«Freelance vessati dal fisco ed esclusi dai provvedimenti di Renzi», l'attacco di Acta

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 24 Set 2014 in Articolo 36

Si parla moltissimo in questi giorni di lavoro: di riforme, di lotta al precariato, e sopratutto di eliminazione dell'articolo 18. Ma c'è una categoria che l'articolo 18 non l'ha mai visto, così come tutte le tutele e le garanzie dei subordinati: e cioè i lavoratori autonomi, i cosiddetti freelance. L'associazione Acta da 10 anni si occupa di rappresentarne le istanze.

Anna Soru, come presidente di Acta come giudica questi primi mesi di governo Renzi? Rilevate una attenzione maggiore verso l'universo dei freelance, rispetto ai governi precedenti?

Direi proprio di no. Finora su tutti i principali provvedimenti siamo esclusi. Siamo esclusi dal Jobs Act, dagli 80 euro: finora tutti i provvedimenti sono tarati sul lavoro dipendente. Forse qualcosa ci potrebbe essere nella delega fiscale, ma è ancora presto per dirlo, siamo ancora alle bozze. Non mi sembra comunque che siamo nei pensieri del governo.

Oggi molti freelance si avvalgono dei "regime dei minimi", molto conveniente a livello fiscale. Voi però ne denunciate l'inadeguatezza. In cosa consistono i vantaggi di questo regime e le vostre contestazioni?
Noi contestiamo parecchie cose di questo "regime dei minimi". Innanzitutto il fatto che sia rivolto essenzialmente a chi avvia un'attività. Legare l'agevolazione soltanto all'avvio non ha molto senso anche perché, se aprire una impresa comporta solitamente importanti costi di avvio, per un lavoratore autonomo l'avvio dell'attività non comporta particolari investimenti, e poi il lavoro magari va a ondate, a seconda delle committenze che arrivano. A me sembrerebbe più utile, insomma, incentivare con continuità - e non solo in fase di avvio - una attività, quella autonoma, che è intrinsecamente più rischiosa rispetto a un'attività dipendente. Il secondo punto che contestiamo è l'applicazione, per il regime dei minimi, della aliquota secca, che paradossalmente risulta più vantaggiosa quanto più il reddito si avvicina al tetto massimo. Il che ovviamente disincentiva la crescita - perché se uno fa 30mila di reddito imponibile, non è incentivato a farne di più. Mi sembra assurdo, specialmente in un momento storico come questo, porre un freno alla crescita! So che nella delega fiscale è prevista la revisione del regime dei minimi, secondo alcune voci potrebbe passare a 60mila euro di reddito imponibile, in ossequio ad alcune normative europee. A quel punto il regime dei minimi potrebbe andare a interessare davvero una platea estesa di lavoratori autonomi. E certo non si può pensare a un'aliquota fissa del 5%, totalmente irrealistica. Proprio per evitare l'effetto scoraggiamento, si potrebbe pensare a una aliquota progressiva, che potrebbe essere molto bassa - anche meno del 5% - per chi ha redditi molto bassi: se una persona ha un reddito di 500 euro al mese dovrebbe essere esentata dal pagare tasse, punto e basta. L'aliquota dovrebbe progredire col progredire del reddito, fino ad avvicinarsi il più possibile all'aliquota poi in vigore al di sopra del tetto massimo. Questo, ripeto, anche per evitare che se un lavoratore autonomo è lì appena sotto, non si fermi per evitare di dover pagare di più. Avere un'aliquota proporzionale al reddito significherebbe avvicinarsi a quella che dovrebbe essere anche la ratio del nostro sistema fiscale.

E della Costituzione, peraltro. Se il governo Renzi ascoltasse Acta, nella prossima legge sugli obblighi fiscali dei freelance quali punti dovrebbe tenere in considerazione?
Sicuramente il fatto che noi abbiamo un carico fiscale eccessivo, sopratutto se unito a quello contributivo. Per noi che afferiamo alla gestione separata dell'Inps, ma anche per commercianti e artigiani, parliamo di una tassazione superiore al
50%. Si replica sempre che noi siamo evasori: questa presunzione di evasione è la cosa più antipatica e ingiusta.

