Giovani, un futuro da expat? Un quarto degli studenti delle superiori pensa che dovrà lasciare l'Italia

Benedetta Mura

Benedetta Mura

Scritto il 11 Apr 2022 in Approfondimenti

Un ragazzo su quattro immagina il suo futuro lontano dall’Italia. E quattro su cinque andrebbero via dalla propria città. A dirlo è la Fondazione Bruno Visentini nell’indagine “Giovani e Futuro” arrivata alla sua quarta edizione. La ricerca fa parte del rapporto 2021 realizzato dalla Fondazione e intitolato “Il divario generazionale attraverso la pandemia, la ripresa e la resilienza”. Qua sono stati messi in luce dubbi, problematiche, paure e aspettative degli adolescenti italiani che immaginano un futuro sempre più mobile e precario, lontano dalle proprie famiglie.

I ragazzi coinvolti nel report sono più di 3mila
, tutti studenti tra i 14 e i 19 anni: le scuole che hanno spontaneamente aderito all’iniziativa hanno permesso di raccogliere contributi da diverse regioni italiane, con una maggiore frequenza di risposta registrata nel Centro e nel Mezzogiorno. Due sole Regioni, Sicilia e Toscana, costituiscono il 55% dell’intero campione di rispondenti: uno squilibrio geografico tale che non permette all’indagine di essere statisticamente rappresentativa.

La Fondazione ha accettato di estrapolare per la Repubblica degli Stagisti solo i dati dei circa 1.400 ragazzi che hanno tra i 17 e i 19 anni, di cui 59% ragazze e 41% ragazzi. Quasi la metà frequenta il liceo, mentre poco meno del 29% e del 23% studiano rispettivamente in istituti professionali e tecnici. 

«Abbiamo voluto chiedere ai giovanissimi come vedessero il loro futuro» dice alla Repubblica degli Stagisti Claudia Cioffi, research analyst che da tre anni lavora per l’Osservatorio politiche giovanili della Fondazione Visentini: «Al fine di analizzare percezioni e attitudini, gli studenti hanno compilato in classe un questionario online composto da quaranta domande. Abbiamo inquadrato il loro profilo, analizzato il grado di fiducia nel futuro e nel mondo professionale proiettato al 2030».

Il risultato è che il 25% dei ragazzi tra i 17 e i 19 anni vede il proprio futuro fuori dall’Italia, di cui il 10% addirittura fuori dall’Europa. Due su cinque hanno intenzione di allontanarsi dalla propria regione, il 16%, invece, vorrebbe andar via dalla città di provenienza o di nascita. Mentre solo uno su cinque pensa di rimanere.

«Da parte dei giovani c’è sempre più disaffezione verso il proprio Paese e verso i propri territori», commenta Delfina Licata, curatrice dal 2006 del rapporto “Italiani nel mondo” della Fondazione Migrantes ed esperta sociologa di fenomeni migratori.
«Un dato che mi ha colpito della ricerca della fondazione Visentini riguarda la volontà di restare nel Paese. Il 71,6% dichiara di immaginare il proprio futuro in Italia, ma la realtà dei fatti è che si tende ad allontanarsi dal territorio di appartenenza, che sia la città in cui si vive o si è nati, la regione o addirittura lo Stato.
Sebbene il sogno sia di restare, la realtà porta le persone a spostarsi in continuazione, volenti o nolenti. Questo poi si trasforma in disaffezione, nostalgia, una sorta di paura del domani».

Licata interpreta la prospettiva di migrazione dei giovanissimi come un fenomeno endemico della società:
«La mobilità non è qualcosa di negativo: è come un bagaglio pieno di esperienze e conoscenze. Un arricchimento del proprio background personale e professionale. Il rischio, però, è che la concezione che abbiamo di mobilità si depauperi sempre di più».

