Leggere un annuncio per uno stage di 8-10 mesi con rimborso spese «quasi inesistente» e decidere di rispondere per esternare la propria disapprovazione. Ricevendo, per tutta risposta, un insulto. È accaduto.
Tutto comincia quando Caterina, 28enne milanese emigrata a Londra, pubblica sul suo profilo Facebook alcuni stralci delle mail che poche ore prima si è scambiata con Giancarlo Politi [sotto in foto], nome noto nel mondo dell'arte e del design. Politi, 74 anni, umbro, critico e già direttore della Biennale di Praga, è tra le altre cose anche editore e direttore di Flash Art, magazine mensile di arte contemporanea fondato nel 1967, di cui oggi oltre alla versione italiana - tiratura dichiarata: 40mila copie - esiste anche una internazionale in inglese, entrambe al costo di una decina di euro. «La rivista d'arte contemporanea più prestigiosa, autorevole e diffusa nel mondo» si legge nella pagina dedicata agli abbonamenti. E proprio per rimpolpare la redazione di Flash Art a Milano, in via Carlo Farini (in Italia un'altra sede è a Perugia, mentre l'editore dichiara dipendenti anche a Londra e New York), Politi pubblica un annuncio per la ricerca di stagisti come assistenti di redazione, raccomandando la candidatura solo a chi «possiede i requisiti richiesti e può mantenersi per parecchi mesi a Milano». L'annuncio, ancora disponibile online [sopra, uno screenshot della pagina] e sulla bacheca Facebook del magazine, fa infuriare Caterina, che per altro non è affatto interessata alla posizione. Perché lei un lavoro già ce l'ha ed è soddisfatta: fa l'interior designer a Londra con un contratto che, superato il periodo di prova in scadenza a fine mese, diventerà a tempo indeterminato, con uno stipendio di 32mila sterline all'anno.
«Mi spiega perché i miei genitori o chi per essi dovrebbero pagare perché io lavori per lei? Solo persone ricche possono dunque lavorare da FlashArt?» scrive la ragazza il 12 ottobre. E a stretto giro di posta dall'IPhone di Politi arriva la risposta: senza competenze non si possono avanzare pretese, dice; la sua azienda «non è di beneficenza. E tu cerchi la beneficienza». Caterina ribatte con un elenco: laurea in design al Politecnico di Milano, conoscenza di inDesign e di un'altra decina di software tecnici, quattro lingue, un bel lavoro all'estero. «Dal suo annuncio la cosa che vorrei meno al mondo è lavorare per lei [...]. La beneficenza se la faccia fare lei». Poi, stando alla ricostruzione della ragazza, l'insulto di Politi, che chiude il botta e risposta: «Come vedi ora anche le mignotte debbono parlare 4 lingue, conoscere l'arte e inDesign. Il globalismo fa miracoli. Buon segno».
Dal profilo Facebook di Caterina la notizia rimbalza in Rete: gli amici fanno partire il tam tam mediatico e presto la vicenda, ripresa per prima dal Manifesto dello stagista di Scambieuropei, fa scalpore: la bacheca di Flash Art e la redazione vengono prese d'assalto dalle proteste. Al punto che il giorno seguente Giancarlo Politi pubblica una replica ufficiale, in cui mette in evidenza la «malafede» di «una interlocutrice particolarmente aggressiva e subdola» che avrebbe «manipolato» la sua risposta via mail. Il termine «mignotta» non compare, sostituito da un più politically correct «escort». E non solo: nella replica Politi sostiene che per lo stage era previsto un rimborso spese, quantificato a grandi lettere già nel titolo della comunicazione in 350-500 euro, a seconda del grado di preparazione dello stagista. È questa, precisa il post scriptum, la «versione ufficiale e realissima dell'episodio» [a fianco, uno screenshot della pagina e qui i commenti al relativo post su Facebook].
Caterina però giura di non aver manipolato nulla. E decide di far pervenire lo scambio di mail, che nel frattempo ha fatto il giro del web, attraverso una lettera aperta al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Senza citare il nome di Politi, forse per prudenza, ma firmandosi con nome e cognome e chiudendo con un appello accorato: «Signor Presidente, ci aiuti a ritrovare le speranze. Non lasciateci soli».
Chissà se Napolitano risponderà: per Caterina - e per decine di migliaia di giovani - sarebbe importante un riscontro. Intanto, secondo la filosofia del chi fa da sè fa per tre unita a quella spesso negletta dell'unione che fa la forza, si può prendere spunto dall'episodio. E iniziare a praticare l'arte del rilancio: se ci si imbatte in un annuncio di stage o di lavoro a condizioni non dignitose si ha tutto il diritto di comunicare all'azienda o all'ente il proprio dissenso verso quel tipo di trattamento, e proporne uno alternativo. Sul modello elaborato dal già citato Manifesto dello stagista o anche ricorrendo al sarcasmo - come ha recentemente suggerito un membro del gruppo Repubblica degli Stagisti su Facebook: «vi scrivo fiducioso che un'esperienza come stagista presso una delle vostre filiali possa risultare, assieme a tante altre sostenute, utile per acquisire quelle competenze e quel senso di responsabilità che solo chi non viene pagato, o viene pagato miseramente, può ottenere. Sono convinto dell'importanza del volontariato come esperienza di vita utile ad aiutare chi sta peggio di me e per questo voglio dedicare gran parte della mia vita al servizio di coloro i quali necessitano di giovani con poche pretese, sopratutto giovani che non sono così arroganti e presuntuosi da pensare ancora che qualcuno ti debba pagare se non hai esperienza specifica in tutti settori del nostro mercato del lavoro. Mi auguro di ricevere un riscontro positivo a questa mia richiesta per far in modo che le mie assurde e vergognose pretese di vivere una vita indipendente e di formarmi una famiglia siano rinviate il più possibile».
Alla (ri)scoperta di una qualità che tra nuove generazioni sembra latitare: la combattività.
Annalisa Di Palo
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