Anche se è complesso da capire, esistono delle differenze tra chi fa il freelance essendo iscritto a un Ordine professionale, e magari conseguentemente anche a una cassa professionale, e chi invece non è iscritto a nessun Ordine e utilizza come cassa la Gestione separata Inps. Come orientarsi in questo universo opaco? Voi vi occupate di rappresentare le istanze di entrambi questi sottogruppi?
Noi siamo nati prevalentemente per chi è senza cassa professionale. La differenza vera che rimane tra noi e gli altri è il carico previdenziale, noi abbiamo il 27% che poi potrebbe arrivare nel 2015 al 30,72%. Invece i lavoratori autonomi iscritti agli Ordini pagano molto di meno, a seconda dell'Ordine si va dal
10% al 17%. Ultimamente gli avvocati si sono lamentati per l'aumento del loro carico contributivo: eppure, aumento compreso, continuano a pagare la metà di quello che paghiamo noi. Come associazione, Acta è comunque contraria a Ordini e albi: d'altra parte si è visto dall'esperienza di molti Ordini - come quello dei giornalisti, o degli psicologi, o degli architetti - che la loro esistenza non è sufficiente a garantire un mercato.

Eppure, pochi contributi versati oggi non comporteranno il problema di una pensione troppo bassa domani?

Questo in teoria. Il punto sostanziale è che noi riceveremo molto poco, domani, in confronto a quello che siamo obbligati a versare, oggi, alla gestione separata dell'Inps. Perché le aliquote di moltiplicazione sono troppo basse e per di più sono legate all'andamento del Pil che è fermo da più di 15 anni.

Dunque voi chiedereste di essere esonerati dall'obbligo di pagare l'Inps, per poter provvedere ciascuno a suo modo, magari con l'investimento in pensioni private?
No, questo sarebbe troppo. Personalmente sono anche convinta che la contribuzione pubblica sia necessaria, per obbligare tutti a preoccuparsi un minimo del proprio futuro e non gravare completamente un domani sulla collettività. Penso però che il carico debba essere sostenibile.

Un'altra delle battaglie che Acta sta portando avanti è quella relativa all’utilizzo degli studi di settore. Perché non tutti sanno che questi studi oltre a colpire - spesse volte ingiustamente - le imprese, colpiscono spesso anche i freelance, cui non di rado vengono "automaticamente" chieste somme sanzionatorie a titolo di una ipotetica evasione fiscale, non provata ma solo appunto ipotizzata a seguito di una incongruenza tra dichiarazione dei redditi e parametri dello studio del settore corrispondente al ramo di attività. Voi chiedete che questi studi vengano utilizzati esclusivamente come strumenti indicativi. Questo però non equivarrebbe, nei fatti, ad abolire gli studi di settore come strumento fiscale?
No, assolutamente. Nel momento in cui un lavoratore autonomo ha un basso reddito, noi accettiamo che debba comunque dare delle spiegazioni rispetto al suo basso reddito. Ma non accettiamo il presupposto per il quale l'autonomo è automaticamente un evasore: peraltro, con il sistema degli studi di settore ci si trova di fronte al paradosso per il quale 
nei settori dove è meno frequente l'evasione, chi ha un basso reddito è più esposto ad essere colpito da un provvedimento, perché gli studi sono compilati utilizzando i redditi medi di ciascuna categoria. 


Acta denuncia che meno della metà dei soldi che ogni anno gli iscritti alla gestione separata dell'Inps versano per la voce "assistenza" poi viene redistribuito sotto forma di servizi. Che fine fa la metà non utilizzata?
La parte non redistribuita va a finire nel buco nero dell'Inps. In teoria viene registrata come credito, ma chi lo sa quando e come questo credito verrà ridato? E comunque mentre per la pensione il versamento delle quote da parte di un contribuente avviene oggi per beneficiarne in futuro, per quanto riguarda l'assistenza il versamento delle quote avviene oggi con la prospettiva di poterne beneficiare anche oggi, se capita. E dunque non ha senso che l'Inps non usi appieno la somma versata per la voce "assistenza". Dovrebbe dunque aumentare, con quei fondi inutilizzati, i livelli di assistenza.

