Ancora lontana in Emilia la legge regionale sugli stage, la Cgil: «Entro febbraio? Ma se non esiste nemmeno una prima bozza!»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 30 Gen 2012 in Interviste

In Emilia Romagna chi si è diplomato o laureato da più di un anno, come la Repubblica degli Stagisti ha appurato ed evidenziato nelle scorse settimane, non ha più accesso agli stage. Una situazione che è scaturita dall'ultima legge sui tirocini di Ferragosto – e dal disconoscimento della successiva circolare del ministero del lavoro da parte della Regione – e che dovrebbe presto essere sanata attraverso una legge regionale. Il prossimo incontro su questo argomento sarà il 1° febbraio, quando le regioni vedranno i responsabili nazionali del mercato del lavoro e formazione di Cgil, Cisl e Uil proprio per discutere di tirocinio e apprendistato, prima degli incontri nazionali su queste tematiche con il governo e il ministro Fornero programmati tra 15-20 giorni. Però i lavori sono ancora in alto mare: lo denuncia Claudio Cattini, 55 anni, che dal 2005 è il responsabile del dipartimento formazione e ricerca della Cgil Emilia Romagna e nei 15 anni precedenti è stato segretario regionale della Cgil scuola.

A che punto è la regione Emilia Romagna nella discussione del nuovo testo di legge sui tirocini?
Ma non c’è nessun testo di legge! La Regione ha fatto alle parti sociali accenni molto generali, non nel merito. La discussione di un’eventuale proposta della giunta è già stata spostata due volte in commissione consiliare e l’ultima discussione tripartita è stata sospesa. Non è stato fatto nessun ragionamento di merito: la verità è che la regione ha promesso una legge, ma non ne ha parlato con nessuno.

Quindi non avete potuto esaminare nessuna proposta?
No, non sono state presentate bozze alla commissione regionale tripartita né alle parti sociali, non c’è niente di scritto. L’ultima volta era presente anche il presidente della commissione lavoro e istruzione, Beppe Pagani, ma nemmeno lui ha qualcosa in mano. Quindi la commissione consiliare che dovrà poi fare la discussione sulla legge non ha nulla. Del resto il governo ha fatto una legge e una circolare contraddittorie: ora fare un nuovo intervento legislativo su quel punto non è semplice.
Oggi il confronto in che fase è?
È fermo, siamo al dibattito iniziale: se il tirocinio sia una modalità didattica o una transizione al lavoro, con cosa debba essere finanziato... Noi come Cgil, Cisl e Uil vorremmo fare ancora una discussione generale, perché ci sono già le leggi regionali dell’Emilia Romagna del 2003, la 12 e la 17, in particolare l’articolo 9 della legge 12, dove è scritto chiaramente che cos’è un tirocinio: una modalità didattica non una transizione al lavoro. Vuoi che si faccia dodici mesi, ventisette o trentadue dopo la laurea non è questo il punto, ma cosa è nel merito.
Nella pratica che cosa cambia?
Se è una modalità didattica non è inserimento e reinserimento. Può esserlo il percorso formativo di riconversione o di specializzazione di una persona, ma non il tirocinio in sé. E questo dibattito iniziale lo si sta ancora facendo. Perché se il tirocinio è una modalità didattica, allora è come l’uso dei laboratori o la formazione a distanza: un modo per far raggiungere degli obiettivi formativi a un gruppo di allievi. 
Oggi però è spesso usato per introdurre nel mercato del lavoro i giovani….
Ma questo è fuori dalle norme nazionali e della regione Emilia Romagna. Sono altre le forme che dovrebbero garantire l’ingresso nel mercato del lavoro: l’apprendistato e il contratto di inserimento. Questi sono contratti di lavoro, il tirocinio no: gli mancano alcune cose importanti come il versamento dei contributi. Quindi non può essere usato in sostituzione di un contratto di lavoro.
Potrebbero esserci delle novità in settimana?L’assessore in diverse occasioni ha venduto la cosa come fatta, ma per procedere serve una proposta convincente e condivisa da tutte le parti sociali, non soltanto da quelle datoriali. Nella nostra regione c’è poi il patto per lo sviluppo firmato da poco, dove c’è scritta una cosa precisa: che le risorse in Emilia Romagna vanno per la stabilizzazione al lavoro e per l’apprendistato, non per i tirocini. Quindi la Regione deve investire per trasformare i contratti a tempo determinato in tempo indeterminato. L’unico contratto che va seriamente sostenuto e finanziato è l’apprendistato: la regione ha deciso così insieme a tutte le parti sociali, quindi c’è poi una leggera contraddizione nel mettere in campo i tirocini.
Che quindi vanno accantonati?
No, però ne va discusso il merito. Tutti questi elementi poi predispongono un fatto: che si disponga di risorse per finanziarli. In Emilia Romagna a sostenere che va fatta una legge sui tirocini e che vadano finanziati quelli d’inserimento e reinserimento sono il comparto del commercio e le pubbliche amministrazioni che di questi 14mila tirocini che lei ha citato nel suo articolo ne utilizzano circa 12mila. Le pubbliche amministrazioni, province e regione, fanno moltissimi tirocini, forse – a pensar male, anche se non si dovrebbe - perché non possono fare assunzioni di altro tipo. Bisogna riflettere sul perché la gran parte dei tirocini sia utilizzata molto in questi due settori.
Da qualche mese l’Emilia ha deciso di disconoscere la circolare ministeriale di settembre e di non attivare stage a persone diplomate o laureate da più di 12 mesi. Non si rischia però così di escludere molti da un canale di ingresso al mercato del lavoro?
Questo lo capisco in alcune professioni in cui il tirocinio ha un senso, ma francamente fare il tirocinante per fare il portiere non è un’opportunità di lavoro in più, è uno sfruttamento ulteriore ed è negare un posto di lavoro a una retribuzione dignitosa. Insisto: 12mila tirocini di quei 14mila sono di bassissime professionalità e non hanno niente a che vedere con l’avviamento al lavoro, semplicemente quel condominio prendendo un tirocinante spende 400 invece di 800 euro per un contratto. Se posso essere più secco, il tirocinio è un’opportunità di lavoro in meno per i giovani perché si copre un posto di lavoro vero con un rapporto di lavoro falso. Poi ci sono altri 2mila stage che potrebbero avere senso se inseriti in un percorso formativo. Perché alla fine pochissimi di questi vengono trasformati in apprendistato, cioè a tempo determinato. Come paradosso matematico chi fa un tirocinio ha meno probabilità di avere un posto a tempo determinato di chi non lo fa.
Quindi i sindacati in questo momento sono contrari a questa eventuale legge?
Cgil, Cisl e Uil hanno espresso unitariamente forti perplessità sul principio iniziale che ci è stato illustrato: regolare i tirocini non curricolari, in particolare di inserimento e reinserimento. Se si vuole fare un atto amministrativo, in particolare una legge, lo si fa sui tirocini, non solo su una modalità particolare che per noi non esiste. Il tirocinio è uno solo: formativo e orientativo. Curricolare e non curricolare è un’alchimia di alcune circolari. E per come è fatto oggi, il non curricolare nella maggior parte dei casi non dà nessun riconoscimento, quindi bisogna per forza appesantire il fatto che è un percorso formativo formale, che ci siano delle ore di didattica prima e dopo. Ci deve essere una progettazione e, alla fine, una certificazione che si può fare solo se quel tirocinio è fatto dalle scuole o dai centri di formazione o da altri soggetti. Perché se non ti assumono, devi avere qualcosa che abbia un minimo di valore per il percorso che hai fatto e questa cosa qui se non è curricolare non c’è.
Si è già deciso quando si tornerà a discutere?

