Italia terzultima in Ue per occupazione femminile, l'opportunità adesso è l'industria 4.0

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 02 Nov 2016 in Approfondimenti

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Sarà l'industria 4.0 – quella della sharing economy – a risollevare le sorti dell'occupazione femminile? Al convegno 'Donne nella quarta rivoluzione industriale' organizzato qualche giorno fa da Pari o Dispare, comitato per la parità di genere presieduto da Emma Bonino, ne hanno discusso esponenti della politica e delle istituzioni come Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato e Beatrice Covassi, rappresentante italiana della Commissione Ue, del mondo accademico come l'economista della Stanford University Veronica De Romanis, e dei media, tra cui Eva Giovannini, giornalista Rai, e Eleonora Voltolina, direttrice della Repubblica degli Stagisti.

Si parte dal dato rilanciato da Fedeli: «L'Italia è terzultima a livello internazionale per occupazione giovanile e femminile, dopo Grecia e Macedonia». Ma a sollevare non poche perplessità rispetto alla possibilità che questi dati sconfortanti possano essere migliorati da una maggiore partecipazione femminile ai lavori dell'Industria 4.0 è Riccardo Staglianò, giornalista di Repubblica, illustrando i numeri raccolti nel suo libro Al posto tuo, così web e robot ci stanno rubando il lavoro, edito da Einaudi.

«È stato calcolato che da qui al 2033 il 47% dei lavori esistenti saranno a rischio automazione». Calcoli magari troppo allarmistici (McKinsey parla addirittura di 5 milioni di posti che scompariranno nel nulla), eppure i dati dimostrano come «Amazon avesse 13 dipendenti nel 2012, contro i 140mila di Kodak nel suo periodo di fulgore», prima di fallire. E come «nel 2014 Airbnb abbia pagato all'erario francese 84mila euro di tasse contro i 3 miliardi e mezzo del settore alberghiero». Solo «lo 0,5 per cento dei lavoratori americani sono stati occupati nelle aziende nate dopo il Duemila».

«Nel prossimissimo futuro tutta una serie di professioni è destinata a scomparire» conferma Emma Bonino: «il che vuol dire anche adeguare la scuola e l'università. Noi sforniamo avvocati, ma se ho capito bene questa professione è destinata a ridimensionarsi in modo notevole. Se sappiamo che interi settori, anche di professioni autonome, sono destinati nel breve tempo a scomparire, non solo il ministero del Lavoro ma anche quello dell'Istruzione si devono adeguare, e anche i giovani devono prendere consapevolezza degli sbocchi occupazionali».

Scenari quasi apocalittici, con cui dovrà vedersela l'occupazione in generale e quella femminile in particolare (in Italia al 50 per cento contro una media Ue del 64), già fiaccata dai «vecchi problemi che ci portiamo dietro» ricorda Bonino: la difficile conciliazione tra tempi di vita e lavoro all'origine dei picchi di denatalità registrata in questi ultimi anni e le discriminazioni retributive, «per cui serviranno 70 anni» perché donne e uomini ricevano, a parità di mansioni, un uguale salario.

Per la precisione «le donne guadagnano in media il 16 per cento in meno» le fa eco Covassi, nonostante siano in media più istruite «rappresentando l'83 per centro dei diplomati e il 60 dei laureati». In spregio anche «alla direttiva Ue contro il divario retributivo». Va ancora peggio quando si tratta di donne in posizioni apicali. Anche in Europa i dati non sono incoraggianti: «In Ue sono appena il 3,6 per cento, e i consigli di amministrazione sono frequentati per l'80 per cento da uomini».

E pensare che l'occupazione femminile in Italia, ma anche altrove, «ha tenuto meglio di fronte a una crisi che ha visto scemare un milione di posti di lavoro» calcola Linda Laura Sabbadini dell'Istat. Lo scotto è stato però pagato in termini qualitativi, facendo convergere le donne sul part time involontario, modalità che è invece scelta «solo dall'8 per cento degli uomini». Spesso dietro c'è la maternità, evidenzia Antonella Marsala di Italia Lavoro: «Sono 22mila all'anno le donne che abbandonano il posto di lavoro nel primo anno di vita del bambino».

Dal parterre anche diverse proposte per cogliere le opportunità in arrivo dalla nuova fase industriale. Un'economia inedita che andrà regolamentata dalla politica: «Non si può fermare il vento della sharing e gig economy ma queste non devono ridursi a lavoretti, a secondary income» ragiona Giovannini. «Vanno messi dei paletti: una app come Amelia, centralinista meccanica, risponde a 60mila telefonata al mese e ha sostituito eserciti di lavoratrici».

Per Eleonora Voltolina la prima idea per rendere le ragazze protagoniste dell'industria 4.0 è coinvolgerle «già da prestissimo nello studio delle materie Stem, convincendole che sono in grado di farlo, contro gli stereotipi che le allontanano invece da questi percorsi formativi». Poi la rappresentazione mediatica, dalla quale le donne sono troppo spesso escluse: per cominciare a «scardinare il sistema bisogna impegnarsi verso un riequilibrio dei panel dei dibattiti pubblici e dei talk show. Io ho deciso di darmi una policy: accetto di partecipare solo se è garantito un equilibrio di genere» afferma Voltolina, citando la denuncia della scrittrice Michela Murgia contro il sistema culturale italiano tutto sbilanciato a favore gli uomini. Quanto alla maternità, bisogna guardare ai progetti innovativi come Maam di Riccarda Zezza ma anche pensare a interventi pubblici: qui l'idea forte è quella di «introdurre un congedo di paternità obbligatorio uguale a quello di maternità, con un costo certamente enorme per le casse dello Stato, ma dal valore culturale dirompente».

La maternità «va vista come un plus, dà vita a soft skills nelle donne, che diventano più creative e multitasking» rilancia Veronica De Romanis. Una possibile strada è la tassazione di genere: «Facciamo pagare meno tasse alle donne: ne conseguirebbe anche a un miglioramento del potere negoziale all'interno della coppia». Sono “distorsioni temporanee” che potrebbero funzionare: «Le quote rosa introdotte nel 2012 hanno fatto sì che si passasse dal 5 al 27 per cento di presenze femminili nei cda». Al pari dei «minijobs tedeschi dal salario di 450 euro, pensati proprio per le donne: sarebbero utili come chiave di accesso al lavoro in un paese come il nostro che conta con il 45 per cento di inattività femminile». Non sono chiacchiere o una moda del momento: donne più inserite nel mondo del lavoro «farebbero aumentare la ricchezza pro capite di un punto».


Ilaria Mariotti 

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