Girl Power, «Da ingegnera gestionale faccio l'Operation Manager: mi diverto a risolvere problemi»

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 27 Mar 2018 in Storie

ingegneria occupazione femminile STEM

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che, in campo scientifico più che altrove, di fronte al merito non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Simona Barbato, Operation Manager per Noovle, azienda specializzata in cloud e trasformazione digitale.

Sono nata in Calabria quarantotto anni fa. Lì ho studiato al liceo scientifico e poi alla facoltà di Ingegneria dell’università della Calabria. L’indirizzo era quello meccanico, ma è cambiato in corso, così sono stata tra i primi laureati in Ingegneria gestionale. La scelta è nata “banalmente” dalla passione per la matematica, i numeri, le formule. La mia famiglia non mi ha influenzato: i miei genitori sono avvocato e maestra, ma i miei fratelli sono diventati architetto, biologo e insegnante di educazione fisica. Anche se mia madre verso il terzo anno mi disse: “Ma perché non studi Lingue?”.

Dopo la laurea sono andata via da casa e dalla Calabria, avevo voglia di evadere dalla piccola città. Avevo la sensazione che qualcuno potesse dominare la mia vita, ad esempio non dicevo a mio padre che andavo a sostenere gli esami, come se potesse interferire nel mio valore. E quando volevo dei soldi in più per comprarmi qualcosa, anche se in casa non ne mancavano, non li chiedevo ma andavo a lavorare di nascosto come hostess nei palazzetti. Ho sempre avuto un forte senso di indipendenza.

Inizialmente mi sono iscritta all’Albo degli ingegneri, ho svolto uno stage presso il dipartimento di Robotica dell’Enea, a Roma, e mi sono occupata di ricerca operativa, e dell’ottimizzazione di un progetto per l'Istituto centrale del catalogo e della documentazione (Iccd) del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact). Dopo un paio d’anni a Roma, mi sono trasferita a Milano. Qui, attraverso il network universitario, sono stata contattata per lavorare nel mondo dei sistemi informativi come consulente funzionale: mi occupavo di seguire vari processi aziendali migliorati tramite l’informatica. Ho lavorato per diverse società di consulenza: viaggiavo molto, era un mestiere bellissimo e ben pagato.

Poi a trentasette anni sono diventata mamma
e, anche se mio marito mi ha aiutato tantissimo, è stato un periodo molto duro. Ho lavorato fino all’ottavo mese e sono ritornata dopo il periodo obbligatorio con un part time verticale, deciso da me perché lavoravo fuori sede. Facevo tre giorni da otto ore, che non erano mai otto. Nonostante ciò mi hanno fatto capire che senza il figlio avrei potuto avere una promozione. Quando il bambino ha compiuto dodici mesi e avrei dovuto riprendere il full time, non ho retto il ritmo e ho deciso di dare le dimissioni. Mi ero resa conto che così non poteva più funzionare: uscivo la mattina alle cinque e tornavo alle otto di sera, facevo 180 km all'andata e 180 al ritorno. Stavo male fisicamente ed ero piena di sensi di colpa verso mio figlio. Dubito che un uomo si sarebbe posto lo stesso problema, anche se mi piace pensare che l'equilibrio come genitore sia indipendente dal ruolo e dal genere. 


Dopo un periodo di riflessione, ho deciso di tornare a fare quello che avevo sempre fatto ma da un’altra prospettiva, come Operation Manager per un’azienda. Ho avuto la fortuna di incontrare Piergiorgio De Campo, CTO di Noovle, una persona che ho stimato da subito. Scherzando, nel colloquio, gli ho detto che l’unica cosa che volevo nella vita era non cambiare ufficio fino a quando non diventavo vecchia. In quel periodo Noovle aveva bisogno di una ristrutturazione a seguito di una fusione. Ho avuto subito un contratto a tempo indeterminato. Mi sono trovata a gestire vari team, composti perlopiù da uomini. All’inizio non è stato facile conquistare autorevolezza ai loro occhi. Ma il mio lavoro è uno di quelli in cui si nota maggiormente il valore aggiunto di essere donna: la particolare propensione al multitasking, la capacità  di ascoltare le persone, diventando anche una sorta di “confidente”. Nel mio lavoro c’è uno studio continuo, ed è difficile che a fine giornata tu ti senta soddisfatta: appena risolvi un grande problema, se ne presenta un altro. Con gli anni ho dovuto imparare a trovare un compromesso tra il lavoro e l’essere mamma, ad esempio a tornare a casa e non guardare più il telefono. Ad oggi viaggiamo con la media di cento mail al giorno!

La discriminazione di genere l’ho avvertita sin dall’università, dove eravamo una decina di ragazze su 300 studenti, e i professori non risparmiavano battutine. E poi nel mondo del lavoro: quando mi presentavo con un team di colleghi, loro erano chiamati “ingegneri” e io “signorina”. Per fortuna nella mia esperienza ho trovato anche tante persone intelligenti, che non giudicavano dal sesso ma dal valore. Da un lato credo che l’essere donna mi abbia anche aiutato, perché spesso a parità le donne costano la metà. Ho avuto delle fasi della vita in cui era evidente che fossi sottopagata. Ad esempio, dopo aver dato le dimissioni ho lavorato per quattro anni part time, ma il tipo di lavoro mi portava a essere sempre operativa, quindi era un part time solo nello stipendio! Noi donne nasciamo già con l’idea che ci dobbiamo adattare un po’ di più, perché dobbiamo gestire le priorità in maniera diversa. Inoltre siamo troppo impegnate a farci valere per curare altri aspetti.

L’ambizione che ho oggi è quella di continuare a fare quello che mi piace e mi diverte. Amo questo mestiere perché si lavora con la mente, si respira un’aria libera, si segue l’istinto. E poi il mio campo, il cloud, sta dando oggi grandi sbocchi. Qualche tempo fa mi avevano proposto di “fare un salto”, ma non me la sono sentita. Avrei dovuto interfacciarmi con la parte internazionale e riprendere a viaggiare, ma ho deciso di non mettere in discussione il mio equilibrio tra mamma, lavoratrice e donna, che oggi mi fa stare serena. Ho una tata su cui contare, visto che la mia famiglia di origine e quella di mio marito sono lontane, in Calabria, ma delego solo per lo stretto necessario. Per fortuna ho sposato un uomo molto intelligente e presente, che mi ha sempre sostenuta e incoraggiata in tutte le mie scelte.  

Alle ragazze consiglio di non sottovalutarsi mai, di coltivare una sana ambizione, per emergere con meritocrazia. E poi di non precludersi nulla: io a quarant'anni ho cambiato lavoro e vita e non tornerei indietro. 

Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

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