No, per ora non è stata convocata un’altra commissione tripartita. Suppongo che qualcosa, a fine mese, lo diranno perché se vogliono fare una legge entro fine febbraio già sono in ritardo. Il testo deve essere prima discusso con le parti sociali: queste possono dire di non essere d’accordo e il testo può andare avanti lo stesso, però la discussione deve essere fatta.
Alla Repubblica degli Stagisti risultava che nel giro di qualche settimana ci sarebbero state delle novità…
Sì, però se non riescono a convincere la parte rilevante delle parti sociali sull’utilità dell’operazione si fa fatica a fare una legge. Nel sistema “concertativo” che c’è in Emilia Romagna non è che fai una legge contro qualcuno. Se nel merito ci sono dei dubbi e non c’è una discussione fatta fino in fondo è difficile andare avanti.
Che ne dice della legge sui tirocini appena approvata dalla Regione Toscana?

La legge della Toscana per me è legittima nel senso che la regione può decidere legittimamente quello che crede rispetto a queste materie, ma penso che sia sbagliato costruire un nuovo rapporto di lavoro perché ne abbiamo già abbastanza. Quello che deve far riflettere è che in ogni regione, Veneto, Lombardia, Puglia, sui tirocini c’è un’interpretazione diversa, ma non è che si possono inventare i rapporti di lavoro a seconda delle regioni perché devono essere regolati con dei contratti nazionali. Certo che quel che può essere diverso da posto a posto sono i percorsi formativi. La legge toscana ha però un taglio che a noi in Emilia Romagna non piacerebbe perché considera il tirocinio come un rapporto di lavoro vero e proprio. In particolare non ci convincono i tirocini di inserimento e reinserimento, perché non hanno finalità didattiche. E il rimborso spese, che fa assomigliare troppo lo stage a un contratto di lavoro di serie B.

intervista di Marianna Lepore


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