La proposta: tre mesi di stage come commessi (ma è più chic chiamarli sales assistant) nei punti vendita di grandi griffe. Rimborso spese: zero. Qualità del progetto formativo: zero. Un annuncio uguale a migliaia di altri, purtroppo. Salvo che stavolta è stato ripreso nella newsletter di una grande università, e gli studenti non l'hanno mandata giù. Accade a Napoli, dove alcuni giovani dell'università Orientale hanno scritto una lettera aperta per denunciare l'accaduto, ripresa dal Corriere del Mezzogiorno nell'articolo di Patrizio Mannu «Orientale, una laurea per fare i commessi» e in un'intervista a una dei firmatari del documento, «Claudia, laureata all'Orientale: Gli stage? Sono una trappola» [nell'immagine a fianco, la notizia online sul sito del Corriere del Mezzogiorno].
Interessante l'ultima puntata della vicenda, una replica prodotta ieri dal collettivo Rete studentesca Orientale 2.0 (o meglio, dato che è scritta in prima persona, da un componente di questa Rete) e pubblicata dal quotidiano, in cui si legge: «Il punto centrale della questione non sta nel rispondere alla domanda se uno stage presso “aziende internazionali del lusso” quali Ferragamo e Louis Vuitton sia più o meno attinente al piano di studi, e quindi contribuirà al percorso formativo degli studenti che si troveranno impegnati in quello stage. Lo stage in questione, infatti, non è affatto un iceberg in mezzo ad un deserto, ma semplicemente la punta più clamorosa (perché evidente) di un sistema, quello degli stage-tirocini, completamente fallimentare». E prosegue: «Questi stage non contribuiscono affatto alla nostra formazione, l’unica cosa che ci insegnano è ad essere precari. Il sistema degli stage obbligatori introdotto con il famoso sistema del 3+2 altro non è che un prezzo ulteriore che noi studenti dobbiamo pagare per conseguire un titolo di studi che nella maggior parte dei casi non troverà neanche il suo sbocco naturale nel mercato del lavoro. Non a caso parlo di prezzo da pagare. In un’altra epoca come avreste chiamato 100 ore di impegno in un’attività presso un’azienda, un ente o l’università stessa? Certamente non stage formativo».
Per finire, un po' di conti: «Ipotizziamo che gli studenti effettuano uno stage da circa 100 ore nell’anno in cui si laureano e guardiamo alle statistiche dei laureati degli ultimi 3 anni (circa 520mila studenti) forse troviamo una risposta in quelle 5milioni e 200mila ore di lavoro non retribuito [in realtà la moltiplicazione di 520mila per 100 ore farebbe un totale di 52 milioni di ore di lavoro, pari a 6 milioni e mezzo di giornate lavorative, ndr]. Sarà forse questo un costo della crisi? Sarà forse un altro aspetto del disinvestimento violento che si fa da anni nella cultura e nella formazione? Sarà forse questo un sistema per alleggerire i bilanci di aziende, enti e soprattutto università? Quel tot di ore all’anno significano un tot di contratti di lavori a tempo determinato in meno, un elemento positivo nei bilanci delle università che girano ad enti e aziende i propri studenti o se li tengono nei propri uffici. E gli studenti cosa ne guadagnano? Tanta amarezza e tanta formazione in meno».
La Repubblica degli Stagisti chiude con un appello all'autore di questo scritto e agli altri membri del Collettivo: perchè non vi fate vivi e approfondiamo su queste pagine i temi così importanti che avete buttato sul tavolo, e che sono l'essenza stessa di questo sito?
Eleonora Voltolina
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