Ora lo chef fa tendenza: l’esercito dei giovani che sognano un futuro in cucina

Spazi Inclusi

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Scritto il 01 Set 2014 in Articolo 36

C'è chi sogna di indossare camice e "toque blanche", magari apparire in televisione e “impiattare” raffinatezze di tutti i tipi. Altri invece, i più realisti, firmerebbero per un semplice impiego sicuro da aiuto cuoco, con stipendio a fine mese. È l'esercito sempre più numeroso degli aspiranti cuochi: giovani che decidono di puntare sulla ristorazione per costruire il loro futuro lavorativo.

Secondo un'analisi della Coldiretti, basata sui numeri forniti dal Ministero dell'Istruzione, nell'anno scolastico 2014/2015 quasi 50 mila ragazzi sceglieranno come scuola superiore un istituto professionale dedicato a enogastronomia e ospitalità alberghiera, all'incirca 1 studente su 10
. Un trend che negli ultimi anni ha registrato una crescita esponenziale, dovuta a diversi fattori. In primis, il successo di alcuni programmi televisivi, come Masterchef o Hell's Kitchen, che trasformano i fornelli in set e gli chef in star del piccolo schermo. In secondo luogo, il nuovo slancio che sta vivendo la ristorazione italiana, con la riscoperta dei prodotti tipici e delle ricette tradizionali. Un settore su cui vale la pena di investire, o almeno così la pensa il 
50% degli italiani che, secondo il sondaggio Coldiretti, ritiene che cuoco e agricoltore siano le professioni con la maggiore possibilità di lavoro. Infine, la convinzione che cucinare sia un mestiere "concreto", dove conta più la pratica che la teoria.


La realtà però è diversa: per diventare un cuoco la strada da fare è lunga e servono più nozioni di quanto si possa immaginare. Il punto di partenza standard è l'iscrizione, dopo le scuole medie, ad un istituto professionale per i servizi alberghieri. Il percorso di studi prevede un biennio comune, la qualifica al terzo anno nel settore "Cucina", cui si aggiungono altri due anni per il conseguimento del diploma di maturità. L'alternativa sono i numerosi corsi professionali accreditati, pubblici e privati, che consentono di avvicinarsi gradualmente ai fornelli. Poi ci sono le scuole specializzate, spesso dirette da cuochi famosi, che rilasciano attestati spendibili sul campo ma che, in molti casi, hanno costi proibitivi: un "Corso superiore di cucina italiana" di dieci mesi alla scuola internazionale Alma di Colorno (in provincia di Parma), il cui rettore è il celebre chef Gualtiero Marchesi, costa più di 15 mila euro. Un passo importante è rappresentato poi dagli stage formativi, proposti dalle scuole o accorpati ai corsi: di durata variabile, si possono svolgere in ristoranti, hotel, navi da crociera, insomma dovunque ci sia un ristorante. Per riuscire in questa professione è necessario il talento e un'innata capacità di sperimentare, anche facendo esperienze all'estero, dove ci si confronta con sapori nuovi e si scoprono culture culinarie diverse.

Il percorso, insomma, oltre ad essere lungo e tortuoso, richiede sacrificio e sforzi economici non indifferenti. «Non tutti possono diventare cuochi», ripetono gli chef più esperti, mettendo in guardia l'orda di giovani entusiasti e confortati dai dati sulle possibilità occupazionali. Secondo l'Istat, nel triennio 2011-2013, i cuochi impiegati in alberghi o ristoranti sono stati 207 mila: la maggior parte sono uomini (59%), con contratti da dipendenti (75%) e hanno dai 40 anni in su (60%). Anche le ultime previsioni sulle assunzioni, elaborate dal sistema informativo Excelsior di Unioncamere, confermano le numerose possibilità offerte dal settore della ristorazione (61 mila tra aprile e giugno), anche se in questo caso si tratta perlopiù di contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati per la sola stagione estiva. Ad alimentare la ventata di grande ottimismo è lo studio della US Bureau of Labour Statistics, fra le più accreditate agenzie mondiali specializzate in statistiche ed economia del lavoro, secondo cui nei prossimi cinque anni il cuoco sarà il mestiere più richiesto in assoluto.

Tutto rose e fiori quindi? Non proprio
, Salvatore Bruno, segretario generale della Federazione italiana cuochi, racconta una realtà ben diversa: «L'alta ristorazione è un settore in crisi e i locali rinomati sono quasi tutti in perdita. Si tratta di un comparto assolutamente chiuso, esclusivo, non c'è spazio. Gli chef si mantengono grazie alle consulenze, ai corsi di formazione, certamente non attraverso il fatturato dei loro ristoranti che, anche se di grande qualità, fungono ormai solo da biglietti da visita». Il discorso cambia per la ristorazione senza luccichii. «Un mercato vario, che offre tante possibilità, ma guai a pensare che il cammino sia agevole. Le iscrizioni all'Istituto alberghiero o i corsi specialistici spopolano, ma è altrettanto vero che il tasso d'abbandono è alto: per lavorare in cucina servono passione e tanta pazienza, altrimenti si scappa via». Sul cuoco "mestiere del futuro" il segretario è prudente: «Non sottovaluterei il rischio saturazione: oggi il lavoro c'è, ma la situazione potrebbe cambiare fra qualche anno. Il segreto è provare a inventarsi forme differenti di ristorazione, ad esempio pensare alle tante persone che ogni giorno pranzano fuori casa: bar e tavole calde potrebbero offrire cibo fast, ma di qualità migliore».

Ad attrarre i giovani verso il mondo della cucina sarebbero anche i lauti stipendi
, ma anche in questo caso nulla è regalato: «Un executive chef può anche guadagnare 10 mila euro al mese, ma la mole di lavoro e le responsabilità sono molto pesanti. Il caso più comune è quello del capopartita, un terzo livello, che guadagna dai 1500 ai 2mila euro al mese. Attenzione però: si entra in cucina alle dieci del mattino e se ne esce all'una di notte, con tre ore di pausa. E i fine settimana li si passa tutti al ristorante». Gli aspiranti Carlicracchi sono avvertiti.

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