Rossella Nocca
Scritto il 10 Dic 2018 in Notizie
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Il 1° novembre è entrata in vigore la legge n.96/2018, ovvero la legge di conversione del decreto legge n.87/2018, meglio noto come “Decreto dignità”. Tra gli obiettivi c’è quello di favorire l’occupazione stabile, disincentivando le forme contrattuali limitate nel tempo e incoraggiando i datori di lavoro a stipulare contratti a tempo indeterminato. È di circa mezzo milione la stima dei contratti e quindi dei lavoratori – prevalentemente under 35 – che saranno coinvolti dall’inasprimento legislativo.
Assolavoro, sulla base di proiezioni di dati rilevati dagli operatori associati (85 per cento del mercato), ha previsto che dal 1° gennaio 2019 saranno 53mila le persone che non potranno essere riavviate al lavoro perché raggiungeranno il limite massimo di 24 mesi per un impiego a tempo determinato. Altro allarme è arrivato da Federmeccanica, che ha annunciato che per effetto del Decreto dignità il 30 per cento delle imprese non rinnoverà, alla data di scadenza, i contratti a tempo determinato in essere.
Intanto, a fine novembre l’Inps ha diffuso i dati sui contratti di lavoro aggiornati al mese di ottobre. Ebbene – premettendo che nel periodo analizzato era in corso la finestra transitoria e che quindi sarebbe improprio parlare di effetti diretti del Decreto dignità – l’Osservatorio sul precariato ha rilevato nel periodo gennaio-settembre 2018 una crescita generale delle assunzioni del 5,3% rispetto allo stesso periodo del 2017.
Sono aumentate tutte le tipologie di contratti: i contratti a tempo indeterminato (+3,4%), i contratti a tempo determinato (+4,7%), i contratti di apprendistato (+11%), ma anche gli stagionali, i contratti di somministrazione e quelli intermittenti. Da segnalare poi l’incremento delle trasformazioni dal tempo determinato al tempo indeterminato, con un significativo +45,7% rispetto al periodo gennaio-settembre 2017.
Tra le principali novità della legge c’è la proroga del bonus assunzioni per il biennio 2019-2020 per gli under 35 che non hanno mai avuto un contratto a tempo indeterminato. In base al contenuto dell’articolo 1 le imprese che effettueranno nuove assunzioni a contratto indeterminato a tutele crescenti potranno beneficiare ancora per due anni dello sgravio contributivo del 50%, ovvero del bonus di 3mila euro l’anno per tre anni per ogni nuova assunzione. Le agevolazioni erano già state previste dalla legge di Bilancio 2018, che tuttavia a partire dal prossimo anno le avrebbe limitate agli under 29.
«L’idea alla base del decreto, quella di introdurre i giovani in un mondo del lavoro in cui è difficile entrare» afferma Simone Cagliano, membro della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro «è giusta, ma se non ci creano condizioni di mercato sostenibili e non si abbassa il costo del lavoro si tratta solo di palliativi. Infatti i giovani nella maggior parte dei casi verranno assunti e poi, finiti gli sgravi, rischieranno di non essere confermati non perché non lo meritino ma perché l’azienda non sarà più in grado di sostenerne il costo».
Cagliano è tra gli autori di una circolare, a cura del Dipartimento Scientifico della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che analizza e commenta punto per punto le maggiori novità introdotte dalla legge.
«Tra le principali criticità c’è l’abbassamento del limite per i contratti a tempo determinato a 12 mesi», spiega alla Repubblica degli Stagisti il consulente, «che diventano 24 mesi a fronte di una causale».
Tre le tipologie di causale contemplate. Una, la più facilmente verificabile, è l’esigenza di sostituzione di altri lavoratori. Le altre due sono: condizioni imprevedibili legate ad esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività quali, ad esempio, cause di forma maggiore (calamità naturali, etc.) ed esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria come per esempio una commessa di lavoro una tantum, urgente e non realizzabile con il normale organico aziendale. Ridotto invece da cinque a quattro il numero massimo di proroghe dei contratti.
Restrizioni mosse dall’intento di favorire la stabilizzazione ma che rischiano di ritorcersi contro i lavoratori. Nella circolare, infatti, si sottolinea «l’assoluta indeterminatezza e delle esigenze e condizioni riportate che, al di là di quelle di quelle di carattere sostitutivo, sembrano di difficile individuazione prestandosi facilmente, pertanto, al rischio di contenzioso». Da qui il pericolo che i datori di lavoro, per evitare le conseguenze di un’errata individuazione delle causali, preferiscano sospendere i rapporti dopo 12 mesi, aumentando il turnover.
Gli stessi limiti previsti per il contratto a tempo determinato saranno applicati anche al contratto di somministrazione, che rischia anch’esso di subire un ridimensionamento. Altro deterrente per i datori di lavoro potrebbe essere l’aumento ad ogni rinnovo di 0,5 punti percentuali del contributo addizionale, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali riconducibile alla Legge Fornero.
Cagliano a inizio 2018 ha curato un approfondimento sugli sgravi previsti dalle Leggi di Bilancio 2015 e 2016, dal risultato significativo: «Nonostante la continua introduzione di sgravi contributivi per ridurre in modo temporaneo i costi del lavoro per i datori di lavoro, le assunzioni a tempo indeterminato di giovani non sono aumentate, ma il dato è rimasto pressoché identico al 2013». Se nel 2013 erano state 1 milione e 224mila, infatti, nel 2016 sono diventate 1 milione e 241mila.
Precedenti che non fanno ben sperare: «La sensazione è che questo non sia il percorso giusto per ottenere obiettivi condivisibili, ma per avere dati attendibili occorrerà aspettare almeno un anno. Certo se verrà veramente introdotta la flat tax non è difficile immaginare un’ulteriore aumento delle partite Iva. La migliore delle ipotesi, visto che l’altro rischio è quello che i rapporti precedentemente regolarizzati possano finire nel lavoro sommerso».
Rossella Nocca
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