«Sono molto contento del decreto. È un passo importantissimo per il nostro settore: il governo è riuscito a trasformare quasi tutto quello che abbiamo suggerito in realtà ed è una cosa che nessuno di noi si poteva aspettare all'inizio di questa avventura». Predica ottimismo Riccardo Donadon, amministratore delegato dell'incubatore di impresa H-Farm ma soprattutto membro della task force che ha elaborato «Restart Italia», il rapporto contente molte proposte in tema di start-up buona parte delle quali sono entrate nel decreto Sviluppo bis approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri. «È vero», ammette, «mancano alcune cose, ma la strada è stata intrapresa con forza e sono sicuro che un po' alla volta raccoglieremo tutto».
Sì, perché nonostante il gruppo di lavoro abbia specificato che le misure suggerite «produrranno una scossa solo se saranno considerate come un “pacchetto unico”», non tutte sono entrate a far parte del provvedimento passato a Palazzo Chigi. Al di là del fatto che non è stato posto alcun limite anagrafico per gli startupper, che possono così accedere alle agevolazioni fiscali e normativa a qualunque età, due degli elementi contenuti nel rapporto sono rimasti lettera morta: il cosiddetto Fondo dei fondi e l'Iva per cassa. Il primo sarebbe dovuto essere quella realtà in grado di investire da un lato a sostegno degli incubatori di impresa e dei fondi di venture capital, dall'altro di svolgere il ruolo di anchor investor, ovvero di primo investitore all'interno di progetti di start-up selezionati sulla base di una due diligence, vale a dire una valutazione delle condizioni e del valore delle singole aziende.
La seconda misura avrebbe permesso alle imprese in questione di versare l'imposta sul valore aggiunto non secondo la competenza, cioè sulla base della data di emissione della fattura a prescindere dal fatto che questa sia stata o meno saldata, ma secondo la cassa. Ovvero solo dopo che il cliente ha pagato quanto dovuto. Una misura, questa, che avrebbe permesso alle aziende di mantenere una certa liquidità disponibile non dovendo anticipare il versamento delle imposte.
Tolti questi due aspetti, rimane l'ossatura delle proposte contenute nel rapporto «Restart Italia». A cominciare dalla definizione di start-up che, per essere tale, non deve operare da più di 48 mesi, né fatturare più di 5 milioni l'anno. Ma soprattutto deve operare nell'innovazione tecnologica, ovvero investire in ricerca almeno il 30 per cento del fatturato, essere titolare di brevetti oppure avere tra i soci persone che abbiano conseguito dottorati di ricerca. Vengono eliminate le spese di registro, come richiesto nell'ambito della definizione della cosiddetta isrl, la formula societaria proposta per questo tipo di imprese: snella, con minimi obblighi burocratici e la possibilità, riconosciuta dal decreto, di remunerare dipendenti e fornitori con strumenti finanziari, ad esempio la cessione di quote della società.
Vengono incentivati, grazie ad una detrazione Ires del 19 per cento, gli investimenti in start-up. Agevolazioni fiscali che dovrebbero avere un costo di 210 milioni di euro in due anni. Sempre in tema di finanziamenti, viene introdotta la possibilità di raccogliere fondi attraverso il crowdfunding, procedura attivabile on-line sulla regolarità della quale è chiamata a vigilare la Consob. Per quanto riguarda i rapporti lavorativi, il decreto introduce una formula di contratto a tempo determinato specifica per le aziende che rientrino nella definizione contenuta in «Restart Italia»: queste ultime potranno assumere con un contratto a tempo determinato di durata compresa tra i 6 ed i 36 mesi, rinnovabile una sola volta senza soluzione di continuità e destinato a trasformarsi automaticamente in tempo indeterminato una volta che l'azienda abbia compiuto i 48 mesi di vita.
L'Istat dovrà raccogliere ed aggiornare dati sulle start-up nate a seguito di questo decreto, così da compilare un rapporto che permetta di valutare l'impatto delle misure introdotte, in particolar modo in termini di crescita economica e di occupazione. Al ministero dello Sviluppo economico toccherà invece presentare, entro il 1 marzo di ogni anno, una relazione sullo stato di attuazione della normativa. Il primo appuntamento per un bilancio sull'impatto degli effetti di questa norma è fissato per il 2014. Fin qui la proposta del governo, ora al vaglio del Parlamento il quale, fatto salvo che venga posta la questione di fiducia, potrà intervenire per modificare il testo del decreto.
Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it
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