Ecco a cosa serve la Giornata internazionale degli stagisti

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 10 Nov 2022 in Notizie

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La prima volta faceva caldo. Era luglio. Correva l’anno 2014 e a Bruxelles un consorzio di una ventina di realtà internazionali a difesa dei diritti degli stagisti – tra cui anche la Repubblica degli Stagisti – aveva proclamato il primo European Interns' Day, La Giornata europea degli stagisti. Obiettivo: denunciare lo stato di precarietà degli stagisti e sollecitare soluzioni per garantire percorsi di qualità e contrastare la pratica degli stage gratuiti.

L’anno dopo, nel 2015, la Giornata da europea è diventata “internazionale” e ha trovato la sua collocazione in autunno – il 10 novembre appunto, che da quel momento è diventato l’ International Interns' Day: la Giornata internazionale degli stagisti. Lo European Youth Forum era in prima linea per l’organizzazione dell’evento, sempre con il supporto di tante realtà – tra cui sempre la Repubblica degli Stagisti per l’Italia – nate in quel periodo, non solo in Europa ma anche altrove nel mondo, proprio per tutelare e difendere la categoria dei tirocinanti troppo spesso ignorata dalla politica, dai sindacati, dall'opinione pubblica. Da Génération Précaire e Stagiares Sans Frontières in Francia a Interns Australia e la International Young Professionals Foundation in Australia, da  Ganhem Vergonha in Portogallo alla Canadian Intern Association in Canada, dall’Intern Labor Rights di Washington DC negli USA a Uniplaces nel Regno Unito, fino ad arrivare a Brussels Interns NGO e Project 668 e Drop’pin@EURES in Belgio, e molte altre realtà ancora, alcune delle quali esistono e sono attive anche adesso.

Oggi non fa caldo: è il 10 novembre, e ricorre la Giornata internazionale degli stagisti. Come tutte le “Giornate” dedicate a qualcosa, essa non è in realtà che un pretesto, un modo per mettere al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica un tema importante. In questo caso il tema della qualità dei percorsi di transizione dalla formazione al lavoro o, per dirla in maniera più diretta, del rispetto della dignità dei giovani che entrano nel mondo del lavoro.

Gli stagisti vivono ovunque in una situazione di limbo: non sono più studenti (o quantomeno: non solo studenti), ma non sono nemmeno ancora lavoratori (o quantomeno: non ufficialmente, anche se molti stagisti poi svolgono le stesse identiche mansioni dei lavoratori).

Lo stage può essere un formidabile momento di crescita personale e professionale, può fornire nuove competenze e offrire un trampolino di lancio verso il mondo del lavoro. Ma può anche essere il sinonimo di sfruttamento, frustrazione, perdita di tempo. Tutto sta a come è fatto: a quanta cura, dedizione e investimento ci mettono dentro tutte le parti in causa, a cominciare naturalmente dal soggetto ospitante, cioè la realtà lavorativa dove la persona va a fare lo stage. Perché il rischio di abusi sia ridotto al minimo bisogna che gli stage vengano attivati all’interno di un quadro normativo ben definito, al passo con i tempi, e bisogna che siano delineati con chiarezza diritti e doveri degli stagisti.

Tra i diritti, quello più importante è quello di non dover fare lo stage gratis. La sostenibilità economica dei periodi di tirocinio è fondamentale per evitare che lo stage si trasformi in uno strumento classista a cui possono accedere solo persone provenienti da famiglie abbienti – persone che possono permettersi di stare tre mesi, sei mesi, a volte addirittura un anno in un posto di lavoro senza guadagnare un soldo. “Unpaid is Unfair” è infatti lo slogan principale che in questi anni ha accompagnato le manifestazioni a difesa dei diritti degli stagisti in giro per il mondo.

Questa semplice rivendicazione – che gli stage prevedano sempre un compenso – purtroppo non è ancora una realtà consolidata. Basti pensare che organizzazioni internazionali blasonate, come per esempio l’Onu, ancora oggi hanno programmi di tirocinio che coinvolgono ogni anno centinaia, a volte migliaia di giovani, e eppure non prevedono nessuna indennità. Malgrado anni e anni di campagne pubbliche, manifestazioni, appelli, nulla scalfisce questi mastodonti, che pagano profumatamente i propri manager e dipendenti, ma si rifiutano di mettere a bilancio qualche fondo per pagare delle indennità mensili ai propri stagisti. Una situazione che dovrebbe far riflettere coloro che si sono avvicendati in questi anni ai vertici dell’Onu come rappresentanti e portavoce dei giovani, e che non sono riusciti a ottenere che briciole (qualche Agenzia dell’Onu, in questi anni, ha in effetti introdotto indennità a favore degli stagisti).

Basti pensare che in molti casi gli stage gratuiti sono ancora legali. Ci sono persone che passano da uno stage all’altro senza che ci sia un limite, magari “imparando” sempre le stesse mansioni in aziende diverse. E lo stage non è riservato solo ai giovani: spesso viene usato – e abusato – anche coinvolgendo persone adulte, a  volte addirittura quasi anziane, come abbiamo raccontato più volte qui sulla Repubblica degli Stagisti denunciando l’aumento costante negli ultimi anni dei tirocini extracurricolari attivati su persone over 50.

La Giornata internazionale degli stagisti serve anche a dire: non potete più dire che non lo sapevate.
Non potete più fare finta di ignorare i problemi e le istanze degli stagisti, e le proposte che sono state formulate, discusse, presentate pubblicamente per risolvere questi problemi e accogliere queste istanze.

Solo per parlare dell’Italia, qui sono state di recente raccolte oltre 60mila firme per una proposta di riforma degli stage, e una proposta di legge era in discussione in Parlamento appena prima che il governo Draghi cadesse e che si andasse a nuove elezioni. Ora abbiamo un nuovo governo e un nuovo Parlamento, ma i problemi sono sempre quelli vecchi: evitare che si abusi dello stage per poter avere manodopera o cervellodopera a basso costo, e dare diritti agli stagisti, primo tra tutti quello ad essere pagati.

La Giornata internazionale degli Stagisti è un’occasione in più per ricordarlo.

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