Irene Dominioni
Scritto il 07 Mar 2017 in Interviste
comune di Milano Comune di Napoli giovani e politica
La politica, per i giovani italiani, è una giostra che gira male. Da qualche anno a questa parte, vuoi per la crisi e le misure di austerità che hanno marginalizzato da un punto di vista sociale ed economico le fasce più giovani della popolazione, vuoi per la mancanza di un reale impegno da parte della classe politica nel prendersi carico dei loro interessi, la partecipazione giovanile alla vita politica del Paese sta diminuendo sempre di più. In questo contesto di crescente insoddisfazione e precarietà, l’attivismo politico può però aprire delle porte e magari perfino avere un’utilità in termini professionali? La Repubblica degli Stagisti l’ha chiesto a due tra i più giovani assessori in due diversi comuni italiani sopra il milione di abitanti, eletti alle amministrative di giugno 2016: Lorenzo Lipparini, 34 anni, assessore alla Partecipazione, cittadinanza attiva e open data nella giunta di Beppe Sala al comune di Milano, e Alessandra Clemente, 29 anni, nominata dal sindaco Luigi De Magistris assessore per i giovani del comune di Napoli. Lipparini è stato segretario dell'associazione Enzo Tortora Radicali Milano, ha lavorato a Bruxelles e Strasburgo nello staff dei deputati del Partito Radicale al Parlamento europeo ed è tra i fondatori del comitato MilanoSìMuove per la qualità dell'ambiente e la mobilità sostenibile nel capoluogo lombardo. Alessandra Clemente è stata attivista presso organizzazioni contro le mafie, tra cui l'associazione Libera e lo sportello di ascolto Antiracket di Napoli, e promotrice di iniziative e progetti destinati ai giovani attraverso la fondazione Onlus che ha fondato in memoria di sua madre, Silvia Ruotolo, rimasta uccisa in un raid di camorra.
Quando e come è iniziata la tua attività politica?
Lipparini: È dal 2000-2001 che ho iniziato a fare attivismo politico. Per me questa passione è nata al liceo con le esperienze di politica studentesca, che ogni tanto vengono abbandonate con il passare dell'età, ma secondo me invece tenere fermo il punto e continuare a organizzare attività sulle politiche e sull'interesse per la politica nelle sue tante sfaccettature è importante.
Clemente: Io ho iniziato con un’esperienza di tipo tecnico nel 2013, non avevo preso parte alla campagna elettorale e non ero vicina a nessuna realtà politica, facevo parte di un’associazione ed ero una studentessa e una praticante avvocato. Il salto di rottura degli schemi tradizionali è stato proprio quello di immaginare alla guida di questo assessorato una ragazza di 25 anni, neolaureata in giurisprudenza, da sempre impegnata nella città.
Il disimpegno dei giovani in politica sembrerebbe dovuto alla sensazione diffusa di non poter fare la differenza, la disillusione nei confronti delle istituzioni e la sfiducia verso la possibilità di mantenere le promesse fatte. Perché, allora, fare politica?
Clemente: In questo momento storico, per noi giovani scegliere un percorso politico è un gesto di coraggio, di sacrificio, ma è l’unica carta che conosco per provare a cambiare in modo significativo le cose, soprattutto se senti che i contesti tradizionali non ti appartengono.
Lipparini: Oggi i comuni e le amministrazioni farebbero fatica a lavorare e promuovere iniziative politiche senza il supporto della società civile, quindi questo primo passo è molto importante perché ci consente di avere un ruolo da protagonisti, indipendentemente dal fatto che poi questo si concretizzi in un riconoscimento dell'impegno all'interno di un ruolo istituzionale.
In che termini può essere utile un’esperienza di attivismo politico a livello personale?
Clemente: L’associazionismo, così come le esperienze di formazione, l’esperienza all’estero, la coltivazione della dimensione dello sport e del volontariato, danno le soft skills necessarie per l’affermazione di una donna e un uomo nella dimensione pubblica: il saper parlare in pubblico, saper gestire i gruppi, gestire l’ansia, saper cadere e rialzarsi, applicare il valore aggiunto di lavorare in gruppo e non in modo individuale.
Lipparini: Sicuramente, se fatto sul territorio e in modo applicato e serio, è un modo di entrare in contatto con tantissime persone. È un moltiplicatore di opportunità nel momento in cui garantisce l'accesso alla conoscenza di tantissimi attori. Incontrare persone, promuovere iniziative, è un pretesto eccezionale per avvicinare persone attive e specializzate nei vari temi e un modo per conoscere le opportunità che arrivano da questi mondi. Quindi anche per farsi conoscere e apprezzare, per dimostrare di essere capace e di saper fare nel proprio lavoro, nell'organizzazione di eventi e di campagne. Può essere anche un volano per farsi le proprie esperienze e trovare contatti utili nel mondo del lavoro.
Fare attività politica può aprire delle porte in termini lavorativi?
