Quando la vita diventa un master: come e perché Maam è un progetto changemaker

Giada Scotto

Giada Scotto

Scritto il 13 Gen 2020 in Interviste

#Ashoka #Ashoka fellow #imprenditori sociali #Maam #master Maam #Riccarda Zezza

Chi ha detto che un master si può svolgere solo tra i banchi universitari? E se invece la strana acrobazia di una mamma che sta con una mano al pc e l’altra sul biberon, magari con un occhio puntato sul telefono aziendale, fosse già in sé un piccolo corso di formazione? È con la volontà di valorizzare le competenze che si sviluppano tra le peripezie quotidiane di genitori divisi tra lavoro e famiglia che Riccarda Zezza nel 2014 ha deciso di creare Maam, “maternity as a master”, un programma che aiuta a sfruttare in ambito lavorativo tutte quelle capacità maturate quasi inconsapevolmente nella pratica quotidiana, specie con la nascita di un figlio, che si rivelano poi indispensabili anche nel lavoro: le cosiddette “soft skills”. L’idea è quella di combattere lo stereotipo secondo cui carriera e vita privata risultano spesso in concorrenza tra loro e mostrare come l’energia spesa in ambito familiare permetta invece lo sviluppo di competenze chiave anche in ambito professionale. Grazie a questo progetto di imprenditoria sociale nel 2016 Riccarda Zezza è stata nominata Ashoka fellow.

Da dove arriva l'idea di Maam?
Dalla mia esperienza personale. Ho infatti lavorato per quindici anni in grandi aziende multinazionali dove, a seguito delle mie maternità, ho vissuto l'aumento di complessità che deriva dall'avere diverse dimensioni importanti nella vita: una vera e propria palestra continua di competenze soft. Avere più ruoli non è un limite, anzi, arricchisce le persone con nuove energie che possono trasferirsi dalla sfera personale a quella lavorativa e viceversa. È così che mi è nata l'idea del metodo formativo di  Maam – Maternity As A Master, partendo da numerose ricerche scientifiche e interviste che confermavano le mie ipotesi di partenza. È seguito il libro “Maam. La maternità è un master che rende più forti uomini e donne”, scritto a quattro mani con Andrea Vitullo, co-fondatore del metodo. Dai percorsi di formazione in aula destinati ai “caregiver”, siamo successivamente arrivati all’idea di rendere digitale la nostra proposta. Da qui è partita l’avventura con la start up Life Based Value, società ED-tech che oggi vende alle aziende programmi di formazione digitale caratterizzati dal metodo del “Life Based Learning”, per trasformare le esperienze di vita in crescita professionale.


Come funzionano i vostri master?

Ad oggi il nostro metodo di apprendimento incrocia due fasi di vita: quella della genitorialità, con i master per le neomamme e i neopapà, e quella della cura di un genitore non autosufficiente, con il master per i figli caregiver.  I master trasderiscono il metodo del life based learning, l’apprendimento basato sulla vita: si accede ai contenuti online, e si sfrutta la pratica della vita quotidiana, a casa o al lavoro, per applicare e allenare alcune competenze soft, come l’empatia, il problem solving, la creatività, l’orientamento al risultato. Con i master, che non si svolgono in aula ma online e “nella vita reale”, aiutiamo le persone ad acquisire consapevolezza riguardo il fatto che le competenze particolarmente apprezzate nel mondo del lavoro vengono apprese e allenate nella loro vita quotidiana. Inoltre, insegniamo un metodo che trasferisce sul lavoro ciò che viene appreso nella vita, e viceversa. Oltre ai master per caregiver offriamo anche un percorso per i manager MAXimize, che offre contenuti formativi sui temi degli stereotipi – gli unconscious bias – e un tool per mettere in contatto il manager con il proprio collaboratore che sta partecipando a uno dei master. In questo modo aiutiamo le aziende a operare su più fronti, per creare un ambiente che sia inclusivo delle diversità e delle esigenze di tutte le tipologie di dipendenti, incluse le mamme, i papà, o gli over cinquanta che spesso ricoprono impegnative responsabilità di cura familiare.


Com’è organizzato il lavoro nella vostra startup?

L’azienda ha vissuto un processo importante di crescita negli ultimi mesi. Oggi è strutturata in team funzionali, dedicati rispettivamente alle attività di design e sviluppo digitale, ricerca e sviluppo di contenuti formativi, sviluppo del business – che include customer experience marketing e comunicazione, vendite – internazionalizzazione e finanza e amministrazione. Siamo in venti tra dipendenti e collaboratori. L’età media delle persone è di trentaquattro anni, il 65% sono donne e contiamo nel team sei nazionalità differenti. Insomma, da noi la diversity è assicurata!