Nell'indagine della Fondazione Visentini risalta soprattutto il fattore di provenienza territoriale di chi ha risposto. Oltre la metà degli intervistati, infatti, viene dal centro e dal sud Italia, in particolare (per il 26%) da comuni di piccole dimensioni che vanno dai 5mila ai 15mila abitanti. Zone in cui c’è una forte tendenza ad emigrare verso nord. A confermarlo è la stessa Licata che sottolinea quanto il contesto geografico conti nelle risposte che sono state registrate. «Nel centro-sud non c’è ancora una mentalità volta alla formazione scolastica e professionale di stampo europeo che invece è propria dei contesti settentrionali, su tutti Lombardia e Veneto. I ragazzi che hanno risposto sentono l’esigenza di vivere lontano da casa. C’è questa tradizione, un leitmotiv, che porta a spostare le persone dal sud verso il nord e soprattutto dal nord verso il resto del mondo negli ultimi anni. La mobilità è diventata un fattore cardine della nostra società e dobbiamo abituarcene».

Dietro alla scelta dei ragazzi di emigrare e di espatriare ci sono numerose ragioni legate a dubbi e paure verso un futuro involutivo nel luogo in cui si è cresciuti. La preoccupazione principale è, per uno studente su cinque, quella di trovare un lavoro soddisfacente e che lo faccia sentire realizzato nella sfera professionale. A seguire, nella lista troviamo l’autonomia finanziaria (15%), il benessere del proprio nucleo familiare (12%), la difficoltà nel fare carriera (11%), la salute mentale e fisica (10%), un clima politico e sociale instabile (8,5%). «Le loro preoccupazioni sono rivolte a quei settori in cui l’Italia è effettivamente più debole» commenta Delfina Licata: «Le loro paure sono figlie del contesto in cui vivono e di cui sono protagonisti. Ad amplificare il tutto ci ha pensato anche la pandemia che ha complicato la situazione delle categorie più fragili. L’impatto economico-sociale più forte è stato avvertito soprattutto da donne e giovani, categorie deboli già di per sé».

Gli effetti della pandemia si sono riversati anche sulla costruzione di una vita autonoma, che per i giovani è diventata sempre più complessa negli ultimi due anni. «Per molti ragazzi è lontana l’aspettativa di uscire dal nucleo familiare prima dei 30 anni» riflette
Claudia Cioffi: «E anche la proprietà della casa è sempre più fuori portata, limitando la loro capacità di assicurarsi un alloggio, una famiglia e costruire un risparmio». Dall’indagine emerge che il 55% degli studenti è comunque ottimista rispetto al riuscire, nel medio periodo, a conquistarsi una autonomia abitativa, e che entro il 2030 non vivrà più a casa dei propri genitori (il 3% in meno rispetto al 2020). C'è poi un 39% che ha dimostrato un ottimismo più moderato (“tendenzialmente sì”), mentre il 4% pensa che tra una decina d'anni vivrà ancora con i genitori: da notare che la percentuale di sfiduciati è raddoppiata rispetto al 2020.

«Vivere al di fuori dal contesto familiare va di pari passo con altri due fattori
che fanno parte del tessuto culturale italiano: assicurarsi un alloggio di proprietà e avere iniziato un percorso di risparmio» ragiona Delfina Licata: «Questi elementi obbligano i giovani a mettere radici in un posto e non permettono di avere una vita mobile che, invece, è tipica dei tempi odierni. Vivere in autonomia è un concetto che dovrebbe essere reinterpretato e non visto unicamente come l’abbandono del nucleo familiare».

Il desiderio di allontanarsi dalle proprie radici ed espatriare, sia per la generazione Z che per i millennials, sempre più spesso si trasforma in realtà. Secondo il Rapporto "Italiani nel mondo" della Fondazione Migrantes solo nel 2020 110mila persone hanno spostato la propria residenza all’estero e il 43% di loro è rappresentato da giovani tra i 18 e i 34 anni. Nel 2020 come nel 2019, la destinazione preferita è rimasta il Regno Unito, Paese scelto da 33mila italiani (+33,5% rispetto al 2019) e soprattutto da quasi 18mila giovani tra i 18 e i 34 anni. Nonostante le incognite Brexit e pandemia, il Regno Unito si riconferma come meta più attrattiva soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro, che rimane un fattore determinante per i più e meno giovani.


Benedetta Mura

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