Bip scommette su Maam per valorizzare maternità e paternità in azienda

Scritto il 05 Set 2018 in Notizie

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«A me la maternità ha dato uno sprint: è come se avesse accelerato quello che già avevo dentro, sviluppando in me un maggiore entusiasmo. Sono tornata al lavoro carica». Michela Piazzolla ha 37 anni e lavora nell’ufficio Risorse umane della più grande società di consulenza a matrice italiana, Bip. Una volta rientrata dalla maternità le hanno affidato un nuovo ruolo… Ma no, questa non è affatto la storia di un demansionamento. Tutto il contrario. Il nuovo ruolo non solo è stimolante - fare employer branding seguendo progetti di engagement «volti a “ingaggiare” i colleghi, affinché siano soddisfatti e contenti di lavorare in quest’azienda» - ma le permette anche di costruire in Bip un programma molto speciale.
 

stage lavoro bipSi chiama Parent program ed è rivolto a quella fetta di popolazione aziendale che ha figli piccolissimi, tra zero e tre anni: sugli oltre duemila dipendenti di Bip sono circa una cinquantina all’anno. Il program è composto da più iniziative: smart working («lo spingiamo molto su mamme e papà»), l’onboarding per le donne che rientrano dalla maternità («Magari una collega è stata fuori per sei mesi, un anno: prima che torni a seguire i suoi clienti sediamoci a un tavolo, raccontiamoci che cosa è cambiato, la struttura, l’organigramma, la policy. In pochi mesi può cambiare tanto»), tre giorni di paternità retribuita per i neopapà in aggiunta a quelli previsti dalla legge.
 
Ma ci voleva anche qualcosa di più forte. «Ho iniziato a fare delle ricerche» racconta Piazzolla: «Volevo trovare qualcosa che coinvolgesse sia mamme che papà, che fosse innovativo e fruibile anche dal punto di vista tecnologico – perché la nostra popolazione aziendale è fatta di consulenti, e i consulenti non sono quasi mai in sede».
 
Maam è una piattaforma digitale, utilizzabile quindi da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, che permette un “empowerment” dei neogenitori guidandoli attraverso un percorso di presa di consapevolezza di quanto ciò che si impara prendendosi cura di un neonato possa anche essere utilizzato al lavoro. «Mi sono ritrovata in Maam, e ho pensato: molto probabilmente ci si ritroveranno anche altre persone come me. Non solo mamme, ma anche papà».
 
Piazzolla in prima battuta ne parla all’HR director di Bip, Fausto Fusco: «Gli ho spiegato il programma, l’iniziativa, i vari moduli nel dettaglio, gli ho fatto vedere anche il pilota. A lui è piaciuto subito, siamo andati avanti e lo step successivo è stato ritrovarmi in stanza con il nostro amministratore delegato, Carlo Capé, a parlare di Maam: una bella chiacchierate, densa di argomenti».

 
carlo capé bip Best Stage 2017Capé aveva già incrociato Maam: all’evento Best Stage 2017 della Repubblica degli Stagisti aveva partecipato insieme a Riccarda Zezza, la founder di Maam, alla tavola rotonda “Ragazze, al lavoro!”. Una sorta di serendipity, dunque, che la sua “engagement manager” gli stesse proponendo proprio il progetto di Zezza. E inoltre tra la Repubblica degli Stagisti e Maam era appena partita una partnership per favorire l’adesione a Mamm da parte delle aziende dell’RdS network, di cui Bip faceva e fa parte.
 
A
rriva dunque l’ok, e a novembre 2017 si parte. A questo punto l’ufficio HR  di Bip si coordina con l’ufficio Comunicazione: «Acquistato Maam, ho parlato con la responsabile della Comunicazione di Bip, Maura Satta Flores, e con il suo braccio destro Camilla Castaldo: “Ragazze, abbiamo acquistato il Maam: ora divulghiamo il verbo!”».
 
