Maxi-stage nei tribunali: «Disperati, facciamo di tutto per rimanere nel progetto». Le proposte per “salvare” gli esclusi

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 14 Mar 2017 in Notizie

«Siamo partiti in 50, nel maggio 2010, con la firma della prima convenzione dedicata a soggetti in cassa integrazione o mobilità appartenenti alla provincia di Roma. L’esperienza funzionava: si dava un rimborso spese a persone che venivano da imprese private e lavoravano negli uffici giudiziari. Venne estesa al distretto di Corte d’appello in tutta la regione Lazio; poi gli altri presidenti di regione decisero di estendere le convenzioni nelle varie province». Parte così la storia di Daniele De Angelis, 44 anni, da sette in tirocinio formativo negli uffici giudiziari, prima alla sezione fallimentare del Tribunale civile di Roma e dallo scorso anno, con l’inizio del tirocinio presso l’ufficio del processo (udp), alla cancelleria civile della Corte di appello. Uno stage prolungato nel tempo contro tutte le normative in materia, che ne vieterebbero la reiterazione oltre la durata massima di 12 mesi.  E perdipiù senza avere mai un vero e proprio periodo formativo: «Abbiamo sempre e solo lavorato».

Nel maggio 2010 De Angelis è tra i fondatori dell’“Unione precari giustizia”, un collettivo informale creato per «cercare di avere una configurazione nelle compagini delle organizzazioni sindacali» e riuscire a dialogare con il mondo politico. L’unica a non tirarsi indietro è la Fp Cgil di cui, con il tempo e sopratutto dopo lo scioglimento dell’Upg, De Angelis diventa referente nazionale, coordinando le varie regioni.

Oggi la Repubblica degli Stagisti gli chiede di far luce sui numeri che riguardano questi tirocinanti. Quante persone sono coinvolte? «La prima cifra totale l’ho trovata io stimata a percentuale: 3.500 persone in tutta Italia. Ma nemmeno il ministero della Giustizia è stato mai in grado di contare le singole convenzioni e capire quanti eravamo». Non era un compito facile: alle convenzioni per singole province, partite su iniziativa dei presidenti dei tribunali e destinate a lavoratori disoccupati in cassa integrazione o mobilità, con il tempo se ne sono aggiunte altre. In alcune regioni infatti, vista la mancanza cronica di personale, si era estesa la stessa esperienza anche a soggetti inoccupati grazie a particolari progetti di “work experience” e a convenzioni con le università.

Cosa avevano in comune questi tirocini? «Usavano fondi sociali europei dell’asse II occupabilità per il reinserimento e l’inserimento lavorativo, perciò c’erano sia disoccupati sia inoccupati» spiega De Angelis. «Dovevano dare occupazione, ma non si riusciva a darla se non si creava un bacino».

Così i tirocinanti nel dicembre 2012 creano un blog per facilitare l’aggregazione, proprio nello stesso periodo in cui il ministero della Giustizia con la legge 228 prende in carico la gestione di questi tirocini formativi. E qui si ha finalmente una cifra ufficiale: 2.524 tirocinanti. «È il primo numero preciso che rientra in un’unica convenzione nazionale. Da lì cominciamo un “tirocinio di completamento” pagato tramite rimborsi spesa dati dalle stesse corti di appello. Poi il ministero, che non vuole farci un contratto, decide di farci fare per un altro anno il “perfezionamento del completamento”, con la legge 147 del 2013». Il percorso, come la Repubblica degli Stagisti ha ampiamente documentato, subisce delle interruzioni per poi concludersi nel marzo 2015, quando sopravvengono nuovi sviluppi.

Il ministro della giustizia Orlando, infatti, per smaltire l’arretrato degli uffici giudiziari pensa a un nuovo istituto, l’ufficio del processo. E stabilisce di inserirci «un magistrato e un tirocinante del magistrato, le famose figure dell’articolo 37, poi un componente di ruolo della cancelleria e un suo tirocinante». Ed è qui che entrano in gioco i 2.524 tirocinanti della giustizia, che vedono aprirsi nuovamente la possibilità di un prosieguo dei precedenti stage, sempre contra legem.

