Chiara Del Priore
Scritto il 17 Mar 2017 in Approfondimenti
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Mancano pochi giorni alla festa del papà e per l'occasione c'è chi ha fatto il punto sul suo ruolo nell'ambito della conciliazione vita-lavoro attraverso la campagna nazionale «Diamo voce ai papà», i cui risultati sono stati presentati l'altroieri a Montecitorio. La campagna – condotta da Piano C, importante spazio di coworking in Italia, su abitudini, modelli, gestione della famiglia e dell'attività professionale di oltre 1.500 padri e caratterizzata anche da un sondaggio – ha restituito una fotografia tutto sommato serena: 6 papà su 10 ritengono che la paternità non abbia comportato un ridimensionamento delle proprie carriere e ambizioni professionali, e che in qualche modo gli abbia aperto la mente.
Uno degli elementi centrali è un tema tornato di recente al centro del dibattito sulla legislazione legata alle politiche a sostegno della famiglia: il congedo di paternità, ossia i giorni di astensione obbligatoria dal lavoro stabiliti dalla legge Fornero nel 2012 – uno obbligatorio e due facoltativi. Il congedo ha riscosso un enorme consenso: il 70% dei papà, anche come futuri papà di altri figli, trova molto apprezzabile che esista questa possibilità, e addirittura 8 su 10 sceglierebbero la possibilità di un congedo di paternità obbligatorio di almeno 15 giorni.
Che cosa prevede la situazione in materia? Il nuovo anno si è aperto con qualche passo in avanti. La legge di Bilancio 2016 ha confermato i due i giorni di astensione obbligatoria dal lavoro già stabiliti per il 2016, cui se ne aggiungono due facoltativi in sostituzione della madre, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio.
La vera novità prevista dalla legge di bilancio è che a partire dal prossimo anno i giorni obbligatori di astensione dal lavoro per i padri passeranno da due a quattro. I giorni di congedo sia obbligatorio che facoltativo sono retribuiti al 100%. Il congedo, come specifica l'Inps, vale per i padri lavoratori dipendenti, anche adottivi o affidatari, e può essere richiesto via web attraverso i servizi online del sito dell'Istituto di Previdenza, tramite il contact center dedicato o i servizi offerti dai patronati.
Una novità che va in continuità con il percorso avviato nel 2012. Si trattava di un passaggio non di poco conto: se il congedo parentale già esiste da tempo e consiste nell'astensione facoltativa dal lavoro fino all'ottavo anno di età del bambino per un periodo di tempo continuativo o frazionato e una retribuzione al 30% dello stipendio, l'introduzione di quello di paternità ha permesso in qualche modo al nostro Paese di recuperare rispetto ad altri paesi d'Europa, dove era già presente. Non solo quelli scandinavi, ma anche realtà come quella francese o spagnola dimostrano di essere più avanti rispetto a noi. In Spagna, ad esempio, sono 15 i giorni di congedo di paternità, completamente retribuiti. Non esiste al momento invece una legislazione comune in ambito europeo sul tema.
I dati tra l'altro dimostrano che, dal 2013, anno successivo alla sua introduzione, i congedi sia obbligatori che facoltativi sono progressivamente aumentati: nel primo caso si va dai circa 50mila del 2013 agli oltre 72mila del 2015. Nel secondo dai circa 5.400 del 2013 ai circa 9.500 del 2015. Al contrario la somma dei congedi di maternità e paternità obbligatori per lavoratori dipendenti del settore privato è scesa dai circa 216mila del 2012 ai circa 195mila del 2015 (dati Inps).
Oltre un terzo del totale dei congedi obbligatori è stato quindi fruito dai padri. Sul sito dell’Inps non sono ancora disponibili i dati relativi al 2016 per cui non è possibile fare un confronto con l’anno che ha introdotto l’aumento a due giorni obbligatori.
Quali sono i costi? Titti Di Salvo, parlamentare ed ex sindacalista, da tempo si occupa di questi temi: «Ogni giorno obbligatorio di congedo di paternità costa 10 milioni di euro alle casse dello Stato, mentre quello facoltativo 1,3. Il congedo di maternità obbligatorio è previsto per un periodo decisamente più lungo, 5 mesi, e alla lavoratrice viene corrisposta un'indennità dell'80% dello stipendio che, a seconda dei contratti, può arrivare al 100%». I dati Inps relativi al 2015 parlano di una spesa complessiva di 2 miliardi e 523 milioni di euro per tutti i trattamenti economici di maternità.
Il gap va ancora recuperato rispetto al resto d'Europa. Non a caso il presidente dell'Inps Tito Boeri ha lanciato qualche mese fa la proposta di portare a 15 i giorni di congedo di paternità obbligatori, in un'ottica di maggiore uguaglianza tra uomo e donna nella gestione della vita familiare. Questa proposta è stata anche oggetto di un disegno di legge a firma, tra gli altri, della Di Salvo. La parlamentare PD ha commentato positivamente le nuove disposizioni: «Penso che la prospettiva del 2018 dia stabilità e consolidi la norma. Fino ad ora infatti ogni anno bisognava, nella legge di bilancio, ripartire da zero perché i giorni di congedo di paternità erano previsti solo in via sperimentale. La presenza invece di quattro giorni obbligatori nel 2018 più uno facoltativo da una prospettiva di lungo termine alla norma e ci da la possibilità di non ripartire sempre da zero».
A proposito della proposta di legge, spiega che «insieme a Valeria Fedeli abbiamo depositato, alla Camera e al Senato, una proposta di legge che punta ad ottenere 15 giorni di congedo di paternità obbligatorio remunerato al 100%. La proposta prende spunto dagli esempi virtuosi che ci arrivano da molti Paesi europei, in cui le responsabilità delle cura dei figli spettano tanto alle mamme quanto ai papà. Crediamo che questa misura possa avere molte ricadute positive: una divisione più equa del lavoro di cura all'interno della famiglia può dare ai papà la possibilità di essere più presenti, migliorando il rapporto padre-figlio anche in prospettiva distribuire più equamente le responsabilità familiari e quindi liberare tempo per le donne che possono, ad esempio, rientrare nel mondo del lavoro con più facilità; dare un segnale al mondo del lavoro stesso, per cui le responsabilità familiari non saranno più un fattore discriminante nel momento in cui si deve scegliere fra assumere una donna o un uomo, perché entrambi prenderanno in carico equamente quelle responsabilità. Inoltre è anche una misura che favorisce la crescita economica e l'uscita dalla crisi poiché favorisce l'occupazione femminile che a sua volta stimola ulteriore domanda di lavoro - servizi, ristorazione e così via. La Banca d'Italia ad esempio stima che questo processo potrebbe portare ad un aumento del 7% del Pil».
Al momento si tratta però solo di una proposta. La realtà è che siamo ancora parecchio indietro «rispetto ai Paesi nordici, all'avanguardia in tema di politiche di condivisione delle responsabilità genitoriali. Abbiamo anche un grande gap rispetto al tema dell'occupazione femminile», conclude Di Salvo, «per cui siamo maglia nera in Europa ma che proprio in questi anni ha registrato, invece, un'inversione di tendenza. C'è ancora tanto da fare, per noi questa è una priorità».
Chiara Del Priore
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