State appoggiando lo sciopero contributivo di Daniela Fregosi, una freelance malata di tumore che ovviamente in questo periodo di malattia non riesce a lavorare. Come si crea questo cortocircuito per cui anche se un freelance non guadagna, lo stato le chiede di pagare?
Accade perché lei qualcosa guadagna, perché comunque ha dovuto continuare un po' a lavorare anche se malata. Ha ovviamente però un reddito basso: e se da questo reddito basso si sottraggono i contributi, non le resta abbastanza per vivere. Per questo lei ha deciso di smettere di pagarli: tenuto conto che è ancora a rischio di mortalità, preferisce giustamente usare i pochi soldi che ha per garantirsi una qualità della vita adesso, invece che versarli all'Inps per una pensione che forse nemmeno arriverà mai a percepire.

Che cosa rischia Daniela Fregosi con il suo sciopero? Cosa si può fare per sostenerla?
Lei si accolla il rischio che prima o poi glieli chiedano, questi soldi. L'Inps non perdona, ci sono delle more e delle sanzioni molto alte. Con la raccolta fondi che noi abbiamo fatto abbiamo raggiunto quasi 3mila euro. Stiamo pensando di utilizzarli per rivolgerci a un avvocato e provare intentare una causa contro l'Inps. Lei alla fine non versando i suoi contributi non danneggia nessun altro. La legge non lo permette: però se questa norma ha un senso nel caso delle imprese, perché ovviamente è giusto che i lavoratori non debbano rischiare i loro contributi perché il loro datore di lavoro si ammala e non può più lavorare, questa stessa norma non ha senso nel caso in cui datore di lavoro e lavoratore coincidano: come appunto nel caso dei lavoratori autonomi. Noi faremo una manifestazione per sostenere Daniela Fregosi nel grossetano il 28 settembre: ovviamente ci rivolgiamo a tutti quelli che vivono in quella zona perché ci sostengano e partecipino.

Una delle richieste che avanzate, rispetto alla battaglia dello sciopero contributivo, è che la copertura dei periodi di malattia dei freelance avvenga attraverso il versamento di contributi pensionistici figurativi. Avete calcolato, anche approssimativamente, quanti freelance potrebbero fare richiesta di questo servizio ogni anno, e dunque quanto potrebbe costare allo stato la copertura attraverso contributi figurativi di questi periodi?
Noi abbiamo un problema: abbiamo una indennità ridicola in caso di malattia, che per di più dura al massimo 60 giorni. Nel passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo si è perso ogni carattere solidaristico del sistema previdenziale: tu adesso ti ritrovi a dover scontare tutte le tue sfighe. Bisognerebbe invece recuperare una dimensione solidaristica. Non abbiamo fatto un calcolo preciso dei numeri, ma attenzione: noi non chiediamo una copertura per tutti i tipi di malattia, non pretendiamo certo che siano coperti un raffreddore o un braccio rotto, per quelli ci arrangiamo. Escludiamo dunque tutte le malattie non gravi e e anche quelle croniche, nel senso che nemmeno per il diabete chiediamo la copertura. Vogliamo però una tutela in caso di malattie gravi, come un tumore, che non sono molto frequenti. Chiediamo un'indennità di malattia decente, e i contributi figurativi per il tempo necessario a curarsi.

Alcune delle vostre richieste sembrano quasi ingenue da tanto sono profondamente giuste: come per esempio la proposta che un freelance che vinca un contenzioso
con l’Agenzia delle Entrate venga rimborsato delle spese sostenute per difendersi. Persiste una asimmetria tra la forza dello stato e la debolezza del singolo cittadino, che difficilmente lo Stato accetterà di mitigare. C'è qualche rappresentante della politica e delle istituzioni che, su questo particolare punto, ha dimostrato di voler lavorare al fianco di Acta per una introduzione di questo principio?
In teoria il sostegno ce lo propongono in tanti. E' difficile che, quando raccontiamo la nostra situazione, qualcuno ci dia torto: in linea generale sono tutti d'accordo con le nostre rivendicazioni. Poi però ci dicono anche, con sincerità, che non è facile portare avanti le nostre istanze. Non siamo appetibili, non abbiamo una rappresentanza come invece accade ai lavoratori dipendenti. Non diventiamo mai una priorità per nessuna forza politica, e in più in Italia abbiamo questa nomea di evasori che ovviamente ci danneggia. Poi siamo molto dispersi e non così disponibili all'aggregazione, siamo autonomi, siamo cani sciolti. Chi ha ottenuto, in passato e ancora oggi, si è organizzato per ottenere: noi ci stiamo provando.

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