Chiara Del Priore
Scritto il 26 Feb 2019 in Approfondimenti
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È entrata in vigore dal primo gennaio la nuova Legge di Bilancio, che contiene diverse novità in tema di lavoro, universo giovanile e sostegno alla genitorialità e alla famiglia.
Partiamo da queste ultime. Uno dei provvedimenti che ha fatto discutere di più è l'introduzione della possibilità per le donne in gravidanza di lavorare fino al nono mese, previo ovviamente assenso da parte del ginecologo e del medico competente ai fini della prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro. In questo modo è possibile utilizzare i cinque mesi di astensione obbligatoria dal lavoro interamente dopo il parto. Finora le lavoratrici dipendenti potevano scegliere se prendere due mesi o un mese prima della data presunta del parto e tre o quattro dopo, percependo l’80% della retribuzione (in alcuni casi anche di più, fino al 100%, grazie alla contrattazione di secondo livello).
La disposizione contenuta nella legge di Bilancio riguarda solo le lavoratrici dipendenti; sulla carta dovrebbe avere l’obiettivo di garantire maggiore libertà e flessibilità nell’utilizzo del congedo di maternità. «Si tratta di vera libertà?» si chiede Titti Di Salvo, ex parlamentare e sindacalista esperta di queste tematiche: «È antica la discussione sui confini tra libertà e tutele in generale e, in particolare, nel mondo del lavoro in cui non esiste parità di poteri tra lavoratori e datori di lavoro. In questo caso ci viene in aiuto l'osservazione della realtà. Da un lato già oggi la facoltà di lavorare durante l'ottavo mese di gravidanza con un bambino nella pancia è poco utilizzata e poco autorizzata dai medici nell'ambito del lavoro dipendente, perché di questo stiamo parlando».
Attualmente la stragrande maggioranza delle donne va in maternità nella modalità “standard”, a partire dal settimo mese di gravidanza: secondo i dati che l'Inps ha fornito alla Repubblica degli Stagisti, delle 210mila lavoratrici dipendenti che sono andate in maternità nel 2018 oltre 194mila hanno scelto questa opzione, rispetto alle circa 6.900 che sono andate in congedo dall'ottavo. Solo il 3% delle future mamme dunque sceglie di lavorare di più prima del parto per poter avere più congedo dopo: insomma, la propensione a sospendere il lavoro molto a ridosso del parto è gi bassissima. Pertanto si può ragionevolmente presumere che la percentuale di donne incinte che sceglierà di lavorare non solo all'ottavo mese ma persino al nono sarà, di fatto, pressoché inesistente.
La scelta di arrivare addirittura al nono per la Di Salvo «dipende naturalmente dal tipo di lavoro e dalle condizioni di lavoro, oltre che di salute. In secondo luogo, la nuova norma rischia di essere il manifesto di una maggiore libertà teorica in un mondo del lavoro dipendente ostile alla maternità. In cui la maternità è spesso un ostacolo per entrare nel mondo del lavoro, per progredire nel mondo del lavoro, per non esserne respinta». La strada, secondo la Di Salvo, è differente: «per consentire maggiore libertà alle donne nella scelta della maternità la strada è un'altra: incentivare la condivisione delle responsabilità genitoriali e, dunque, incentivare la presenza dei padri».
A proposito di padri, un altro tema oggetto della manovra è il congedo di paternità, di cui più volte anche la Repubblica degli Stagisti ha parlato, sensibilizzando sull’importanza di un provvedimento che rischiava di scomparire, sul quale anche Titti Di Salvo si era attivata in prima persona, promuovendo una petizione insieme ad altri firmatari per salvarlo e ampliarlo.
«È stato scongiurato il pericolo molto concreto che non venisse rinnovato il congedo di paternità obbligatorio, una misura la cui sperimentazione era finanziata fino al 31 dicembre 2018. Grazie alla petizione popolare promossa a settembre e a un emendamento parzialmente accolto del Partito Democratico, il congedo viene portato a cinque giorni obbligatori più uno in alternativa alla madre, un giorno in più rispetto al 2018, ma solo per il 2019. Un passo avanti positivo, ma insufficiente. In un Paese in crisi di denatalità le misure da prevedere sono tante e riguardano il lavoro e il sostegno economico alle famiglie. Ma su tutte la condivisione delle responsabilità nella cura dei figli è quella più efficace come dimostra il suo impatto nei paesi in cui è prevista. La petizione popolare consegnata al Presidente della Camera e alla Presidente del Senato è arrivata in Parlamento ed è stata iscritta ai lavori della Commissione lavoro della Camera: la richiesta è quella di estendere il congedo obbligatorio di paternità ad almeno 10 giorni. Bisognerà riprendere la mobilitazione per chiedere che venga esaminata dal Parlamento».
