Giada Scotto
Scritto il 15 Apr 2019 in Interviste
#Agenzia di stampa giovanile #Ashoka #Viracao Paulo Lima
Dare ai giovani la possibilità di prendere direttamente la parola e mettersi in gioco nell’affrontare le questioni sociali più urgenti: dall’educazione all’ambiente, dalla salute alla politica. È questa la sfida che ha lanciato a se stesso e a tanti ragazzi Paulo Lima, fondatore dell’associazione Viraçao e protagonista della terza intervista del ciclo dedicato da Repubblica degli Stagisti agli Ashoka Fellow.
Nato e cresciuto in Brasile, giornalista con in tasca una laurea in filosofia, Paulo Lima si impegna sin da giovanissimo in associazioni che mirano all’integrazione sociale e alla salvaguardia dei diritti umani, scrivendo e partecipando attivamente a campagne e progetti. Determinato a fare qualcosa per il proprio paese, dopo aver vissuto sulla propria pelle i disagi che percorrono le favelas brasiliane, decide nel 2003 di dar vita a Viraçao, un'associazione no-profit che si occupa di promuovere e difendere i diritti dei giovani mettendo in campo progetti educativi e di comunicazione. Primo passo: fondare dell'omonima rivista, nata con l’intento di dare ai giovani la possibilità di informarsi e di diffondere loro stessi informazioni su importanti questioni social. A seguire, l'ideazione di progetti educativi in varie regioni del Brasile e la creazione del sito web Agència jovem de noticias, grazie a cui i giovani possono trasformarsi in veri giornalisti, mettendosi in gioco nella ricerca e diffusione di informazioni a tema sociale. Nel 2009 l'amore lo porta a trasferirsi in Italia, dove lavora per la diffusione e l'implementazione del suo progetto di coinvolgimento e responsabilizzazione dei giovani tramite progetti educativi e un sito web "gemello" Agenzia di stampa giovanile, coordinato nella sua versione italiana da due "nuclei operativi" a Trento e Bologna.
Viraçao nasce quindi come un impegno in prima persona a favore dei giovani.
Esatto, il progetto è nato proprio dalla volontà di rispondere in modo propositivo a un problema che vedevo tra i giovani e gli adolescenti brasiliani, cioè quello della negazione del loro diritto ad esprimersi liberamente, a trovare spazi aperti e democratici di partecipazione alla vita della comunità. Il primo passo è stata la creazione di una rivista mensile cartacea, appunto Viração, che nel gergo dei ragazzi di strada significa “mettersi in gioco”. L’idea da cui si è sviluppato il programma, che continua tutt’oggi, era quella di stimolare la partecipazione dei giovani, il loro coinvolgimento nella vita sociale, attraverso l’uso creativo dei mezzi di comunicazione e informazione sia tradizionali che moderni. Così, dopo la rivista cartacea, abbiamo creato nel 2005 il sito web Agència jovem de noticias (Agenzia di stampa giovanile, nella sua versione italiana) uno spazio multimediale in cui i giovani si sentissero liberi di esprimersi su temi quali diritti umani, questione sociale e ambientale: ognuno di loro ricerca, intervista, fotografa, mappa; insomma, svolge il lavoro del giornalista e intanto si apre alla conoscenza di se stesso e della realtà che lo circonda. Mentre la rivista è disponibile solo in portoghese, l’Agència si può trovare in portoghese, italiano, inglese e spagnolo.
Come si fa a gestire un'attività così grande sia in Italia che in Brasile?