Dal punto di vista economico, avete realizzato nel 2019 un importante aumento di capitale...

Sì, lo abbiamo chiuso lo scorso luglio con l’ingresso di alcuni “Business Angel”, 101 soci privati acquisiti grazie a una campagna di crowdfunding, e, in ultimo, tre fondi – l’ungherese Impact Venture, l’italiana Opes-LCEF Foundation, l’inglese MPA Education. Abbiamo raccolto un milione e mezzo di euro, che stiamo reinvestendo in tre principali aree: sviluppo dei prodotti digitali, attività di marketing e internazionalizzazione. Sappiamo che la nostra soluzione è unica al mondo e questo ci è da lo stimolo per continuare a innovare e sbarcare in nuovi mercati. Al momento il nostro orizzonte a medio-termine è l’Europa, ma abbiamo già raccolto manifestazione di interesse in diverse altre parti del mondo.


Perchè l'attività di Maam è importante per la società?

Le persone sono centrali nelle strategie delle aziende. Da una recente ricerca di Harvard Business University, risulta che il 73% dei dipendenti in un’azienda è un caregiver e in, media, dedica circa ventiquattr'ore a settimana a questa importante dimensione identitaria.
Con l’allungamento della vita attiva questi numeri sono destinati ad aumentare: le aziende che sapranno valorizzare le esperienze della vita delle proprie persone acquisiranno nuove fonti di energia, aumento della produttività, benessere organizzativo. Le aziende che sanno vedere e fare spazo alla crescente complessità della vita dei propri collaboratori, facendone un vantaggio competitivo, noi le chiamiamo “Life Ready”.

Quante aziende ad oggi hanno adottato le vostre proposte?
Ad oggi circa settanta. Stiamo parlando di grandi società, che hanno un grande impatto nell’economia e nel mondo del lavoro in Italia, e che con noi si impegnano anche a cambiare il paradigma vita-lavoro. Dovrebbero essere molte di più e lavoreremo perché sia così! perché si tratta di una trasformazione necessaria e urgente, o la combinazione vita-lavoro diventerà presto insostenibile: i primi segnali di affaticamneto ci sono già, basti guardare ai crescenti livelli di stress.

In che cosa Maam è innovativo?
Maam è un metodo formativo proprietario, con basi scientifiche, unico al mondo. Abbiamo svolto numerose analisi di mercato e ancora oggi possiamo vantare il fatto di essere non solo i primi, ma ancora gli unici ad aver sviluppato un metodo che, basandosi sulle esperienze della vita, arricchisce sia le persone, sia le aziende. Uno dei nostri punti di forza è la ricerca scientifica. Prima di lanciare un nuovo prodotto formativo, conduciamo un’approfondita fase di ricerca, svolta sia con attività desk – approfondiamo temi legati alle neuroscienze e alle scienze comportamentali – sia con focus group e interviste; abbiamo un prezioso comitato scientifico e collaboriamo con diverse università come l'Alma Mater di Bologna, Ca Foscari e la Kellogg University.


Come si è svolto il percorso per diventare Ashoka fellow?

Si tratta di una selezione molto rigorosa, che valuta la persona ancora prima del progetto. La fellowship infatti seleziona e “segue” il fellow, non l’azienda. Viene valutata l’intenzione di avere un impatto positivo nel mondo, oltre alla portata del cambiamento promosso, che deve essere di carattere sistemico, ovvero: non tamponare i problemi con soluzioni a valle, ma risolvendoli a monte. Una soluzione sistemica, se funziona, elimina il problema alla radice, e il fellow si dedica a nuove missioni.


Cosa ha significato esser nominata fellow?

Certamente un grande orgoglio. Ashoka è una grande occasione di networking e confronto con gli oltre 3.500 imprenditori sociali di tutto il mondo che condividono le proprie esperienze. Da quando sono Ashoka Fellow ho  avuto l’opportunità di presentare Life Based Value in molti Paesi e siamo stati citati come best practice in importanti pubblicazioni internazionali. Siamo arrivati fino in Giappone, perchè un probnlema sociale spesso è simile a ogni latitudine, e così può esserlo la sua soluzione. Con Ashoka è stato possibile pensare subito in modo mondiale ed essere riconosciuti, grazie alla fellowship, come una vera e propria innovazione sociale.


Intervista a cura di Giada Scotto

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