Pubblica amministrazione, il posto fisso è una chimera anche per chi vince un concorso

Ilaria Costantini

Ilaria Costantini

Scritto il 30 Dic 2013 in Articolo 36

Dedicare anni e sacrifici per partecipare ad un concorso pubblico: superare le prove preselettive, gli scritti e infine gli orali; leggere il proprio nome tra i vincitori o gli idonei nella graduatoria finale e poi attendere altri lunghi anni per un'assunzione, che potrebbe anche non arrivare mai.
Secondo stime accreditate sarebbero oggi tra le 70 e le 100 mila le persone che in Italia hanno superato una procedura selettiva pubblica senza però riuscire a coronare il sogno dell'assunzione. Colpa dei tempi biblici che occorrono per portare a termine un concorso, degli immancabili ricorsi, di una legislazione che ha progressivamente allungato la vita lavorativa dei dipendenti pubblici e dei tagli imposti alle dotazioni organiche; ma colpa soprattutto del famigerato blocco del turn over, che negli ultimi anni ha drasticamente ridotto la possibilità di rimpiazzare i lavoratori che vanno in pensione con nuove risorse di personale. Basti pensare che nel 2014 le amministrazioni potranno procedere a nuove immissioni in ruolo in misura non superiore al 20% dei pensionamenti; percentuale destinata a salire di 20 punti percentuali all'anno fino al 2018, quando si dovrebbe tornare finalmente all'equivalenza tra entrate e uscite.
Dopo anni di immobilismo - in cui il legislatore si è per lo più limitato a prorogare la validità delle graduatorie - il governo Letta è di recente intervenuto sulla materia con una serie di norme grazie alle quali si conta di smaltire progressivamente queste interminabili liste di attesa. Fino al 31 dicembre 2016 l'art.3 del decreto legge 101/2013, vieta infatti alle amministrazioni centrali dello Stato di aprire nuovi concorsi prima di aver immesso in servizio tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie, la cui validità è parallelamente prorogata per i prossimi tre anni. Prima di pubblicare un nuovo bando, gli stessi enti dovranno inoltre verificare l'eventuale presenza di idonei per il profilo ricercato all'interno delle graduatorie pubblicate a partire dal 1 gennaio 2007. Introdotta anche una regolamentazione più severa per l'utilizzo dei contratti flessibili, altra storica piaga dell'amministrazione italiana, che coinvolge altre 120mila persone, la cui posizione finisce molto spesso per confliggere proprio con quella di vincitori ed idonei, in un'assurda lotta per il posto di lavoro. Su questo fronte il decreto 101 introduce la possibilità di svolgere concorsi riservati al personale in servizio a tempo determinato da almeno 3 anni (negli ultimi 5) entro il limite massimo del 50 % delle risorse destinate alle assunzioni.
Una delle novità più interessanti riguarda infine il così detto "concorso unico", ossia una procedura di reclutamento per i dirigenti e le figure professionali comuni a tutte le PA, indetto e gestito direttamente dalla funzione pubblica, che consentirà tra l'altro un evidente risparmio in termini di costi e al quale potranno eventualmente decidere di aderire anche Regioni ed enti locali.
Il primo aspetto da tenere presente qualora si decida di intraprendere l'impervia strada di un concorso è che non esiste in realtà un preciso vincolo di assunzione da parte dell'amministrazione che lo bandisce: non soltanto rispetto agli idonei - coloro cioè che, pur avendo superato tutte le previste prove, non si sono collocati nel numero delle posizioni messe a concorso - ma neppure dei vincitori.  