Miniere che inquinano, ecco l'Ashoka Fellow che si batte per l'ambiente in tutto il mondo

Giada Scotto

Giada Scotto

Scritto il 10 Set 2019 in Interviste

#imprenditori sociali Ashoka Ashoka fellow Flaviano Bianchini Source International

Un Erin Brockovich al maschile – e italiano – che combatte l'inquinamento causato dalle multinazionali e vince processi impossibili. Per il resto, però, la storia di Flaviano Bianchini è molto diversa da quella dell'attivista americana portata sullo schermo vent'anni fa da Julia Roberts. Marchigiano, trentasette anni, in tasca una specializzazione in Gestione e valorizzazione delle risorse naturali e un master in Diritti umani, Bianchini è fondatore e direttore di Source International, per la quale ha ottenuto il riconoscimento di Ashoka Fellow. Con la sua organizzazione collabora con comunità locali, in particolar modo centro e sud-americane, africane ed asiatiche, che si trovano a combattere con casi di inquinamento ambientale e danni alla salute legati specialmente alle attività di industrie estrattive, fornendo un supporto tecnico-scientifico che permetta loro di valutare i danni e di mettere in moto azioni riparative e di indennizzo.
Grazie a Source, in Messico una comunità ha ottenuto cinquanta milioni di dollari di indennizzo da una compagnia mineraria. In Honduras la Corte suprema di giustizia ha dichiarato incostituzionale la legge mineraria. In Guatemala la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha condannato l'operato di un'altra compagnia mineraria. In Mongolia alcuni dissidenti ambientalisti che erano in carcere sono stati liberati. In Indonesia è stata ottenuta la bonifica di una zona inquinata da una discarica. In Mozambico uno staff locale controlla l'operato delle miniere di carbone; e nella città di Cerro de Pasco, in Perù, è stata dichiarata un'emergenza ambientale e sanitaria. Insomma, se non è Erin Brockovich poco ci manca: prima o poi arriverà forse sul grande schermo anche la vita di Flaviano Bianchini? Per ora, la Repubblica degli Stagisti si “accontenta” di farsela raccontare dal protagonista.


Com'è nata Source International?

Tutto è iniziato nel 2006, quando ho conosciuto un’attivista guatemalteca che si occupava delle violazioni dei diritti umani legate alle industrie estrattive. Le sue posizioni erano molto forti ma le mancava un supporto scientifico. Io stavo per laurearmi in scienze ambientali e, ottenuta la laurea pochi mesi dopo, sono partito per il Guatemala con un biglietto di sola andata. Ho lavorato per l'organizzazione di questa ragazza per quasi due anni, ma poi sono stato espulso dal Guatemala dopo aver vinto un’importante causa contro una multinazionale estrattiva. Ho deciso così di andare in Perù a lavorare per un'altra organizzazione, ma presto mi sono reso conto che mi mancava una base legale. Così sono tornato in Italia per studiare diritti umani. Nel frattempo stavo maturando l'idea di costituire un'organizzazione che aiutasse le comunità locali a difendersi dallo sfruttamento dei loro territori. L'organizzazione avrebbe dovuto avere delle fondamenta scientifiche e legali. Dopo il master in “Diritti Umani e Gestione di Conflitti” ho lavorato per l'organizzazione statunitense Elaw, che sta per Environmental law alliance worldwide, convincendomi sempre più dell'importanza di una struttura solida per difendere le comunità. Così nel 2012, dopo aver ricevuto la fellowship Ashoka in Messico, ho deciso di fondare Source International, un’organizzazione internazionale che difende, con dati scientifici e legali, le comunità che subiscono lo sfruttamento delle loro risorse e dei loro territori.


Quali sono le principali attività dell'organizzazione? Lavorando in molti paesi differenti, collaborate con associazioni locali?
Abbiamo seguito più di quaranta progetti in più di venti paesi, in cinque continenti, e in ogni progetto c'è un partner locale, che può essere una comunità, un’organizzazione di base, o un’altra ong. Secondo il nostro statuto, non operiamo se non abbiamo il mandato delle comunità locali: se queste non ci chiamano, non interveniamo, perché operare senza la loro "chiamata” sarebbe, per noi, un'altra forma di colonialismo. Oltre a collaborare con loro, fornendo il nostro supporto, lavoriamo anche per formare leader locali, chiamati promotori, che possano contribuire allo sviluppo di un sistema di monitoraggio ambientale e a formare, a loro volta, nuovi promotori nella loro regione, così da promuovere il modello e aumentarne l’efficacia.


Com'è strutturata l'organizzazione e come funziona il lavoro al suo interno?

L'organizzazione è strutturata in modo molto fluido. Non abbiamo una sede, e questo significa zero costi fissi, né orari fissi di lavoro. Ognuno vive e lavora dove vuole e lavora nell'orario che preferisce. Io supervisiono i progetti e i lavori ma non "controllo" i miei dipendenti, perché ognuno deve considerarsi autonomo al cento per cento e parte di un team in cui c'è totale fiducia gli uni negli altri. Ci coordiniamo per le varie attività ma siamo distanti anni luce da una struttura classica o gerarchica.


Dal punto di vista economico, quali sono le vostre principali risorse?

Circa il sessanta per cento delle nostre entrate proviene da "servizi", ovvero da comunità o organizzazioni di base che ci pagano affinché noi li aiutiamo. Il resto viene da fondazioni o donazioni, abbiamo progetti che spaziano dalle Nazioni Unite fino a piccole comunità indigene o organizzazioni locali con uno o due dipendenti. Da regolamento, non possiamo ricevere fondi da imprese estrattive.


Come è possibile collaborare con Source International?

Ogni anno arruoliamo nelle nostre file tesisti da diverse università: le nostre tesi spaziano da quelle strettamente scientifiche a quelle di diritto, fino anche a lavori di economia applicata. Non abbiamo attività di volontariato attive ma siamo aperti a proposte e idee da chiunque voglia proporcele.


Come si è svolto il percorso di selezione per diventare Ashoka Fellow?

Sono stato eletto in Messico e Centroamerica. Il processo di selezione è stato molto duro e lungo, ma essere un Ashoka fellow dà degli enormi vantaggi. La rete degli imprenditori sociali globale è sicuramente un punto di forza, ma anche il riconoscimento dato dall'essere fellow ci ha aiutato tantissimo nel nostro percorso: potersi presentare come fellow in giro per il mondo dà quella credibilità in più che spesso serve ad aprire un dialogo.


Qual è l'impatto più forte di Source sulla società?

Credo che il cambiamento più grande stia nel fatto che adesso le comunità che soffrono dello sfruttamento del territorio da parte di grandi imprese sanno che possono chiedere aiuto, e che noi possiamo aiutarli. Presto anche le imprese sapranno che non possono più operare come hanno sempre fatto, ma che devono cominciare ad essere più rispettose di ambiente e diritti umani, onde evitare danni e sanzioni.


I prossimi obiettivi?

Vogliamo crescere ma senza snaturare la nostra anima. Vorremmo riuscire ad operare in più paesi e su più progetti ma mantenendo lo spirito attivista che ci contraddistingue.


Intervista a cura di Giada Scotto

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