Casi eccellenti di donne che sul lavoro ce l'hanno fatta: sono le storie di Cristina Scocchia, 42enne ad di L'Orèal Italia [nella foto sotto], e Patrizia Ravaioli, 50 anni e amministratore dell'Ente strumentale alla Croce Rossa Italiana [nella foto a sinistra], raccontate allo Young Women Leadership Workshop. L'evento è stato organizzato alla Luiss da Mentors4u – programma per il mentoring non-profit – e dedicato al tema della leadership femminile.
Un momento di riflessione su cosa significa in questo paese non solo essere donne lavoratrici, ma leader. «Le donne sono poco rappresentate in posizioni di leadership» spiegano gli organizzatori, perciò «lo scopo è sensibilizzare fin dai banchi universitari le ragazze interessate a avviare una carriera nel mondo dell’azienda, affinché acquisiscano la consapevolezza necessaria».
Punto di partenza il fattore 'diversity', vale a dire quel modo di essere, la peculiarità che le donne portano all'interno delle organizzazioni, il proprio stile. Che non deve sfociare nello stereotipo ma caratterizzare la persona. A esemplificarlo il racconto della Scocchia: «Non mi chiedo mai se il mio team sia composto da uomini o donne» ha spiegato alla platea di universitarie, «ma che tipi di persone siano, se aggressive, capaci di imporsi o invece più collaborative». La questione centrale non deve essere il genere ma la diversità che apporta il singolo: «Mi sentirò meglio quando smetteremo di parlare di leadership femminile o maschile».
Il concetto è più facilmente applicabile all'estero, dove la Scocchia ha lavorato per anni: «C'è una differenza enorme con l'Italia. Mi sono resta conto di essere donna quando sono rientrata». Alla Procter&Gamble, che l'ha tenuta negli Stati Uniti per 13 anni, «io ero una manager che sapeva fare alcune cose bene e altre meno bene», senza nessun peso per il genere. Da noi invece permane il pregiudizio, per cui ormai neppure ci si offende più «se si viene scambiati per la segretaria del capo in quanto donna». Oppure se vai a un congresso e ti chiamano «'signora', e agli uomini invece si dice 'dottori'».
In più da noi lo scotto da pagare è che come tali «bisogna sempre essere piacenti e allo stesso tempo ragazzine perché si continua a dare molto peso alla bellezza femminile». Senza contare che si «lavora come muli se si è anche madri».
Diverso il punto di vista della Ravaioli, che amplia il suo sguardo oltre i confini del mondo occidentale: «Ci sono paesi» ha detto, «che hanno ancora restrizioni legali per le donne, che non possono mai assumere posizioni apicali. Ho per esempio gestito convegni in Pakistan e in Iraq, e non è stato per niente facile».
Al centro del dibattito una delle misure che più sta prendendo piede per agevolare l'inclusione femminile sul lavoro: lo smartworking. Per la Scocchia «un'opportunità di conciliazione e anche uno strumento culturale». In L'Orèal si applica oggi quattro giorni al mese. Ma per evitare di sconfinare negli stereotipi di genere, «è aperto a tutti i dipendenti, altrimenti il rischio è pensare che della casa debbano sempre occuparsi le donne». E «ha funzionato bene».
L'auspicio della Ravaioli è che «si radichi anche nel pubblico e non solo nel privato». Perché è il modo di approcciare al lavoro che deve cambiare. Proprio a livello culturale: «È stato fatto un test negli Usa chiedendo di correre davanti a una telecamera come un uomo o come una donna» ha raccontato la Scocchia. «I ventenni lo facevano atteggiandosi secondo i canoni che di solito si attribuiscono all'uno o all'altro sesso, tutto il contrario dei bambini di dieci anni, che invece non hanno ancora in mente certi preconcetti». È il famoso video “Like a girl”, che ha milioni di visualizzazioni e che veicola il messaggio che definire una azione “da ragazza” (noi in italiano diremmo “da femminuccia”) deve smettere di avere un connotato dispregiativo e diminutivo.
Potremmo avere un futuro diverso insomma, ma molto resta da fare. Perché i diritti acquisiti che consideriamo scontati non lo sono più se si pensa, come ha ricordato la Ravaioli, che «secondo una ricerca molte migranti abbandonano l'università per dedicarsi alla vita da casalinga, e che si praticano ancora mutilazioni genitali nel nostro Paese». Serve concentrarsi anche su aspetti come l'inclusione sociale per eliminare le barriere.
Il consiglio per riuscire in una carriera manageriale ma non solo è allora di «provarci con coraggio e determinazione» ha ribadito la Scocchia, non puntando solo «sui lavori di moda o che danno chance più alte perché la vita non è solo razionalità. Meglio guardarsi dentro senza lasciarsi fermare dalle difficoltà tra punto di partenza e punto di arrivo». Senza «mai scendere a compromessi con quello che si è: conta essere persone trasparenti, oneste e generose, più di quello che si guadagna». Per la Ravaioli «va interrogata la pancia e sentire quello che dice: perché poi ci si deve guardare allo specchio e piacersi». Parole simili a quelle della coach della Wise Growth Consulting Maria Cristina Bombelli: «Si deve costruire un'identità e trovare quell'angolo di felicità dove il tempo passa perché si lavora con passione».
Ilaria Mariotti
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