Ma nella nuova tranche di tirocini c'è posto solo per 1.502 persone. «Avevo scritto una lettera al ministro in cui dicevo: 1502 è il 60% del totale, allora se vuoi questa cifra prendila per ogni singola regione, così avranno tutte lo stesso danno. Gli altri tirocinanti portali in conferenza stato regioni e tienili a galla con progetti regionali prima di trovare una selezione professionale. Ma Orlando non ci ha voluto ascoltare. Ha fatto la selezione e sono passati in 1.115». Dunque in realtà ancora meno della capienza prestabilita.

Quello che De Angelis critica è la ratio, se ce n’è una, dietro a quel numero. «Il bacino era di 2.500. Si vuole fare metà? 1250. Chi è stato a decidere, invece, 1.502 e a stabilire dove metterli? Non si capisce perché il tribunale di Milano debba avere così tanti progetti pilota dell’ufficio del processo e invece Catanzaro, dove ci sono processi di mafia e camorra, no». Critica la distribuzione geografica: dai 200 posti dell’Emilia Romagna ai 150 della Campania fino alla decina in Puglia e Sicilia. «Più scendiamo lungo lo Stivale, più diminuiscono. Dal nord al sud l’ufficio per il processo è spalmato in maniera non proporzionale».
Il rappresentante Cgil allontana però ogni ipotesi di volontà di dividere questi tirocinanti. Se quello fosse stato l'obiettivo, «avrebbero preso i più giovani e i più preparati, quindi oltre alla minore età valeva anche il titolo di studio più alto. Mentre i requisiti sono, nell'ordine, l’aver fatto il percorso formativo nella regione dove si era fatta domanda, poi il titolo e infine la minore età. Altrimenti in Lombardia, dove ho 300 posti e il gran numero delle persone sono over 50 con la terza media, non sarebbero riusciti a rientrare tutti senza il requisito della regione».

De Angelis non ravvisa una volontà precisa di far fuori qualcuno, nemmeno nel caso calabrese dove si è passati da circa 670 a 23 stagisti previsti dal bando per l'ufficio del processo, quanto piuttosto una gestione sbagliata dell’intero progetto. «Il ministero non ha scelto di avere tutti quei tirocinanti in Calabria. Se li è “trovati” dalle convenzioni regionali. E da un emendamento di legge che diceva che tutti quelli che avevano fatto progetti formativi negli uffici giudiziari da marzo 2010 rientravano in quel bacino».

Ma perché in Calabria c’erano così tanti stagisti? «Lo può sapere solo l’amministrazione regionale. E poi se in questa regione sono stati assegnati 23 posti e un’altra ottantina di calabresi è rientrata nelle altre regioni, perché il primo progetto per gli esclusi, bocciato, era calcolato per mille tirocinanti? In
una nota agli uffici giudiziari calabresi il ministero ha scritto che il bando sarebbe stato accettato se rimodulato per massimo 650 unità. Mentre l’amministrazione rispondeva che 23 erano pochi: avrebbero potuto incontrarsi a metà. La soluzione va cercata prima per quei famosi 2.500, non si può continuare ad aumentare il numero». Nel frattempo un incontro c'è stato. E il 9 marzo, presso la sede del ministero a Roma, si è giunti alla definizione di uno schema di convenzione che sarà stipulato a breve in cui dovrebbero essere stati confermati i 650 tirocinanti iniziali. 

Una decisione in linea con le altre regioni in cui c'erano esclusi dall'ufficio del processo e il numero di stagisti per le convenzioni regionali non è stato aumentato. «La Basilicata è partita con un progetto
per una quindicina di lavoratori, terminato a dicembre che ora deve ripartire per il secondo anno. Abruzzo e Campania hanno ricevuto l’ok dal ministero alla convenzione e devono partire, sempre per un numero leggermente più basso degli esclusi. In Emilia e Lombardia, i bacini più grandi, il 100% dei tirocinanti è nell’ufficio del processo, le altre regioni del nord avevano più posti rispetto agli stagisti e qualche collega dal sud si è trasferito lì». Le difficoltà si stanno trovando in regioni come le Marche, l’Umbria e la Toscana, dove gli esclusi sono pochi e «non sono riusciti a coordinarsi per far partire il progetto regionale. Anche perché all’inizio c’era sempre l’articolo 12 del decreto secondo il quale i posti non assegnati, circa 400, sarebbero stati redistribuiti. Quindi questi bacini hanno prima aspettato, poi si è cominciato a parlare del concorso e sono stati fermi al palo per capire cosa fare».