In Brasile abbiamo un team di coordinamento generale composto da quindici collaboratori fissi con un'età media di venticinque anni e con background di studi differenti: giornalisti, sociologi, pedagoghi. Con loro faccio riunioni "virtuali" quasi ogni giorno, per decidere e organizzare ogni step: sono loro, infatti, ad occuparsi e a gestire tutti i progetti che Viraçao porta avanti in Brasile. Poi, per quanto riguarda specificamente la rivista, abbiamo comitati di giovani in una ventina di città delle varie regioni del Brasile. Da quando infatti, nel 2014, è diventata semestrale e tematica, la sua “produzione” coinvolge circa un centinaio di ragazzi, impegnati nelle varie fasi: anche con loro facciamo riunioni via Facebook per definire la tematica e la scaletta, a cui segue la parte creativa di preparazione e stesura, e in ultimo la diffusione. L'agenzia invece funziona a partire da “nuclei” localizzati in vari paesi, e resi possibili dalla creazione di partenariati con varie associazioni: in Italia abbiamo già due nuclei, uno a Trento e un altro a Bologna, a cui lavorano complessivamente sette volontari e una dipendente part-time, e che sono resi possibili dal partenariato tra Viração e Jangada, associazione trentina che si occupa di cooperazione allo sviluppo con il Brasile e costituisce, insieme a Viração, il braccio operativo dell'associazione in Europa e Africa. Poi ne abbiamo un nucleo in Brasile, a San Paolo, uno in Argentina, a Cordoba, grazie alla collaborazione con l’associazione Fundacíon Tierravida, e uno in Colombia, a Bogotà, grazie alla collaborazione con Climalab.
Il contesto delle realtà giovanili in Brasile è differente da quello italiano?
Direi che in Brasile, spesso, i giovani sono costretti a cercare lavoro mentre studiano, e questo li fa forse maturare prima, mettendoli di fronte alla responsabilità di impegnarsi per riuscire in un contesto difficile, fatto di violenza verso la popolazione giovanile afrobrasiliana, ma anche di mancanza di accesso a diritti basilari quali quello alla salute e a un'educazione pubblica di qualità.
Questo influisce anche sul tipo di attività e progetti messi in campo da Viração nei due paesi?
Certo. E' proprio per questo che in Italia puntiamo sull'educazione alla cittadinanza planetaria, cercando in qualche modo di contribuire ad aprire le menti dei ragazzi italiani e sollecitarli sull'importanza di sentirsi responsabili per il loro presente e il loro futuro. Si inserisce in questa traiettoria Prendiamoci cura del pianeta, un progetto nato nel 2010 all'interno di un percorso europeo che coinvolge complessivamente dieci paesi e che attualmente portiamo avanti, grazie alla collaborazione con le singole scuole e con il Cnr di Bologna, in dodici scuole medie e superiori di quattro regioni d'Italia: Trentino, Emilia Romagna, Puglia e Sicilia. L'obiettivo del progetto è quello di educare i ragazzi appunto alla cittadinanza planetaria, focalizzando l'attenzione sui cambiamenti climatici. Non si tratta però di pura teoria, i ragazzi si mettono realmente in gioco facendo qualcosa di concreto, realizzando una "micropolitica" all'interno della loro scuola o nella loro città: si realizzano campagne di sensibilizzazione, si creano cestini per la raccolta differenziata o, ad esempio, si lavora alla creazione di un impianto fotovoltaico per la scuola. Se altre scuole fossero interessate a partecipare al programma, possono contattarci e cercheremo di capire insieme come estendere il progetto. C'è anche un altro progetto, però, di cui mi preme parlare, che si chiama Visto climatico ed è co-finanziato dalla provincia di Trento. Con quest'iniziativa ci impegniamo a portare ragazzi di scuole superiori e università ad assistere alle conferenze Onu sui cambiamenti climatici, così che possano poi "restituire" ciò che hanno imparato con campagne di sensibilizzazione sul territorio trentino. La prossima conferenza sarà a Santiago del Cile a dicembre. Infine c'è Giovani narratori, un ulteriore progetto mirato a creare una campagna di sensibilizzazione in Trentino sulla complessa tematica che coinvolge cooperazione internazionale, migrazioni e cambiamenti climatici.
E come è entrata Ashoka in questo percorso?
Il riconoscimento di fellow Ashoka è arrivato in Brasile nel 2016 ed il cammino per diventarlo è stato un percorso di arricchimento personale e professionale che ha coinvolto anche la mia famiglia e il mio team. Dall’indicazione del progetto alla selezione finale sono passati circa sei mesi, in cui ho dovuto ripercorrere la storia della mia vita, riflettere sulle motivazioni che mi avevano portato a cercare una soluzione innovativa per favorire la partecipazione nel sociale dei ragazzi. E per questo ha rappresentato un momento di profondo arricchimento.
