Vita dura per gli studenti che lavorano e i lavoratori che studiano: alle università mancano fondi e organizzazione

Marta Latini

Marta Latini

Scritto il 27 Apr 2014 in Approfondimenti

Quanto costa essere uno studente universitario? Le voci di spesa non sono poche: tasse, materiale didattico, eventuali trasferte o alloggi fuori sede, vitto. La risposta dunque è una: parecchio. Tra le modalità per affrontare questi costi, oltre a quella usuale di chiedere aiuto ai genitori, vi è anche la possibilità di trovarsi un lavoro con l’obiettivo di rendersi autonomi: diventando lavoratori studenti.
I lavoratori studenti, secondo l’articolo 10 dello Statuto dei lavoratori, «hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali». Inoltre possono «fruire di permessi giornalieri retribuiti. Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie». Tuttavia c’è, al contempo, l’altro lato della medaglia: è naturale che l’impegno in un’attività parallela allo studio possa rosicchiare un po’ di tempo alle prestazioni accademiche e spostare in avanti l’agognato conseguimento del titolo.
Per analizzare questi e altri aspetti la Repubblica degli Stagisti, dopo aver interpellato per due volte il Miur - che sorprendentemente dice di non avere dati in proposito - ha analizzato le elaborazioni fornite da AlmaLaurea, in base all’indagine 2013 sui profili dei laureati 2012. Però, è bene sottolinearlo, tale indagine riguarda i 63 atenei italiani aderenti al consorzio Almalaurea e non l’intero campionario nazionale. A compilare il questionario sono stati comunque più di 208mila laureati nel 2012, di cui quasi 18mila lavoratori studenti, vale a dire, stando alla definizione della stessa AlmaLaurea, «i laureati che hanno dichiarato di aver svolto attività lavorative continuative a tempo pieno per almeno la metà della durata degli studi, sia nel periodo delle lezioni universitarie sia al di fuori delle lezioni».
Il primo dato da mettere in evidenza è appunto il “rovescio della medaglia” sottolineato all’inizio: che prezzo bisogna pagare, in termini di tempo, per essere lavoratore studente?
Il 29,7% si laurea in corso e circa il 24% oltre il quinto anno fuori corso, con una durata media degli studi che supera di poco i sei anni e un’età media alla laurea intorno ai 34 anni compiuti. L’indice di ritardo (cioè il rapporto tra il ritardo alla laurea e la durata legale del corso di laurea) è piuttosto eloquente: per gli studenti senza alcuna esperienza di lavoro raggiunge lo 0,24%, mentre si attesta intorno allo 0,44% per gli studenti lavoratori che - diversamente dai lavoratori studenti - hanno compiuto esperienze di lavoro nel corso degli studi universitari (ad esempio la sera, la domenica o d’estate) ma che frequentano regolarmente le lezioni.
Invece il lavoratore studente ci impiega molto di più rispetto agli altri, con un indice di ritardo dello 0,94%; un bilancio questo che comunque deve tener presente che molte persone si immatricolano dopo i 19 anni, in misura sensibilmente maggiore rispetto a qualche tempo fa. E occorre considerare anche che la situazione non è, ovviamente, omogenea a livello nazionale. Gli studenti che lavorano in modo continuativo sono prevalenti al nord (38,1%), rispetto al centro (33,1%) e al sud (28,8%), in confronto al quale si riscontra un differenziale di quasi dieci punti percentuali. «I ragazzi che vengono dal sud provengono dalle famiglie probabilmente più favorite, quelle nelle quali non c’è bisogno di lavorare per mantenersi agli studi» spiega alla Repubblica degli Stagisti Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea: «Tuttavia potrebbe anche essere dovuto al fatto che è difficile per i lavoratori studenti del sud trovare una qualche occupazione».
Molteplici sono le chiavi di lettura da adottare per interpretare la diminuzione progressiva del numero di studenti con esperienze di lavoro, in modo particolare dei lavoratori studenti a partire dal 2009 (18.065), fino alle cifre attuali menzionate in apertura (17.773). Come evidenzia il professor Cammelli «l’esplosione della crisi economica ha selezionato in modo rilevante l’iscrizione all’università dei giovani»; per cui, in sostanza, il calo del numero dei lavoratori studenti è un sottoinsieme della crisi delle immatricolazioni che, dopo il boom nel periodo immediatamente successivo alla riforma del 2000, tra il 2003 e il 2011 ha raggiunto il 17%.
