C'è una legge in queste ore al vaglio del Parlamento che prevede un regime fiscale di vantaggio – uno sconto fino a un massimo del 90 per cento dell'Irpef sul reddito da lavoro – per chi dall'estero decide di rientrare in Italia. Non solo ricercatori. A rendere esplicito tale scopo anche il titolo originario del provvedimento, varato nel 2010 come 'Controesodo'. La Repubblica degli Stagisti si è già occupata del tema, e per approfondirlo stavolta ha interpellato alcuni esponenti del mondo del lavoro e della ricerca chiedendo loro un parere nel merito della legge.
Per Eleonora Medda [nella foto a destra], responsabile dell'Inca Cgil in Belgio nonché eletta nel Consiglio generale degli italiani all'estero, «gli incentivi fiscali sono i benvenuti», ma c'è un aspetto poco convincente che riguarda la platea dei beneficiari, nella parte in cui si riserva il taglio delle imposte al 50 per cento ai lavoratori qualificati con laurea. «La stragrande maggioranza di coloro che emigrano oggi non sono più solo figure altamente qualificate, ma anche operai, pizzaioli, artigiani, liberi professionisti».
Se si concepisce il bonus Irpef come agevolazione per «lavoratori altamente qualificati, il risultato sarà che probabilmente ne usufruiranno solo quei cittadini facoltosi 'paperoni' disposti a trasferire la propria residenza in Italia con la possibilità di optare per una tassazione sostitutiva molto vantaggiosa». Il timore di Medda, che sarà venerdì 9 dicembre tra gli ospiti del Meetalents 2016 (l'evento annuale dell'associazione Italents, che quest'anno avrà luogo a Bruxelles - qui il form per iscriversi, l'ingresso è libero!) è insomma che ben pochi ne saranno favoriti e si continuerà invece a «disperdere capitale umano».
D'altro canto, «la legge di Bilancio 2017 prevede tutta una serie di agevolazioni fiscali e finanziarie studiate per attirare investimenti esteri in Italia ma anche incentivi atti a stimolare il rientro di residenti all’estero» ribattono dalla segreteria di Marco Fedi, il deputato Pd tra i promotori della legge. Ed è per questo significato complessivo che Patrizia Fontana [nella foto sotto], head hunter e componente del consiglio direttivo del Forum della meritocrazia, esprime parere favorevole al provvedimento, per cui si è anche personalmente spesa: «Trovo che il 50 per cento sia un'ottima percentuale per attirare i manager all'estero».
La detassazione originaria era in realtà più alta: 70%. «Ma adesso la previsione include anche gli stranieri, purché laureati» controbilancia Fontana. L'informazione è confermata anche dalla segreteria di Fedi (il testo di legge non è ancora stato varato dal Senato, ma è disponibile online una scheda sui contentuti della legge di Bilancio). Inoltre «il procedimento è tutto online», assicura Fontana, il che renderebbe l'iter per la richiesta particolarmente semplice, almeno sulla carta. Niente pasticci burocratici o commercialisti, come invece paventa Medda: «Coloro che hanno avuto o che avranno la possibilità di rientrare dovranno cercarsi un buon commercialista dato il solito pasticcio normativo all’italiana»: il riferimento è a quella modifica dei requisiti in corso d'opera che avvenne dopo l'entrata in vigore della prima versione di Controesodo. La conseguenza fu che chi ne stava beneficiando aveva corso il rischio di perdere il diritto.
Dal mondo della ricerca invece la bocciatura è più netta, nonostante lo scudo fiscale arrivi in questo caso al 90 per cento del guadagno. Anche per come la legge è materialmente scritta. «Ha buoni propositi e potenzialità se abbinata a altre misure strutturali», ma la stroncatura di Stefano Nardone, [nella foto sotto], trentenne napoletano e PhD student a Tel Aviv alla Bar Ilan University, si focalizza sulla definizione delle condizioni di accesso, in particolare il trasferimento della residenza. «Come si fa a dimostrarlo? Tutti quelli che vanno via hanno la residenza in Italia, nessuno la muove». Per spiegare porta a esempio il suo caso: «Io sono stato due anni e mezzo a Londra e quattro e mezzo in Israele, ma risulto ancora residente a Napoli». E non c'è niente di illegale, perché «si tratta di contratti temporanei». Al massimo il trasferimento si fa «per un visto Usa dopo un tot di anni».
A Nardone non converrebbe in ogni caso trasferirsi: «Tramite qualche contatto ho ricevuto una proposta di lavoro in Italia: 24mila euro lordi all'anno. Qui a Tel Aviv ne guadagno 3.500 al mese, netti, per una scholarship per la ditta farmaceutica per cui lavoro, anche se devo pagarmi i contributi». Negli Stati Uniti si arriva a «90mila euro per un incarico medio». Il confronto non regge. «La legge per come è fatta è inutile, è una goccia nell'oceano».
E ancora a monte della retribuzione c'è il problema dei posti disponibili. Per i ricercatori è il lavoro a mancare, quindi è privo di senso emanare una legge che renda la retribuzione esentasse. «Le agevolazioni fiscali si possono applicare se c'è un posto a cui ambire» dice Gabriele D'Uva, 36enne ricercatore all'Irccs di Milano, salito alle cronache per aver scoperto un gene capace di riparare il cuore mentre faceva ricerca a Tel Aviv.
All'estremo opposto di Medda, D'Uva pensa che gli incentivi fiscali dovrebbero essere ancor più mirati: «Bisognerebbe facilitare il rientro di persone con alte potenzialità, che possano in futuro incidere nel mondo della scienza internazionale, chi ha già una posizione all'estero e che ha raggiunto importanti traguardi scientifici» suggerisce. «Una via preferenziale dovrebbe essere destinata a chi ha ottenuto finanziamenti in bandi internazionali: l'aggiudicarsi questi bandi è già prova di qualità». Si tratterebbe di «copiare la ricetta dalle varie eccellenti realtà di ricerca del mondo» perché «ci sono tanti scienziati italiani all'estero che aspettano una opportunità di tornare in Italia e potrebbero fare la differenza». Proprio quelli che questa nuova versione della legge Controesodo si ripropone di attirare.
Ilaria Mariotti
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