Essere pagata adeguatamente e non sovraccaricata di lavoro, le aspirazioni de “La lavoratrice”

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 01 Giu 2022 in Approfondimenti

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La protagonista del romanzo “La lavoratrice” della scrittrice spagnola Elvira Navarro, Elisa Núñez, fa la correttrice di bozze in una casa editrice. Oberata di scadenze e costretta a insistere in continuazione per venire pagata per il suo lavoro – «Mi devono saldare quindici fatture» è una riga fulminante e tristemente, perfettamente verosimile – prima dipendente e poi declassata a collaboratrice esterna per costare (ancora) di meno all’azienda, a causa delle ristrettezze economiche si trova costretta a subaffittare una stanza. Un amico si prodiga per trovarle una coinquilina, ed è così che nel suo appartamento di Madrid sbarca la quarantaquattrenne Susana, con un passato opaco e travagliato e velleità artistiche.

stage lavoroIl libro però non è incentrato sul tema del precariato o della insoddisfazione/realizzazione professionale; piuttosto è una immersione in una anzi due menti poco convenzionali, che flirtano con la follia e la paranoia. Ciascuno dei personaggi è rinchiuso in un mondo tutto suo, in cui la realtà si intreccia in continuazione con il sogno e l’allucinazione, in cui gli psicofarmaci servono per riprendere – almeno un poco – le briglie della mente.

A un certo punto lo psichiatra di Elisa le dà un compito: descrivere la sua routine di lavoro – o come la protagonista dice, il suo “autosfruttamento lavorativo”. Quel che ne esce è una pagina che certamente parla a un’intera generazione di giovani freelance, più o meno sfruttati, più o meno sottopagati, perennemente nell’ansia del precariato, incagliati in una quotidianità in cui la vita offline e quella online si mischiano e in cui la perdita di tempo è un elemento costante, ineludibile, tanto che  le «cinque ore di lavoro la mattina» sono «sfruttate soltanto a metà» da Elisa «perché apro diversi giornali, Facebook, blog, e inoltre guardo le fotografie su Google, e a tal proposito faccio qualcosa che mi diverte molto, ovvero scoprire che ne è stato dei miei vecchi compagni di scuola, o di persone che ho conosciuto un’estate e che non ho mai più rivisto. Non lo faccio tutti i giorni, ma se mi ci metto posso passare ore a setacciare tratti di biografie che in realtà non dicono mai nulla di rilevante e che non mi interessano particolarmente».

Per eseguire il compito del dottore
però – «Che importava allo psichiatra in cosa perdevo tempo?» –  la protagonista opta «per il modello scheda»:

Cosa dai: Cinque ore di mattina con troppe interruzioni. Scarsa dedizione. Se il libro è un saggio a volte imparo qualcosa. Mi soddisfa il lavoro ben fatto. Allo stesso tempo, penso che non mi paghino adeguatamente e lo faccio peggio. Nel pomeriggio non arrivo a più di quattro ore, a meno che non abbia una consegna in vista, ma sto fino alle nove, o alle dieci (e a volte di più), davanti allo schermo. Mi permetto di perdere molto tempo perché in questo modo occupo tutta la giornata e non mi angoscio. E poi mi sono abituata così. Non ho nulla di meglio da fare.
Cosa ricevi: Mi devono saldare quindici fatture. Mi pagano i lavori urgenti. Mi danno qualsiasi tipo di manoscritto da correggere. Non so quando smetteranno di contare su di me. Essendo freelance, nemmeno loro si sentono in dovere di darmi spiegazioni. Il fisco mi tratta come se io avessi un’impresa, ma in pratica non sono altro che la lavoratrice esterna di un grande gruppo editoriale che non mi assumerà mai più.
Cosa ti aspetti: Sono scettica e mi aspetto poco. Vorrei che mi pagassero quanto mi devono, che aumentassero le tariffe per la correzione delle bozze, che non mi sovraccaricassero di lavoro, vorrei inoltre, per il numero di ore che passo a correggere (sono molte anche se perdo tempo) potermi permettere tranquillamente un appartamento per me sola in centro, avere un mese di vacanze e non provare disappunto e dover ricorrere a mio padre ogni volta che mi si rompono le lenti degli occhiali. Suppongo che dovrei essere un’imprenditrice, come dicono i manuali dei corsi per lavoratori autonomi che ho seguito, ma ora sono troppo depressa e scoraggiata.
Come mi organizzo: Ovviamente, malissimo.”


Il libro, pubblicato per la prima volta nel 2014 e arrivato in Italia nel 2019 grazie alla piccola casa editrice pugliese Liberaria con una bellissima copertina e la traduzione dallo spagnolo di Sara Papini, non è a dir la verità per tutti. Lo stile di scrittura di Elvira Navarro (che oggi, per puro caso, ha esattamente l’età del suo personaggio Susana) è ridondante di dettagli ma al contempo anche asettico, e sconfina talvolta perfino nel nonsense. E una buona metà del romanzo, specialmente la prima quarantina di pagine – incentrata su un racconto in flashback di un periodo particolarmente buio della vita di Susana, in un turbine di incontri occasionali volti a soddisfare la sua fantasia di menofilìa – assomiglia molto a un delirio.

Ma più si va avanti più la storia acquista un senso che a tratti, come nel passaggio citato sopra, esce dal binario personale della vicenda privata e peculiare per diventare (riottoso) manifesto di una generazione senza più punti di riferimento. Forse non a caso Elisa è descritta come sola al mondo, senza partner né genitori né fratelli né figli intorno, e il suo incontro con Susana – un po’ più avanti con l’età, ma ugualmente squinternata – è lo scontro di due solitudini. La malattia mentale «che Navarro è bravissima a raccontare», scrive la giornalista Simonetta Sciandivasci nella breve introduzione, è la «conseguenza inevitabile di un preciso modo di fare le cose, di vivere, di lavorare, insomma di tutto un tempo: il nostro. L’inappetenza e, di contro, la bulimia sessuale; la perversione, l’ossessione, l’ansia, la depressione, il burn out».  Riassumendo così il senso del libro: «Un cammino di liberazione dalle convenzioni, per vedere cosa c’è sotto, e se siamo all’altezza di sopportarlo».

Il titolo stesso
così netto e improbabile, in definitiva così fuorviante, dato che la storia non è incentrata sul lavoro, perché Elisa non è una lavoratrice se non tangenzialmente – racconta una realtà contemporanea in cui i giovani sono spesso definiti da ciò che fanno... anche se ciò che fanno è, in molti casi, indefinito.

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