In scadenza bando Mibact per stage da mille euro: finiti i sei mesi, però, tutti a casa

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 26 Gen 2021 in Notizie

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Sei mesi di tirocinio con un rimborso spese di mille euro al mese, in un settore spesso sottopagato come quello della cultura: è quanto offre il bando per stage formativi del ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo pubblicato a metà dicembre e in scadenza a breve, il 30 gennaio. Una bella notizia, soprattutto in questi tempi di pandemia e crisi economica dove tra i settori più colpiti c’è stato proprio quello turistico culturale? Non proprio. Perché il bando in questione ricalca un altro del 2013, i 500 giovani per la cultura – così furono chiamati – che non solo non ha prodotto occupazione, ma tra lavoro mascherato da tirocinio e rimborsi spese arrivati dopo mesi e grandi proteste non è brillato per efficacia.

Gli ultimi fatti: a metà dicembre il Mibact ha pubblicato un bando per la selezione per «tirocini formativi e di orientamento per 40 giovani fino a ventinove anni di età». Più che di stagisti qualsiasi, però, il ministero è alla ricerca di figure ben specializzate. Per partecipare infatti è richiesta una laurea in archivistica e biblioteconomia con una votazione pari o superiore a 105, con una differenza di punteggio non di poco conto tra i due punti aggiuntivi per il 106 e i 14 per il 110. A questo si aggiunge il vincolo di età (i candidati devono essere under 30)  e un titolo di studio conseguito da non più di 12 mesi. Quindi il ministero apparentemente cerca giovani neolaureati – ma non proprio, dato che poi si scopre che sono previsti punti aggiuntivi non indifferenti, dai 20 ai 30, se i candidati hanno un titolo di studio post universitario, anche diplomi di scuole di specializzazione, un titolo di dottore di ricerca, un periodo precedente di tirocinio o collaborazione nel settore dei beni culturali, perfino pubblicazioni.

I 120 giovani con il punteggio più elevato saranno ammessi a sostenere il colloquio, che attribuisce fino a 50 punti e che data la situazione di pandemia verrà effettuato in modalità telematica. Al termine, trenta dei selezionati saranno assegnati ad altrettanti stage presso l’Archivio centrale dello Stato, le Soprintendenze archivistiche e bibliografiche e gli Archivi di Stato, dieci invece a tirocini presso l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale. E cominceranno i tirocini formativi di sei mesi con un rimborso spese mensile di mille euro. Se i trenta stage saranno in sedi distribuite un po’ in tutto il territorio nazionale, isole comprese, quelli presso la Digital Library, invece, saranno esclusivamente a Roma. Nel bando non si fa alcun riferimento a eventuali svolgimenti a distanza
dello stage, in smart internshipping, che quindi evidentemente si svolgerà in presenza.

Il bando è molto chiaro sull’evidente assenza di prospettive future: l’articolo 7, infatti, precisa che alla conclusione del programma formativo «è rilasciato un apposito attestato di partecipazione» ma che questo «non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero».

Quindi il Mibact mette fin dall’inizio le mani avanti, ricordando che è solo uno stage, senza possibilità di assunzioni future. Il problema, però, è che il ministero da tempo ormai soffre di una cronica mancanza di personale. Se si dà un’occhiata all’atto di programmazione del fabbisogno di personale per il triennio 2019-2021, pubblicato ad aprile dello scorso anno, si legge a chiare lettere della «carenza di personale di questa amministrazione, rilevata al 25 marzo 2020 e quantificata in complessive 5.295» unità distribuite tra area I, II e III e personale dirigenziale. Il ministero negli ultimi anni ha bandito alcuni concorsi – per esempio quello per 1.052 assistenti alla fruizione e vigilanza al momento sospeso causa Covid, o quello per 250 unità di personale non dirigenziale, rientrante nel concorso del progetto Ripam per reclutare complessivamente 2.133 unità in diverse amministrazioni centrali, – e accoglie con regolarità anche giovani del servizio civile

Va sottolineato però che nell’ultimo bando Mibact nella premessa si fa riferimento all’articolo 24 comma 4 del decreto legge 104/2020, dove tra le tante misure di rilancio dell’economia non solo si finanzia per 300mila euro per l’anno appena concluso il «Fondo mille giovani per la cultura» – quello che aveva permesso gli stage nel 2013 – ma si decide anche di finanziarlo con 1 milione di euro per il 2021 e di rinominarlo «Fondo giovani per la cultura» rilasciando poi a successivi accordi tra ministeri la determinazione delle modalità di accesso al fondo e lo svolgimento delle relative procedure selettive.

