«Non era questo che sognavo da bambina», un libro racconta l'impatto dei ventenni col mondo del lavoro

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 27 Gen 2022 in Approfondimenti

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«La vita è un sogno? O i sogni aiutano a vivere meglio?» diceva Gigi Marzullo nelle sue interviste tv notturne. Si gioca tutto sul contrasto tra i sogni – professionali e di vita – e la realtà, tra un passato di certezze e un presente precario la storia della giovane stagista protagonista di «Non è questo che sognavo da bambina», scritto da Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio e pubblicato da Garzanti ad agosto dello scorso anno. Le autrici sono originarie rispettivamente di Pescara e Aversa, hanno 27 e 30 anni, ed entrambe una laurea in Lettere Moderne. Si sono conosciute a un master alla scuola Holden di Torino e hanno iniziato a scrivere insieme, per poi spostarsi a Milano per lavoro.

Ida, la protagonista del loro esordio letterario, è neolaureata, anche lei fuorisede a Milano, aspirante sceneggiatrice che finisce a far
e il suo primo stage come social media manager in un’agenzia pubblicitaria per 500 euro al mese. Un racconto che non è autobiografico, ma prende tanti pezzettini di quella che potrebbe essere la vita di tanti di noi: «Diciamo che di autobiografico c’è poco, di vero c’è tutto. Nel senso che il romanzo si è costruito, fin dall’inizio, come una sorta di raccoglitore di tutte le esperienze realmente vissute, non solo da noi, ma anche dai nostri amici e amiche. Rapporti ambigui con i colleghi, stipendi ridicoli, manipolazioni emotive sul posto di lavoro, squilibri di potere, incapacità di instaurare legami sinceri, impossibilità di essere se stessi, frustrazione per non essere riusciti a fare quello che sognavamo: ecco, tutto questo è sicuramente tratto da un storia vera. Ma non solo la nostra», spiega Di Virgilio alla Repubblica degli Stagisti.

L’inizio dello stage alla Metoo, questo il nome dell’agenzia, rappresenta simbolicamente il passaggio da un mondo universitario protetto e fatto di sogni a un ambiente professionale che la protagonista fatica a sentire proprio
e che va di pari passo con una forte crisi sentimentale successiva alla rottura con l’ex storico. La sintesi è la frase della mail inviata a una delle sue amiche di vecchia data, che poi dà il titolo a tutto il libro: «Però fatemelo di’: non è questo che sognavo da bambina. Pensavo che avrei fatto qualcosa di meaningful e disruptive e invece sono finita a dire parole come meaningful e disruptive. Mi resta un’unica gioia, lamentarmi». E la prima parte della vita da stagista di Ida non è infatti proprio memorabile, tra pianti in bagno e piccoli/grandi incidenti di percorso professionali.


«Il contrasto tra passato e presente è stato necessario per far emergere con forza il punto di rottura. È lì che si gioca il trauma dell’impatto con la realtà, nel confronto con quello che c’era prima
». Sullo sfondo, ma neanche tanto, una Milano fatta di aperitivi, ritmi frenetici, «una città che ti spinge sempre a correre e a performare, molto presente all’interno del romanzo, che anche in questo caso deriva dal modo in cui la abitiamo», spiega Sara Canfailla.

Milano in netto contrasto con Pescara (la protagonista del libro “mutua” ad una delle autrici la città d'origine), al cui ritorno a casa durante le feste di Natale è dedicato un capitolo: da un lato l’”immobilismo” di certi affetti e situazioni appare rassicurante rispetto al tumulto di Milano, dall’altro rappresenta la manifestazione concreta di quello a cui non vorrebbe ritornare perché rappresenterebbe un fallimento. «E ho capito che anche se mi mancano e il mare mi piace e anche i miei in fondo mi piacciono…io non ci voglio tornare qua, non è più la mia vita questa, indietro non ci voglio tornare», scrive Ida alla sua amica Gio.

Un rapporto conflittuale molto simile a quello di Jolanda, anche lei pescarese: 
«Sono ancora parecchio in conflitto su questo punto. Oggi sicuramente il rapporto con la mia città d’origine è migliorato, rispetto ai primi tempi in cui sono – letteralmente – fuggita. Tornare mi fa sentire bene, mi dà la sensazione di potermi fermare per un po’: dopotutto l’immagine di Milano come città che ti spinge sempre a correre e a performare è molto presente all’interno del romanzo, e anche in questo caso deriva dal modo in cui la abitiamo. Detto questo, credo che a un certo punto sia necessario prendere una decisione: capire quale luogo vuoi sia la tua casa. O, almeno, per me che ho bisogno di sentire di avere radici, è così
».

Il tema dell’emigrazione al nord per costruire un futuro professionale dunque torna anche qui, anche se privo del contrasto tra la generazione del “posto fisso”, rappresentata di solito dai propri genitori, e quella degli stagisti.


Con il tempo Ida capisce che l’unico modo per sopravvivere alla nuova realtà lavorativa è adattarsi a quei colleghi, a quelle dinamiche lavorative
, in generale a quella “nuova” vita che tanto sembra lontana da lei. 
«Ci vuole un po’ ad abituarsi, e noi abbiamo voluto raccontare proprio quel periodo, il periodo in cui ti adatti, cambi e, più in definitiva, cresci. Con tutte le sue contraddizioni». Da questa ultima affermazione deriva il messaggio chiave di tutto il libro: Ida dopo qualche mese rinuncia al contratto a tempo determinato che di lì a poco l’avrebbe portata all’assunzione per un contratto a tempo determinato presso la Show Factory: attirata dall'annuncio LinkedIn incentrato sulla ricerca di un'autrice, decide di riavvicinarsi, almeno in parte, al mondo dal quale proveniva. Da un lato «si rifiuta di sottostare a un contesto competitivo e alienante», dall’altro si trova a ricoprire sostanzialmente le stesse mansioni. «Credo che la realizzazione del sogno sia sopravvalutata. Il libro vuole mettere in luce questo tema più di ogni altro. Il messaggio è che, anche se la vita che fai non è quella che sognavi da bambina, è quella che potresti volere da adulta. E non c’è alcun problema in questo», conclude Canfailla.


Un messaggio, che, chiariscono le autrici, non è una morale ma intende essere solo uno spunto di riflessione sul percorso, umano e professionale, delle tante Ida che conosciamo e che probabilmente sono anche in noi e nelle nostre scelte.

Chiara Del Priore

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