Ilaria Mariotti
Scritto il 12 Ott 2016 in Approfondimenti
alternanza scuola-lavoro Apprendistato scuole superiori
Entra nel vivo l'alternanza scuola lavoro, progetto di riforma del sistema didattico che prevede – lo dice il nome stesso – attività d'aula affiancate a periodi di formazione nelle aziende. A regolamentarla la legge 107/2015, detta “La Buona Scuola”, che stabilisce che gli studenti delle superiori a partire dal terzo anno assolvano a un nuovo obbligo formativo: 400 ore per i tecnici/professionali e 200 per i licei. Una bella scossa per le scuole italiane, abituate a una didattica per lo più frontale e di tipo teorico. Per molte di loro il problema principale sarà come tradurre in pratica la nuova legge.
Francesco Giubileo, dottore di ricerca in Sociologia del lavoro e consulente in politiche occupazionali – nonché consigliere di amministrazione di Afol Metropolitana, l'Agenzia per la formazione, l'orientamento e il lavoro di Milano – ha redatto sull'argomento il report 'Alternanza scuola-lavoro: dall'innovazione della 107 alla sperimentazione del sistema duale', edito dalla Fondazione Eyu. Uno studio che, presentato nei giorni scorsi alla sede del Pd al Nazareno, fa luce sui nodi di una riforma potenzialmente strategica per l'abbandono scolastico: «Quattro su dieci si perdono nel primo biennio» ha ricordato il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba al dibattito. E essenziale anche per non «disperdere il patrimonio manufatturiero italiano».
«La debolezza del rapporto tra scuola e mondo produttivo è una delle più evidenti criticità dell’economia italiana» si legge nell'introduzione. Un dato di fatto che impedisce «ai giovani di sviluppare tra i banchi competenze che si apprendono solo attraverso la partecipazione al mondo del lavoro». Il punto di riferimento è il modello duale tedesco: del resto, con un tasso di disoccupazione giovanile sotto il 10%, contro una media Ue del 20% e un'Italia che ancora nel 2015 stava sopra il 40% (dati Eurostat), naturale che la Germania sia l'esempio a cui guardare.
Più facile però a dirsi che a farsi. «Dalla riforma Moratti a oggi l’alternanza scuola-lavoro è consistita in un sistema di stage organizzati con il coinvolgimento delle aziende, mentre in Germania ci si basa quasi esclusivamente sullo strumento dell’apprendistato», un vero e proprio contratto di lavoro, commenta Giubileo. Non solo: nel paese considerato la locomotiva d'Europa l'alternanza si sviluppa per lo più «nelle grandi aziende (circa l’80% delle imprese al di sopra dei 100 dipendenti ha apprendisti nel proprio organico), non è diffusa solo per i lavori manuali ed è presente nei campi industriali più variegati (automobilistica, falegnameria, tecnica bancaria, parruccheria, tecnica commerciale per negozi o industria, infermeria etc.)».
In Italia invece «le aziende interessate sono prevalentemente di micro e piccole dimensioni: quelle sotto i 50 addetti rappresentano oltre l'87% del totale, e i settori sono il manifatturiero (41,9%) e i servizi di alloggio e ristorazione (20,9%)». Senza contare che, sottolinea ancora il rapporto, «nel sistema tedesco non c’è alternanza tra scuola e lavoro, ma integrazione tra i due mondi». Tant'è che da noi «la formazione in aula e presso l’azienda sono separate e in diversi casi lo stage è realizzato durante le vacanze».
A servire quindi è un nuovo approccio culturale perché «nessuna imitazione può avere successo se calata in un ambiente sociale incapace di interpretare correttamente gli spazi creati dalla legge». Le aziende coinvolte non dovrebbero pensare alle immediate ricadute occupazionali, ma puntare a una «promozione della qualità del lavoro, della competitività complessiva, con l’assunzione di uno specifico ruolo formativo». Si tratta, conclude Giubileo, «di una forma nuova di responsabilità sociale d’impresa».
Tre i casi studio riportati nell'analisi. Il primo è Bolzano, che – contando sull'autonomia legislativa – da sempre gestisce l'alternanza scuola lavoro allineandosi ai paesi nordici. Qui «lo strumento duale è un effetto della peculiarità produttiva del territorio, con pmi a elevato livello di innovazione che necessitano di dipendenti professionalmente preparati». Un microcosmo difficile da riprodurre a livello nazionale. C'è poi Napoli e il progetto 'Scuola al lavoro: Scolabor', una piattaforma che mette in contatto le aziende e le istituzioni scolastiche, che sulla base di questi dati adattano la propria offerta formativa. E infine il progetto dell'Emilia Romagna Dual Educarion System Italy (Desi), attraverso cui Lamborghini e Ducati, società bolognesi del gruppo Audi, offrono dal 2014 a 48 giovani a basso reddito che hanno abbandonato gli studi un’esperienza biennale da operatore meccanico, fornendo sì competenze specifiche, ma 'esportabili' in altre aziende dell'automotive.
Ma sono purtroppo casi isolati: le scuole italiane si trovano per lo più impreparate a avviare l'alternanza. «Il rischio è non trovare aziende disponibili per effetto della saturazione del mercato, le richieste diventeranno troppe una volta che i licei saranno a regime» è il commento di uno degli istituti interpellati nel sondaggio finale. «Manca un responsabile organizzativo, soprattutto nei licei, con nozioni di orientamento e accompagnamento al lavoro: in alternativa come crei relazioni con le imprese?».
Quando la riforma entrerà a regime, gli alunni partecipanti all'alternanza scuola-lavoro saranno un milione e mezzo all'anno. Per rispondere in modo adeguato bisognerà «mettere da parte la retorica», auspica Giubileo, e suguire alcune regole auree, come la «professionalizzazione dei responsabili organizzativi, il potenziamento dei servizi per l’impiego, la creazione di linee di finanziamento tramite fondazioni bancarie, fondi comunitari e crediti d’imposta». Se non si vuole fallire, «il sistema non può continuare con attività estemporanee affidate più alla bravura del responsabile organizzativo che al merito di una struttura organica con una progettualità di medio periodo». E sopratutto, bisogna coinvolgere quante più imprese possibile.
Ilaria Mariotti
Community