Passando alle misure di sostegno all’occupazione giovanile, un’altra novità è rappresentata dal bonus “giovani eccellenze”, che prevede sgravi contributivi per 12 mesi e nel limite di 8mila euro annui per le aziende che assumano nel corso di quest’anno neolaureati under 25 con una laurea magistrale conseguita nei tempi previsti tra il primo gennaio 2018 e il 30 giugno 2019 con voto di 110 e lode e media ponderata di 108/110, e dottori di ricerca sotto i 34 anni che abbiano conseguito il dottorato tra il primo gennaio 2018 e il 30 giugno 2019.
È stato infine prorogato per il 2019 e 2020 il bonus Mezzogiorno per i datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato under 35 o soggetti con almeno 35 anni d’età e privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi.
Però il governo ha dato una sforbiciata ai fondi per l'alternanza scuola lavoro: «La legge di Bilancio 2019 riduce gli stanziamenti per i contratti di apprendistato e l’alternanza scuola-lavoro, stanziando solamente 50 milioni di euro, a fronte dei 125 milioni nel Bilancio 2018» conferma alla Repubblica degli Stagisti l'avvocato Francesco Rotondi, socio fondatore dello studio legale LABLAW: «L’istituto dell’alternanza scuola-lavoro cambia ora nome in “percorsi per le competenze trasversali”, subendo una secca riduzione delle ore destinate alla formazione in azienda» che vengono più che dimezzate nei licei «e, cosa ben più grave, anche negli istituti tecnici e professionali».
Rotondi ritiene che eliminare l’alternanza scuola-lavoro dai requisiti d’accesso per l’esame di maturità «sia un grosso passo indietro rispetto alla precedente normativa: viene infatti intaccato uno strumento di formazione che avrebbe potuto fungere da primo importante canale di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, soprattutto con riguardo alle forme di apprendistato di primo livello in alternanza scuola-lavoro che solo negli ultimi anni hanno ricevuto adeguato slancio, ora di fatto vanificato».
Con Rotondi la Repubblica degli Stagisti ha anche affrontato le novità più rilevanti e più discusse, il reddito di cittadinanza e “Quota 100”, in particolare in rapporto alle ripercussioni sui più giovani. Il reddito di cittadinanza dovrebbe partire dal mese di aprile 2019. Sul tema l'avvocato si mostra abbastanza critico: «Si basa sulla stessa impostazione del reddito di inclusione, non si tratta di una misura di reddito slegato dal lavoro come nei paesi del nord Europa, bensì di un sostegno orientato alla reintroduzione nel mondo del lavoro. Cambia però, e di parecchio, la platea, così come lo stanziamento, che era di poco meno di due miliardi, mentre adesso sarà di circa sei, per una durata massima di 36 mesi, contro i 18 del reddito di inclusione. Per poterlo richiedere resta indispensabile presentare il modello Isee. Questa misura riguarderà circa cinque milioni di persone, che si trovano al di sotto della soglia di povertà assoluta: il 47% dei potenziali beneficiari sarà al Centro-Nord e il 53% al Sud e Isole. Il reddito di cittadinanza» prosegue Rotondi «è vero che è vincolato a una accettazione di un’offerta di lavoro e a un incentivo di tipo economico per le aziende che assumono disoccupati che hanno diritto a ricevere l’indennizzo, ma questo automatismo si fonda su un evidente punto di debolezza: il non funzionamento dei centri per l’impiego, rispetto all’incontro tra domanda e offerto del lavoro ed all’idea velleitaria che 10mila giovani e inesperti navigator possano risolvere, non si capisce bene come, un problema strutturale che attanaglia il paese da decenni».
E “Quota 100”? «Non è una misura per giovani» chiarisce subito Rotondi: «La riforma pensionistica messa in campo dal governo forse libererà dei posti di lavoro, ma non risolverà il mismatch tra offerta formativa e domanda delle imprese. Saranno 20mila in più le uscite dalle industrie nei settore chiave del made in Italy. Si creeranno più opportunità di lavoro, ma non ci saranno abbastanza giovani pronti a coglierle. Manca una formazione in linea con le esigenze dell’industria.». Quali le conseguenze? «Il rischio è di lasciare un vuoto di competenze, fin quando non avremo un sistema educativo che permetterà una rapida professionalizzazione. Non esiste una correlazione esplicita tra l’abbassamento dell’età pensionistica e nuove assunzioni. Ad impedire la staffetta generazionale subentra la mancanza di know-how dei giovani: non ci si inventa una professionalità da un giorno all’altro, occorrono esperienze e conoscenze che il mondo dell’istruzione e della formazione al lavoro hanno il dovere di contribuire a creare».
Resta quindi da attendere un po’ di tempo per capire le effettive conseguenze di questi provvedimenti sul mercato occupazionale, soprattutto per chi vi è presente da meno tempo o vorrebbe entrarvi ma ancora non ne ha avuto modo.
Chiara Del Priore
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