La crisi ha inciso anche sulla natura dei lavori svolti dagli universitari. Così mentre quelli a tempo pieno e a tempo parziale sono andati scemando dal 2010 al 2012, circa il 38% degli studenti ha svolto lavori di natura occasionale o saltuaria. «Qui entrano in gioco le difficoltà del mercato del lavoro» spiega Silvia Ghiselli, responsabile dell’Indagine sulla condizione occupazionale di AlmaLaurea: «Meno opportunità di lavoro e quindi meno di possibilità di fare lavoretti che sostengono gli studi universitari».
Tuttavia in un contesto del genere - a cui si somma il calo demografico e il ridotto interesse dei giovani per la laurea a causa della sua presunta inutilità - le condizioni della famiglia d’origine svolgono un ruolo determinante, come dimostra il fatto che il questionario registra la presenza crescente, a partire dal 2004, di studenti che non lavorano, con la conseguenza che «c’è una selezione sociale molto forte, la popolazione sta cambiando i propri punti di partenza e si iscrivono all’università persone che vengono da classi sociali sempre più favorite» riassume Cammelli.
Inoltre «tanti ragazzi che vengono dalle famiglie meno favorite, se manca il terreno del diritto allo studio che serva a selezionare i ragazzi migliori, devono abbandonare gli studi oppure rinunciare a iscriversi» aggiunge Silvia Ghiselli.
Secondo i dati di AlmaLaurea nel 2012 hanno usufruito del servizio di borse di studio il 12,8 % dei lavoratori studenti e il 23,3% degli studenti lavoratori. Nel sistema del diritto allo studio non ci sono differenze tra lavoratori e non lavoratori: possono ricevere borse di studio gli studenti idonei, sulla base di parametri economici e di merito, stabiliti dal dpcm del 9 aprile 2001 (articoli 5 e 6), spiega alla Repubblica degli stagisti Mario Nobile, responsabile nazionale del diritto allo studio di Link-Coordinamento universitario.
In Italia il diritto allo studio conta sui fondi che vengono erogati dallo Stato, sulle risorse proprie delle Regioni e sulla parte, ormai maggioritaria, derivante dalla contribuzione studentesca tanto che «paradossalmente ormai il diritto allo studio è finanziato dagli studenti stessi» conclude Nobile. Il suo sindacato universitario, per quanto riguarda gli studenti con esperienza di lavoro, piuttosto che con quella dei lavoratori studenti (persone in molti casi più grandi e che non vivono a tempo pieno l’attività universitaria) entra in contatto con quella degli studenti lavoratori.
«Per l’assenza di fondi al diritto allo studio e di borse di studio gli studenti sono costretti a reinventarsi studenti lavoratori, precari nella maggior parte dei casi, in nero per un’altra buona fetta e in una minima parte regolarmente contrattualizzati» puntualizza il responsabile al diritto allo studio «La borsa di studio la riceve ormai chi sta a livelli imponibili Isee molto bassi, tra i 4 e i 7mila euro. Noi abbiamo calcolato che servirebbero intorno ai 400-450 milioni di euro per avere una copertura totale delle borse di studio. L’Italia è l’unico paese che contempla la figura dell’ “idoneo non beneficiario”, lo studente che non riceve la borsa non per demerito suo ma perché non ci sono i soldi».
Ma i problemi sono presenti anche su un altro versante: «La categoria dello studente lavoratore ha difficoltà a seguire i corsi, in particolar modo i corsi a frequenza obbligatoria. Inoltre le biblioteche o le aule studio, al contrario di quanto avviene negli altri paesi esteri in cui sono aperte fino a tarda serata, hanno orari non compatibili con i classici orari di lavoro». Quindi oltre ai disagi economici - legati alla fragile politica al diritto allo studio - ci sono anche quelli pratici, relativi soprattutto ai servizi che l’ateneo offre, come la segreteria didattica o i tutorati. E la conseguenza è che a perderci sono gli studenti, siano essi lavoratori studenti o studenti lavoratori, che spesso devono abbandonare ciò che non possono permettersi. Anche se la vera sconfitta è quella dell’università e dell'istruzione. E quindi del Paese.


Marta Latini


La prima foto è di lifeisfoo (Flickr Modalità Creative Commons)
La seconda foto è di Ivan Crivellaro (Flickr Modalità Creative Commons)

Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all’osso
- Laureati italiani, dati pessimi. Il ministro Giannini: «Lo studio torni strumento di riscatto»
- Campania, spariti i soldi destinati alle borse di studio: l’Unione degli universitari fa ricorso alla Corte dei conti

E anche:
- Prestiti d’onore, bassissimi anche nel 2013 i finanziamenti agli studenti
- Le 150 ore per il diritto allo studio: una lotta sindacale degli anni Settanta che oggi andrebbe rispolverata

Community