In pratica nel 2021 potrebbe essere pubblicato un nuovo bando, che a questo punto potrebbe arrivare a coprire lo svolgimento di oltre 100 stage sempre nel settore dei beni culturali. E per «attrarre i giovani più capaci e meritevoli» e «proseguire la promozione di attività formativa di alto livello già avviata con successo negli anni 2014 e 2015» il ministero prevede un rimborso di mille euro lordi al mese «come parametrato all’importo delle borse di dottorato nelle università italiane». Quindi si cercano giovani brillanti che attirati dal rimborso spese e dall’idea di lavorare in sedi altrimenti difficilmente accessibili, siano disposti a svolgere un tirocinio che di fatto non porterà da nessuna parte, se non illudere di avere un futuro in quegli stessi uffici.

L’aspetto che lascia certamente più sorpresi è il riferimento da parte del ministero all’attività formativa “avviata con successo” nel 2014 e nel 2015, quindi con i bandi dei 500 giovani per la cultura e del Fondo mille giovani dell’anno seguente. Eppure all’epoca certo non occuparono le prime pagine per puntualità dei rimborsi spesa o per i risultati prodotti, tutt’altro.

Non solo: a certificare il fallimento di quel programma ci pensò poi la Corte dei Conti nell’ottobre del 2016 con la relazione «I tirocini formativi nel settore dei beni culturali (2013-2015)» in cui esprimeva perplessità su questo progetto sottolineando il limite comune a tutti i tirocini fatti negli uffici pubblici, «la loro non prevista valorizzazione all’interno di un progetto finalizzato all’assunzione, come ovvia conseguenza del divieto di reclutamento al di fuori delle procedure concorsuali di accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione». E già all’epoca la Corte esprimeva «perplessità sull’impiego dello strumento del tirocinio formativo nel settore dei beni culturali, tenuto conto che forme di investimento in procedure selettive impegnative per l’organizzazione amministrativa non possono essere utile strumento di inserimento nel mondo del lavoro pubblico» e che risultava carente la prospettiva occupazionale nel lavoro privato.

Cinque anni dopo si è esattamente nella stessa situazione, con l’avvio di tirocini che non avranno alcuno sbocco lavorativo e che si occuperanno di un tema delicatissimo quale la digitalizzazione, fondamentale per affrontare la crisi e permettere una fruizione telematica di tutto il materiale presente in archivi e biblioteche. Così nel paese che ad oggi, insieme alla Cina, detiene il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco, ben 55 pari a quasi il 20 per cento di quelli presenti in tutto il mondo, ancora una volta saranno degli stagisti a “fare il lavoro sporco”.

Per chi, comunque, attratto dall’esperienza sicuramente formativa e dal rimborso spese volesse fare domanda conviene affrettarsi. Entro le ore 14 del 30 gennaio scadono i termini per presentare e inviare tutto telematicamente dall’indirizzo procedimenti.beniculturali.it/40giovani È possibile fare l’application per entrambi i profili ricercati: online sono disponibili tutte le istruzioni per la compilazione e le faq.

Sullo sfondo resta l’istantanea del settore dei beni culturali fortemente vittima della crisi economica e pandemica, in un Paese che da tutta questa ricchezza potrebbe guadagnare e, invece, senza un piano vero e proprio di assunzioni preferisce affidarsi ancora una volta al lavoro comodo ed economico degli stagisti. E forse non stupisce, se si pensa che i musei hanno riaperto in Italia solo il 16 gennaio e solo per le regioni in zona gialla o bianca. Contrariamente a quello che è successo in altri paesi europei – esempio più virtuoso di tutti è stata la Spagna, che non ha mai veramente chiuso i musei o i teatri preferendo definire quattro livelli diversi di rischio, dal basso all'estremo, lasciando sempre i musei aperti e limitando soltanto la percentuale di capienza massima. Un'altra strada, quindi, sarebbe possibile.


Marianna Lepore


Foto di apertura: da Wikipedia in modalità Creative Commons

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