«Attraverso la nostra intranet abbiamo fatto una breaking news, come la chiamiamo noi» interviene Castaldo «con un titolo, un video che ci ha fornito Maam, una descrizione dettagliata del programma, una brochure. Abbiamo dedicato un’intera sezione della intranet al parent program e al Maam. E poi naturalmente abbiamo fatto un lavoro di ufficio stampa per far conoscere anche all’esterno questa novità: ho constatato che su questo tema c’è una grande attenzione».
 
Al momento trentotto dipendenti Bip stanno effettuando il percorso Maam: «E la cosa interessante è che sono più papà che mamme!» dice Michela Piazzolla: «Ventuno papà e diciassette mamme, per la precisione. Sembrano tutti entusiasti. Ed è bello che il dato maschile sia così forte: culturalmente si pensa sempre che all’inizio sia più la madre ad essere coinvolta e che il padre stia lì a guardare. Ma non è più così».
 
L’obiettivo dichiarato di Bip nel portare Maam in azienda, e più in generale nel costruire il Parent program, è anche quello di migliorare quella che in gergo si chiama la “employee retemption”. Perché la consulenza è un settore economico che, in controtendenza rispetto alla maggior parte degli altri, anche in Italia va molto bene. I fatturati delle società di consulenza crescono, e ogni anno si aprono migliaia di opportunità di lavoro per neolaureati. A livello di employer branding questo impegno di Bip sulla genitorialità potrebbe essere un motivo di attrazione per le giovani professioniste: «Il fatto che un’azienda offra lo smart working o il welfare aziendale è qualcosa che un candidato valuta, prima di accettare una proposta lavorativa» conferma Michela Piazzolla: «L’offerta economica ha ovviamente un certo peso, ma ormai i giovani non guardano più solo quella. I candidati in sede di colloquio pongono questi temi, chiedono: potrò lavorare in smart working? Avete un pacchetto welfare? Ormai i millennials cercano questo».
 
Acquistare una piattaforma come Maam, infatti, è un po’ una dichiarazione pubblica: ci si posiziona come aziende attente al tema della conciliazione tra vita privata e vita professionale. Una promessa implicita ai candidati e alle candidate: non sarete discriminati se farete un figlio, anzi, l’azienda investirà su di voi come e più di prima.
 
Camilla Castaldo ci è passata in prima persona. Lavora in Bip da poco più di due anni – ne ha 37 – e «dal precedente lavoro mi ero dovuta licenziare perché non riuscivo a conciliare. Zero flessibilità. Appena ho dato le dimissioni ho avuto la fortuna di conoscere Bip: sono stata assunta, con due figli piccolissimi, e ho subito ottenuto un contratto part-time proprio per poter gestire gli impegni familiari. Un giorno alla settimana posso lavorare da casa, e questo aiuta tanto, tantissimo. A me è cambiata la vita. Ho riscontrato molta attenzione da parte dell’azienda da subito, prima ancora di Maam!».
 
Unico piccolo rimpianto di Castaldo, non aver potuto fare in prima persona il percorso Maam: «Mi sarebbe piaciuto molto, sarei stata curiosa! Ma ahimè la mia più piccola aveva già tre anni compiuti al momento in cui Maam è arrivato in Bip».
 
Michela Piazzolla invece lo sta facendo, dato che sua figlia ha poco più di due anni. «La cosa che piace di questa piattaforma è che si dà importanza a un momento della vita che solitamente è buio» dice: «Un buco nero, spesso vissuto male dalle madri stesse, con il senso di colpa di assentarsi. Invece attraverso Maam l’azienda dimostra di valorizzare anche questo passaggio della vita di un dipendente: è come se dicesse “so che tu stai facendo un’altra cosa, e però so anche che quest’altra cosa ti permette di formare e consolidare delle competenze che poi tu mi riproporrai qui, al tuo rientro in ufficio”».
 
In un mondo del lavoro ancora molto difficile per le donne con figli, questi sono messaggi di importanza esplosiva. Per questo RdS, che è sempre alla ricerca di progetti per migliorare le condizioni di lavoro in Italia – compito non facile! – ha costruito una partnership con Maam e da allora propone attivamente a tutte le sue aziende l'adesione a Maam!

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