La legge che regola la materia, il decreto legislativo 165/2011, (art. 35 comma 5 ter) si limita infatti a stabilire che «le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni a partire dalla data di pubblicazione». Ciò significa che in questo arco temporale l'amministrazione potrà assumere nuovo personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato soltanto attingendo da tale graduatoria, «ma se l'ente decide di non assumere, nessuno può obbligarlo» puntualizza il presidente del Comitato nazionale XVII Ottobre, Alessio Mercanti, 34 anni, che dal 2007 porta avanti la causa dei vincitori e degli idonei mai assunti dalla Pa ed è diventato un vero e proprio punto di riferimento sulla materia - impegno tanto più meritorio considerato che Mercanti è già un dipendente pubblico presso l'Inail. «Tra i casi più gravi ci sono al momento il concorso per il ministero della Giustizia, con vincitori che attendono un'assunzione da cinque anni; la vicenda dei 107 posti banditi nel 2008 dall'Istituto del Commercio estero, poi soppresso e in seguito ricostituito come Agenzia e quella dei 404 vincitori del concorso Inail del 2007. La vicenda più eclatante resta però quella del concorso per restauratori bandito nel 2000 dalla Regione Sicilia dove, tra ricorsi e altre vicissitudini, la graduatoria finale è stata pubblicata nel 2011 e ancora non è stato assunto neppure un vincitore» spiega Mercanti.
Al di là delle stime, le proporzioni di quest'isola di senza diritti restano per lo più ignote: l'unica rilevazione disponibile, effettuata nel 2011 dal dipartimento della Funzione pubblica sulle graduatorie approvate dopo il 30 settembre 2003, indicava una percentuale di vincitori in attesa di assunzione pari al 25% su un totale di  7.164 posti messi a bando dalle sole amministrazioni dello Stato. Tra gli esempi meno virtuosi ci sono proprio i ministeri, con una percentuale di assunzione di vincitori di appena il 53 per cento. Numeri che non includono peraltro né il comparto sicurezza, né - soprattutto - il vastissimo arcipelago dei concorsi banditi dagli enti locali, regioni e soprattutto comuni, dove i numeri potrebbero anche essere più inquietanti. «Rispetto alle amministrazioni centrali, che devono sempre essere autorizzate sia a bandire nuovi concorsi sia ad effettuare le relative assunzioni, gli enti locali sono soggetti a minori controlli».Su questo fronte i maggiori problemi per vincitori, idonei come anche per candidati che devono ancora terminare una procedura tendono a presentarsi molto spesso a seguito di nuove elezioni: «Quando cambia una giunta i nuovi amministratori sono di norma poco favorevoli all'assunzione dei vincitori» rileva il presidente del comitato XXVII Ottobre. «Anche se si è del tutto estranei ai retaggi politici, in molti casi si finisce per pagare il fatto che il concorso sia stato bandito con la vecchia gestione. In questo caso forse l'obbligo del concorso unico avrebbe un senso, ma è non è facile sfilare ad un sindaco o ad un presidente di regione il potere di bandire un concorso pubblico, che è un potere enorme in termini di consenso». Ci sono ovviamente delle eccezioni: tra le storie di concorsi locali a lieto fine c'è ad esempio quella del Comune di Napoli, dove il sindaco Luigi De Magistris ha di recente deciso di adottare le graduatorie nate con la precedente consiliatura, dando il via libera a 235 nuove assunzioni. Restano invece nel limbo dell'incertezza i partecipanti del maxiconcorso per Roma capitale, una delle più grandi procedure mai bandite da un ente locale, fortemente voluto nel 2010 dalla giunta Alemanno e sul quale il nuovo sindaco Ignazio Marino ha avanzato nelle scorse settimane pesanti ombre di irregolarità, arrivando a minacciare l'annullamento di tutte le 22 procedure selettive, per un totale di 1995 posti, per i quali avevano presentato domanda 300mila candidati.

Tutto considerato appare legittimo porsi la domanda se valga ancora la pena investire nel percorso che, stando all'articolo 97 della Costituzione, resta pur sempre la via ordinaria per accedere ai pubblici impieghi. In merito la posizione del presidente del Comitato XVII ottobre è netta: «no, non penso che ne valga la pena, almeno sino a quando non si deciderà di cambiare sul serio le regole del gioco».

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