Rossella Nocca
Scritto il 30 Ott 2018 in Approfondimenti
Medicina università a numero chiuso università e lavoro
Il 16 ottobre scorso il governo ha lanciato una "bomba" sul mondo dell'università e della sanità. All'interno del comunicato stampa sulla manovra 2019, si leggeva: «Si abolisce il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di poter accedere agli studi».
Di tutta risposta, in un comunicato stampa congiunto, il ministro della Salute Giulia Grillo e quello dell'Istruzione Marco Bussetti hanno fatto sapere che, da parte loro, si erano limitati a chiedere un aumento degli accessi e delle borse di specializzazione. Qualche ora dopo la notizia si è relativamente "sgonfiata": la presidenza del consiglio ha chiarito infatti che «si tratta di un obiettivo politico di medio periodo per il quale si avvierà un confronto tecnico con i ministeri competenti e la Crui, che potrà prevedere un percorso graduale di aumento dei posti disponibili, fino al superamento del numero chiuso». Fatto sta che nei piani, anche se non a breve termine, del governo c'è la revisione dell'attuale sistema di accesso agli studi in Medicina, e questo ha inevitabilmente aperto un accesso dibattito tra le categorie interessate.
«In un primo momento siamo rimasti entusiasti» commenta Alessio Bottalico, coordinatore nazionale dell'associazione Link - Coordinamento Universitario «in quanto l’abolizione del numero chiuso a Medicina rappresenta una delle nostre più grandi battaglie per assicurare il diritto allo studio».
Dopo la soddisfazione iniziale, è arrivato tuttavia il confronto con la realtà: «Pensiamo che ad oggi siano necessari finanziamenti, da un lato per garantire una didattica adeguata, dall’altro per aumentare le borse di specializzazione, altrimenti si crea solo illusione» aggiunge Bottalico. Riflessioni, queste, che saranno all’ordine del giorno dell’assemblea nazionale “O le borse o la vita!”, organizzata da Link e dall’associazione di specializzandi Chi si cura di te per il prossimo 9 novembre a Roma. Intanto il 26 ottobre Link, insieme ad altre associazioni studentesche, ha incontrato il ministro del lavoro Luigi Di Maio, che si è limitato a confermare che l'abolizione del numero chiuso è nel programma del governo, ma serve tempo.
Per l’anno accademico 2018/19 hanno svolto i test di accesso a Medicina 67mila candidati e solo 10mila - meno di uno su sette - li hanno superati. Eppure lo stringente meccanismo selettivo non basta a garantire a tutti i laureati il prosieguo immediato del percorso. Anzi, più della metà dei laureati attualmente non riesce ad accedere al primo colpo a una delle specializzazioni per le quali ha espresso la propria preferenza. Quest’anno, infatti, sono state meno di 7mila le borse di studio bandite per le specializzazioni mediche, a fronte di 15mila domande e di 8mila medici prossimi alla pensione. Ciò significa che 8mila laureati resteranno in un “limbo” almeno per un anno. L’altra faccia della medaglia è però che, a un anno dal titolo, l’80 per cento dei laureati è inserito nel mondo del lavoro.
Nonostante le perplessità sulla fattibilità, l’apertura politica verso il superamento del numero chiuso, secondo il coordinatore di Link, resta tuttavia un passo importante: «Può contribuire a garantire il diritto alla salute: si pensi infatti che in Italia 13 milioni di persone sono escluse dalle cure. E può mettere fine al business legato ai test di accesso, dai testi che costano 100 euro ai corsi di preparazione che arrivano a 5mila euro, fino alla fuga all’estero degli aspiranti medici». Insomma, l’abolizione dei test selettivi renderebbe più “democratico” il diritto allo studio e insieme quello alla salute.
Ma c’è chi non la pensa esattamente così. «Il numero programmato va preservato: abolirlo sarebbe una follia» dice Emanuele Spina, presidente del Segretariato italiano giovani medici «perché porterebbe il diritto alla salute a sottostare alle logiche del mercato e del miglior offerente, e perché quello del medico è un lavoro delicato che necessita di una formazione e di strutture adeguate. Per questo siamo pronti a bloccare le attività degli specializzandi e ad organizzare proteste per difendere l’accesso programmato. Siamo invece aperti a al dialogo per una riprogrammazione del numero di posti».
Spina è anche contrario alla possibilità di adottare il sistema “alla francese”, con la selezione prima del secondo anno: «Il primo anno è di pre clinica, che con la medicina ha poco a che fare, inoltre se venisse utilizzato il criterio degli esami sostenuti e della media voti si tornerebbe a una logica clientelare e baronale, e il sistema si presterebbe a interpretazioni più soggettive. E poi l'anno perso come verrebbe speso? Meglio uno sbarramento all'inizio, che direziona verso un altro corso, magari affine, in attesa di ritentare il test».
Intanto pochi giorni fa, il 20 ottobre, la Conferenza permanente dei presidenti di consiglio di corso di laurea magistrale in Medicina e chirurgia ha approvato all'unanimità una mozione in cui richiede ai ministri della Salute e dell'Istruzione di «aprire un dialogo costruttivo che sia in grado di condurre ad una sintesi condivisa delle esigenze legate alle strategie politiche complessive del governo della cosa pubblica con quelle del sistema della formazione di qualità e della sua sostenibilità nel rispetto della programmazione dei fabbisogni reali del Ssn e dei Ssr».
Tra i firmatari c'è Stefania Basili, presidente della Conferenza stessa e del corso di laurea magistrale in Medicina e chirurgia "D" dell'università La Sapienza di Roma, che alla Repubblica degli Stagisti spiega alcune delle proposte che saranno portate avanti: «Riteniamo che una programmazione attendibile e congrua debba essere necessariamente regolata da un processo di selezione, sicuramente migliorabile e auspicabilmente preceduto da una prova attitudinale». L'attuale test di ammissione è infatti ritenuto da molti un “terno al lotto”, che non è in grado di definire realmente l’essere all’altezza o meno di diventare un medico.
«Riteniamo inoltre che debba venir dato maggior rilievo ai rapporti istituzionali che già intercorrono tra scuola secondaria e università» aggiunge Basili «con un ampliamento e miglioramento dei progetti di alternanza scuola-lavoro e di orientamento allo studio della medicina, anche in collaborazione con gli Ordini dei medici. Tutto questo potrebbe essere un mezzo di autovalutazione vocazionale alla medicina per gli studenti della scuola secondaria, riducendo i grandi numeri che si presentano al test e preparando questi giovani ad “essere medici”».
C’è un’altra argomentazione dei “no” all’abolizione del numero chiuso. «Se si aprisse l’accesso a tutti, decadrebbe la valenza europea del titolo» spiega Andrea Lenzi, presidente dell'associazione Conferenza permanente dei presidenti di consiglio di corso di laurea magistrale in Medicina e chirurgia. Le 5.500 ore di didattica certificata nei sei anni permettono infatti l’accreditamento europeo della formazione italiana, consentendo ai laureati la libera circolazione nei paesi dell’Ue. Senza contare che l’abolizione della programmazione «sarebbe uno spreco per le famiglie e per la società, visto che i meno di 1.000 euro di tasse universitarie annuali coprono solo una piccola parte dei costi di uno studente in Medicina».
A oltre vent’anni dalla sua introduzione, il numero chiuso a Medicina per la prima volta viene messo concretamente in discussione, aprendo a una possibile rivoluzione all’interno di una delle categorie oggi considerate “privilegiate” per gli sbocchi occupazionali e gli stipendi di gran lunga superiori alla media.
Rossella Nocca
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