Una delle regioni che invece si sta muovendo diversamente è il Lazio
, con i suoi 427 tirocinanti, di cui 197 selezionati per l’ufficio del processo. Per una parte degli esclusi, 158,
nel giugno 2016 è partito un progetto regionale che si concluderà al giugno di quest’anno. E ora, con un ordine del giorno di inizio febbraio, i consiglieri di maggioranza «hanno preso l’impegno di dire basta alla parola tirocini. Questi soggetti dovranno avere da giugno una reale opportunità lavorativa, con un reddito, i contributi e la malattia. Un contratto che li porti in un progetto di stabilizzazione». Una volontà precisa della giunta Zingaretti, che ha detto di non voler più sentir parlare di formazione e tirocini. Un’opportunità che secondo De Angelis potrà poi essere sfruttata anche dagli altri stagisti.

Sullo sfondo resta sempre il concorso per 800 posti per assistenti giudiziari, per cui le domande valide sono 320mila. Non una reale opportunità secondo De Angelis: «Le preselettive le passano in 2.200 persone. E do per scontato che tra i 320mila candidati ci siano 800 “geni” che supereranno il concorso, più bravi di noi 2.500 tirocinanti». Perciò è convinto che «non è un concorso per gli stagisti». Quando poi, obietta, si cercano risorse esterne nonostante siano 30 anni che bisogna riqualificare il personale. E si potrebbero coprire i ruoli di ausiliario con figure che sono già state formate a spese del ministero della Giustizia. «Forse però la soluzione è troppo semplice e il costo minimo, perciò non viene applicata».

Ma se il ministero non vuole applicare questa opportunità, c’è sempre un’altra proposta avanzata dalla Cgil: utilizzare delle selezioni pubbliche attraverso i centri per l’impiego per le figure come l’ausiliario. «L’articolo 16 della legge 56/87 dice che il livello più basso con un titolo di studio inferiore può essere assunto attraverso selezioni nei cpi, e tra le figure possibili mette l’ausiliario. Ci siamo fatti sette anni di formazione a 400 euro al mese, abbiamo una competenza, gli strumenti, le password, le utenze, una professionalità acquisita. Se anche il ministero ci assumesse full time per i prossimi sette anni è come se fossimo part time visti i precedenti. L’unica cosa che manca è la volontà politica».

Invece la politica fino ad ora ha preferito chiudere entrambi gli occhi, e trovare sempre un modo per prorogare questi tirocini extracurriculari nonostante la normativa di riferimento, il dm 142/98 e le successive leggi regionali, lo vietassero e tuttora lo vietino. «Certo, credo sia sbagliato riproporre un tirocinio formativo per il settimo anno consecutivo. Credo sia illegale proporre lo stesso stage da parte dello stesso ente. È assolutamente fuorilegge: e lo è in casa del ministero».

Perché quindi continuare a farlo?
De Angelis non fa giri di parole: «Se gente disperata continua a fare di tutto per rimanere nel progetto è per la speranza di riuscire a entrare. Non faccio altri 12 mesi a 400 euro per essere occupato, ma per questa aspettativa. Che è la stessa che distrugge la compagine: i 1.115 dell’udp non saranno mai compatti: per vicissitudini, difficoltà, dinamiche familiari».

Nel frattempo, il 4 marzo è stata posticipata per la seconda volta, al 4 aprile, la pubblicazione delle date per la prima prova del concorso per assistenti giudiziari. Ed è chiaro che in base allo svolgimento del concorso si svilupperanno eventuali nuove proteste dei tirocinanti che, fino a quando il nuovo personale non sarà assunto, potranno continuare a sperare nelle proroghe delle proroghe dei tirocini. Ma su questo punto De Angelis è diretto: «La campagna di mobilitazione partirà per tutti gli iniziali 2.500 tirocinanti». Le proposte sul piatto ci sono: le pubbliche selezioni attraverso i centri per l’impiego. O la riqualificazione del personale che porterebbe i tirocinanti a occupare i posti liberati alla base della piramide. Ora è solo il ministero che deve assumersi l’onere della decisione.


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