoluta è massima (11,3%, su una media nazionale del 7%); questa poi via via decresce al 10% per la classe 18-34enni e all’8% per la classe 35-64enni; fino ad arrivare al suo minimo (4,5%) tra coloro che hanno più di 65 anni. Dunque in media quelli che più spesso sono i poveri sono i giovani adulti con figli minorenni; quelli che meno spesso sono poveri sono i pensionati. Tuttavia, il leit motiv di politici, di molti sindacalisti e anche di parecchi giornalisti è che le pensioni in Italia sono troppo basse.

Come si spiega questo paradosso? Per capirci davvero qualcosa bisogna scoprire come funzionano le pensioni in Italia,  anche leggendo direttamente le fonti statistiche. I documenti sintetici più utili sono forniti dall’“Osservatorio sulle prestazioni pensionistiche e beneficiari” dell’Inps, dal focus “Condizioni di vita dei pensionati” dell’Istat e dal più impegnativo “Rapporto sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” della Ragioneria Generale dello Stato (RGS).


Una prima importante osservazione è che il totale della spesa pensionistica, quasi 290 miliardi nel 2017, riguarda sia le pensioni previdenziali o cosiddette IVS (Invalidità, Vecchiaia – e anzianità – e Superstiti) sia le pensioni assistenziali. Le prime costituiscono quasi l’80% del totale (il 90% circa in termini di spesa); il diritto a riceverle nasce dall’avere contribuito per un numero sufficiente di anni al sistema pensionistico ed è collegato alla realizzazione di un determinato evento – o rischio, se si guarda al sistema pensionistico come a un meccanismo assicurativo – vale a dire: l’essere troppo vecchi per lavorare, l’avere conseguito un infortunio sul lavoro, l’essere deceduto e aver lasciato un coniuge (o dei figli) “superstite”.

Le pensioni assistenziali, al contrario, hanno un carattere squisitamente redistributivo e vengono percepite da tutti coloro che, al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, non hanno un reddito considerato sufficiente. Si tratta di ex lavoratori che non hanno contribuito per un numero sufficiente di anni al sistema previdenziale (quindici o venti, a seconda della generazione di appartenenza) o di persone che invece mai hanno lavorato, per scelta o per impossibilità (invalidità civile). Rappresentano poco meno del 20% delle pensioni e circa il 10% della spesa pensionistica. Completano le prestazioni erogate dall’Inps le cosiddette pensioni indennitarie (circa il 3% delle prestazioni) e quelle di guerra (circa il 1%): ma si tratta di categorie residuali, che per semplicità si possono tralasciare.

Tra le due categorie principali, sono solo le pensioni IVS a essere finanziate dai contributi previdenziali e che quindi dovrebbero essere propriamente considerate pensioni, mentre le altre si caratterizzano maggiormente come intervento assistenziale tout court. Questa distinzione è estremamente importante, perché, quando si considera il livello delle prestazioni pensionistiche, è evidente che previdenza e assistenza non possono essere considerate come identiche.

Per esempio, l’Inps certifica che al 1° gennaio 2019 ben il 70% delle prestazioni erogate è inferiore ai mille euro. Questo dato è sufficiente a concludere che il 70% dei pensionati si barcamena e a stento vive con meno di mille euro al mese, dopo aver lavorato una vita? La risposta è no. Innanzitutto perché questo 70% contiene anche tutte le pensioni che abbiamo definito assistenziali: sono per definizione trattamenti minimi e che vengono percepiti proprio da chi non ha mai lavorato o ha lavorato molto poco. Ma non basta: perché un conto sono le pensioni erogate e un conto sono i pensionati: un pensionato può avere (legittimamente, sia chiaro) diritto a più pensioni. Per esempio, una vedova può percepire sia la propria pensione da ex lavoratrice sia quella di reversibilità del marito.

Per avere una migliore comprensione dello stato di benessere dei pensionati bisognerebbe quindi osservare la distribuzione del reddito pensionistico, vale a dire della somma delle pensioni percepite da ogni pensionato – con l’aggiunta anche di eventuali redditi da lavoro. Così facendo scopriamo che, per esempio, i pensionati che hanno un reddito pensionistico inferiore ai mille euro sono in realtà il 40% e che altrettanti sono quelli che hanno un reddito compreso tra i mille e i 2mila euro. E sì, questo vuole dire che il 20% dei pensionati percepisce un reddito pensionistico superiore ai 2mila euro mensili. Nel 2017, il reddito medio netto annuale di un pensionato era pari a circa 14.600 euro (pari a 17.900 euro lordi). Facciamoci pure due conti in tasca: chi è il povero, adesso?

Ogni politico che abbia a cuore il benessere della popolazione non può ignorare questo enorme squilibrio generazionale: da un lato, i pensionati hanno un reddito tipicamente ben più generoso rispetto ai contributi versati; dall’altro, i giovani avranno una pensione che al contrario sarà totalmente commisurata ai contributi versati. Una generazione già povera oggi sarà a maggior ragione una generazione più povera domani: quanto bisogna essere ciechi, disinformati o in cattiva fede per ignorare tutto questo?

Paolo Balduzzi

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