Lipparini: Credo che non debba mai essere considerata come un lavoro o come opportunità di inserimento in dinamiche che moltiplicano le aspettative di carriera. È innanzitutto una passione, una cosa che deve fare piacere e che uno può coltivare ai lati della propria attività. La via rapida del lavoro con le istituzioni o in politica non è produttiva, sono esperienze che possono arrivare con la facilità con cui possono interrompersi, e quindi è bene che siano vissute come un luogo in cui uno mette al servizio le proprie competenze.
Clemente: Il giovane che si avvicina alla politica perché pensa che possa dargli uno sbocco occupazionale resterà frustrato. Il percorso politico deve essere fatto di generosità, dove tu dai senza chiedere nulla in cambio, e più sei generoso più generosità ti verrà corrisposta. La tua vita economica deve essere sostenuta da altro.
È giusto inserire nel curriculum le esperienze di attivismo politico?
Lipparini: Mettere a curriculum un'esperienza da attivista politico, per chi dovesse essere esterno a tutta questa realtà, può aprire a tutta una serie di pregiudizi o di negatività che è da gestire in modo sapiente. Vale la pena segnalare le attività istituzionali più significative, fatte con organismi ed enti pubblici; molto di meno tutto quello che viene prodotto da organizzazioni che fanno dell'agire politico la propria ragione sociale.
Clemente: Credo che se un datore di lavoro si trova a leggere in un curriculum insieme ad un’esperienza all’estero che c’è stata la militanza in un movimento politico o l’appartenenza ad una associazione, è sicuramente un valore aggiunto, perché l’elemento caratteriale credo faccia la differenza anche nel mondo del lavoro, e fare politica può darti un bel carattere, perché devi metterti in discussione con tante persone.
Secondo uno studio del 2014, non è vero che i giovani si disinteressano alla politica, ma piuttosto che le loro forme di attivismo si discostano da quelle classiche di partiti e governi. I social sono il loro canale di comunicazione: nonostante solo il 27% dei giovani in Italia utilizzi Internet per contattare e interagire con le autorità pubbliche (a fronte di una media UE del 52%), più che altrove leggono e condividono sul web opinioni su argomenti politici e sociali (25% in Italia, 18% in Europa). Nuovi media e social network sono i nuovi canali di comunicazione politica?
Lipparini: La tecnologia ci aiuta sempre di più, perché attraverso l'attivazione anche online di strumenti di partecipazione popolare ci dà la possibilità di rendere tutto molto più rapido, meno burocratico, più facile e quindi meno riservato a una fascia di tecnici e politici esperti di queste procedure. Per fare qualche cosa di utile anche per i più giovani, l'utilizzo delle nuove tecnologie può rendere più fruibili gli istituti più antichi, come i referendum o le petizioni, che hanno sempre seguito delle procedure ormai un po' polverose, e che oggi possono avere smalto, interesse e praticità.
Clemente: Senza i social io non sarei esistita. Siamo la generazione del pollice, bisogna essere sugli schermi degli smartphone. A Napoli, i servizi cittadini per i giovani sono tutti veicolati attraverso i social. Quando facciamo i corsi di formazione, tutti ci dicono che ne sono venuti a conoscenza tramite Facebook e tutti rispondono che non credevano che sarebbero stati selezionati. È una generazione che cresce con l’incubo dei raccomandati, dove le poche opportunità disponibili sono appannaggio di pochi privilegiati. Noi abbiamo provato, attraverso una comunicazione trasparente e l’utilizzo corretto delle email e dei social, di incoraggiare la partecipazione mettendo il merito nelle procedure amministrative.
La politica è un posto per i giovani?
Clemente: A Napoli lo sta diventando e lo è diventato. Nel 2013 io ero l’unica under 30 all’interno dell’amministrazione comunale. Dopo le elezioni di giugno, l’età media si è abbassata del 30 per cento. Dei consiglieri comunali a Napoli, che è una città faticosa e non facile, un quarto sono giovani come me sotto i 35 anni, sia nella maggioranza sia nell’opposizione. I numeri crescono nei 10 consigli municipali, quindi Napoli racconta un protagonismo dei giovani anche nella politica.
L’Europa è un buon palcoscenico per l’impegno politico giovanile?
Lipparini: A Bruxelles, da piccolo prototipo di società civile europea, dove gli internazionali costituiscono la maggioranza della popolazione, i protagonisti sono decisamente le persone più giovani, che scelgono di approdare lì per lavorare nelle istituzioni europee. L’età media molto bassa della popolazione del funzionariato europeo rende soprattutto il Parlamento molto stimolante, dove ci sono tantissime opportunità, grande mobilità e dove l’importante sono le proprie capacità e non sempre solo il curriculum politico. Un laboratorio interessante che conferisce un bagaglio di conoscenze molto internazionale e utile anche se uno vuole rimanere a lavorare in ambito internazionale.
Cosa farai dopo l'assessore?
Lipparini: Ero un libero professionista, e conto di rientrare a svolgere attività di consulenza per il terzo settore e per le aziende.
Clemente: Io sono avvocato, è quello per cui ho studiato ed è la professione che amo, per cui non penso di cambiarla.
Intervista di Irene Dominioni
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