Alternanza scuola-lavoro, una svolta con il Jobs Act e la Buona Scuola?

Spazi Inclusi

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Scritto il 26 Ago 2015 in Approfondimenti

C’è Giulia, 18 anni, che segue un corso per segretaria di azienda e fa pratica nell’amministrazione di una società di servizi, e c’è Tommaso, 17 anni, che vuole fare il cuoco e con l’alberghiero negli ultimi quattro mesi di scuola ha lavorato una sera a settimana in un ristorante. «Ma l’alternanza scuola-lavoro non è mai stata davvero realizzata in Italia» sostiene Franco Chiaramonte, direttore dell’Agenzia Piemonte Lavoro.  Secondo il dirigente infatti i tirocini formativi fino ad oggi non sono stati davvero integrati nel sistema, non realizzando mai un vero sistema duale, come avviene invece nei paesi del nord Europa. «La vera alternanza era molto marginale e si faceva in pochissimi posti, come Bolzano» prosegue Chiaramonte. «In Piemonte, credo unici in Italia, abbiamo avviato progetti di apprendistato per i ragazzi dai 15 ai 17 anni con percorsi che prevedevano che studiassi e lavorassi contemporaneamente. Hanno partecipato appena un centinaio di ragazzi all’anno perchè era molto complicato e difficile da strutturare».

Dal report disponibile sull’alternanza scuola lavoro, realizzato da Indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) per conto del Miur risulta che, nell’anno scolastico 2012/13, il 45,6% delle scuole secondarie di secondo grado (3.177 su 6.972) ha utilizzato l’alternanza come metodologia didattica per sviluppare le competenze previste dall’ordinamento degli studi. Molto differente l’uso di questo strumento a seconda del tipo di scuola: dei 3.177 istituti, il 44,4% sono professionali, il 34,2% tecnici, il 20% licei, 1,5% di altro tipo.  Sono stati 11.600 i percorsi realizzati per formare 227.886 studenti, pari all’8,7% della popolazione scolastica della scuola secondaria di secondo grado. La maggior parte (7.783, pari al 67,2%) è stata erogata negli istituti professionali. Seguono gli istituti tecnici (22%) e i licei (7,8%). Anche il mondo del lavoro ha dato un contributo: gli studenti in alternanza sono stati ospitati in 77.991 strutture, di cui il 58,2% (45.365) sono imprese. Seguono liberi professionisti (7,5%), Comuni (3,2%) e altri enti pubblici come Province e Regioni, oltre ad asili e scuole dell’infanzia, associazioni, biblioteche, Camere di commercio e associazioni di categoria. La distribuzione regionale degli studenti che hanno partecipato ai percorsi mostra percentuali molto diverse a seconda delle zone: in generale il 51,6% degli alunni in alternanza si concentra al nord, percentuale che scende 23,7% nelle regioni centrali e al 17,2 nel Sud, con un 7,4% nelle Isole. La maggior parte dei percorsi di alternanza-scuola lavoro nel periodo analizzato è annuale (51,1%), seguono quelli biennali (36,7%), i triennali (11,1%) e infine i quadriennali (1,1%), e la maggioranza (55,7%) risulta avere un monte ore totale minore di 100 ore. Ore che si distribuiscono in modo diverso nel corso dell’anno a seconda del progetto di stage.

Seppure l’uso dell’alternanza ha registrato un generale incremento nel tempo, se si analizzano in profondità i dati si scopre che i percorsi realizzati nelle diverse realtà scolastiche presentano caratteristiche molto diverse, in termini di lunghezza, articolazione interna, tipo di stage, utenza, risorse coinvolte, modalità di valutazione e certificazione, costi. In particolare, secondo il rapporto  di Indire, le esperienze di alternanza attivate negli istituti scolastici sono caratterizzate da una grande differenziazione dell’offerta, che solo in parte risente delle diverse realtà socio-economiche, ma che sembra molto centrata sul modello organizzativo proprio di ciascuna scuola. Tutto ciò «sembra richiamare la necessità di azioni, strumenti, indicazioni» sottolineano gli esperti «che rendano unitarie le diverse esperienze realizzate nei singoli territori».

Ora però le cose potrebbero cambiare radicalmente. Almeno sulla carta: nella riforma della scuola e nel Jobs Act infatti ci sono diverse indicazioni che riguardano proprio l’alternanza tra i percorsi scolastici e quelli lavorativi. «Credo si possa parlare di un primo intervento che prevede un’alternanza di massa, ma ora si dovrà vedere come andrà nei fatti» evidenzia Chiaramonte che parla di "una scommessa". «È un momento di grande cambiamento: non sono stati fatti cambiamenti solo nella normativa scolastica o solo in quella lavoristica, ma sono trasversali. Per la prima volta c’è un asse tra scuola e lavoro e tra le istituzioni che fa ben sperare». La Buona Scuola prevede piani formativi di alternanza scuola-lavoro nell’ultimo triennio di 400 ore per gli istituti tecnici e professionali e di 200 ore nei licei: «sono molte ore  e le scuole dovranno studiare un progetto formativo costante» rileva il dirigente dell’Agenzia per il lavoro che sottolinea «si apre un mondo totalmente nuovo: bisogna strutturare un percorso con aziende e istituzioni».

«La difficoltà fondamentale sta nei numeri» spiega Tommaso De Luca, preside dell’Istituto Tecnico Avogadro di Torino «in passato abbiamo fatto alternanza, ma mai in maniera così diffusa come prevede la nuova normativa». Il preside racconta che negli scorsi anni «avevamo avuto una trentina di alunni l’anno, per lo più in quarta, che partecipavano a stage e un’altra ventina che prendeva parte a un progetto di apprendistato con Enel. Ma ora parliamo di oltre 200 studenti per i quali bisogna pensare a percorsi strutturati». Per questo partiranno incontri con istituzioni e aziende: «il primo passo è reperire le aziende. In questo le Camere di Commercio dovranno fare un registro con le aziende disponibili in cui dovrà essere indicato anche il periodo di disponibilità ad accogliere studenti e in che numero. Poi ogni scuola deve programmare le 400 o 200 ore nell’arco dei tre anni» sottolinea De Luca, secondo il quale «non possiamo giustapporre 400 ore di alternanza alla scuola tradizionale, bisogna riuscire a integrarle altrimenti sono buttate». Anche in questo senso, considerando che l’ultimo anno tutti gli studenti devono affrontare la maturità, secondo il dirigente scolastico «bisognerebbe anche modificare l’esame di Stato affinchè in qualche modo tenga conto di questi percorsi di alternanza». Il primo triennio sarà un banco di prova per tutti  «man mano metteremo a punto il meccanismo» si augura De Luca. Un percorso tutto da costruire che chiama in gioco scuole, servizi per l’impiego, parti sociali e imprese. Ma la sfida è fondamentale se è vero, come sosteneva la ricerca di McKinsey "Studio ergo lavoro", che il 40% della disoccupazione giovanile in Italia ha natura strutturale e affonda le sue radici nello scarso dialogo tra sistema educativo e sistema economico.

Sara Settembrino

 

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