Ci sono differenze tra Ashoka Italia e Ashoka Brasile?
Sì, assolutamente, e sono dovute essenzialmente al fatto che Ashoka Italia è molto più giovane: Ashoka Brasile ha più di vent'anni e conta circa trecento fellow in tutto il Brasile, mentre in Italia ce ne sono appena dieci, tra cui io che, vivendo in Italia, sono stato "adottato" da Ashoka Italia pur essendo stato eletto in Brasile. La differenza maggiore è che in Brasile i fellow si riuniscono con una certa periodicità, mentre in Italia avviene un incontro annuale tra i fellow e lo stato Ashoka: adesso stiamo cercando di ritrovarci più spesso e questo è fondamentale perché gli incontri sono un ottimo momento di interscambio ma anche di formazione.
Cosa significa esser stato nominato Fellow?
La nomina a Fellow è stato il segnale del fatto che ero sulla giusta strada, e che non ero solo. All’inizio mi sentivo quasi un “pazzo”, per il mio avere così a cuore la questione della partecipazione sociale: poi ho scoperto che nel mondo ci sono oltre 3mila pazzi che, come me, mettono al primo posto il bene comune, che rischiano la loro vita per difendere gli ideali in cui credono, i diritti umani.
Cosa rende unico il progetto Viraçao?
La differenza rispetto ad altri progetti di questo tipo in Brasile o nel mondo sta nella metodologia: Viraçao ha creato spazi comunicativi, sia reali che virtuali, che permettono ai ragazzi di esercitare realmente il loro diritto alla comunicazione, inteso quale diritto che, in qualche modo, dà accesso a tutti gli altri diritti della persona. Il diritto alla comunicazione va infatti ormai oltre la “libertà di espressione”, essendo il diritto di ognuno ad avere accesso ai mezzi di produzione e diffusione dell’informazione, e ad avere la conoscenza necessaria ad utilizzare questi mezzi autonomamente.
E se nuovi giovani volessero arruolarsi nelle truppe di Viraçao, ci sarebbe posto?
Certamente, basta contattarci. Anzi, siamo sempre in cerca di ragazzi che vogliano mettersi in gioco, sia come stagisti che come volontari. Abbiamo bisogno soprattutto di giovani che si impegnino nel settore della comunicazione e del fundraising. La ricerca dei fondi è infatti fondamentale per riuscire a portare avanti tutti i nostri progetti, e a chi vuole darci una mano consiglio di dare un'occhiata alle t-shirts e alle shopper bag "a tema" acquistabili sul nostro sito.
Quale è l'impatto più forte che questo progetto ha avuto sulla società?
La soddisfazione più grande l’abbiamo avuta senza dubbio quando il nostro lavoro di rete e di advocacy ha portato alla formulazione di alcune leggi o politiche pubbliche. Ad esempio in Brasile, grazie al nostro lavoro, il ministero della Cultura ha riconosciuto ufficialmente alcune iniziative giovanili nell’ambito della produzione dei media alternativi.
Dal punto di vista economico quali sono le risorse principali dell'associazione?
In Brasile il finanziamento del progetto viene per il quaranta per cento dal settore pubblico, vale a dire istituzioni pubbliche locali e nazionali; per il dieci per cento da organismi multilaterali internazionali, Unesco e Unicef; per il venti per cento da prestazioni di servizi alle altre organizzazioni no profit e per il restante trenta per cento da fondi privati, ossia donazioni di singoli e aziende.
Per il futuro quali sono i prossimi step e obiettivi?
L’obiettivo principale è quello di consolidare Viração&Jangada in Italia attraverso dei partenariati con altre organizzazioni e una rete di sostenitori e finanziatori. E poi vogliamo sviluppare nuovi progetti in Africa, cercando di espandere e portare anche lì il metodo di lavoro che abbiamo sviluppato in questi sedici anni di lavoro.
Intervista a cura di Giada Scotto
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