Irene Dominioni
Scritto il 25 Feb 2017 in Notizie
diritto al rimborso spese stage gratis unpaid is unfair
«Nella vita ho fatto 11 stage: non ci credete? Guardate il mio profilo LinkedIn». Così dice Nikolay, 26enne bulgaro e trainee nelle istituzioni dell’Unione Europea, mentre sfila sotto la pioggia alla manifestazione del Global Intern Strike. In mezzo ai tanti giovani schierati per protestare contro gli stage gratuiti o sottopagati il 20 febbraio a Bruxelles c’era anche la Repubblica degli Stagisti, venuta per raccogliere le loro testimonianze e unire la propria voce a quella dei ragazzi e delle ragazze che ogni giorno devono barcamenarsi tra le mille peripezie del mercato del lavoro.
Dei rappresentanti istituzionali, invece, non si è presentato nessuno: un'occasione persa per manifestare solidarietà ai giovani in difficoltà, che spesso sono costretti a rinunciare ad un'opportunità di formazione perché non avrebbero le risorse per sostenersi da soli. L'unico riscontro è arrivato dall'Ombudsman, il mediatore europeo che riceve e indaga i reclami diretti agli organi dell'UE e che da sempre corrisponde buone indennità i suoi stagisti, che in una nota ha scritto: «la pratica dei tirocini non pagati può condurre ad una situazione discriminatoria e risultare controproducente nell'individuazione dei candidati migliori».
La storia di Nikolay è simile a quella di molti altri suoi coetanei. È arrivato a Bruxelles a marzo 2016 per iniziare uno dei tanto ambiti percorsi di traineeship di cinque mesi alla Commissione Europea. Laureato in legge, racconta di aver costellato i suoi studi di esperienze di stage, che quasi mai prevedevano un rimborso spese, in Ong, negli uffici della pubblica amministrazione bulgara e perfino all’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. L’ha fatto per aggiungere esperienze al CV e perché vivere all’estero è sempre una buona carta da giocare, dice. Lo stage all’Unione Europea è soprattutto un modo per rendersi più appetibili sul mercato del lavoro, oltre che garanzia di una buona, seppur temporanea, indennità. Allo scadere della traineeship, è riuscito a farsi arruolare per altri sei mesi su un progetto specifico presso uno dei DG (Directorate General, uffici di direzione generale) dell’Unione. Ma anche questa esperienza si concluderà tra un paio di settimane, e cosa succederà dopo, Nikolay ancora non lo sa. Vorrebbe restare a Bruxelles, qui ha trovato una ragazza – con cui oggi convive – e si è creato un bel giro di amicizie, non vuole pensare di dover cercare fortuna altrove. Ma sebbene si sia attivato già da mesi per trovare lavoro, finora non è stato fortunato.
Pur avendo inviato il proprio curriculum a più di 200 diverse realtà, non è stato chiamato a colloquio nemmeno una volta. Eppure il ragazzo sembra sveglio, difficile che sia caduto nell'errore comune di inviare curriculum a tappeto, senza criterio; cosa che, lo sanno tutti, è pressoché inutile per trovare lavoro. La situazione di Nikolay fa riflettere. Se gli chiediamo perché pensa di non essere mai stato chiamato, fa spallucce. Magari qualcosa potrà aver sbagliato per davvero (e forse gonfiato un po’ il numero di candidature, per fare scena), ma sicuramente questo è l’ennesimo esempio di una disfunzione strutturale nel mercato del lavoro, a Bruxelles come nel resto d’Europa.
Anche per questo giovani di ogni provenienza si sono radunati per protestare davanti all’edificio dell’EEAS (European External Action Service), l’istituto avente a capo l’italiana Federica Mogherini che gestisce le relazioni diplomatiche dell’Unione con altri Paesi. Qui i percorsi di traineeship non prevedono una indennità: una contraddizione non da poco all’interno delle istituzioni europee, dalle quali ci si aspetterebbe invece una condotta esemplare, a quattro anni dal lancio della Garanzia Giovani, e un’offerta di stage di qualità sia da un punto di vista contenutistico che da quello della sostenibilità economica.
Eppure, le falle nel programma persistono, al punto da spingere la Global Intern Coalition, il network di enti impegnati nella difesa dei diritti degli stagisti e nel miglioramento delle loro condizioni in tutto il mondo, a organizzare uno sciopero globale in diverse città. La richiesta è semplice: che gli stagisti siano pagati equamente. Una causa per cui la Repubblica degli Stagisti si batte in Italia già da quasi un decennio – e sono stati raggiunti buoni risultati, con il cambiamento normativo che tre anni fa ha introdotto in tutte le Regioni l'obbligo di una congrua indennità mensile per tutti i tirocinanti extracurriculari. Ma anche in Italia gli stage gratuiti non sono stati ancora debellati: quelli "curriculari" infatti, cioè svolti durante il percorso di studi, non hanno alcuna protezione da questo punto di vista.
Tra i manifestanti del 20 febbraio si incontrano naturalmente anche ragazzi italiani. Stefania, per esempio, è arrivata a Bruxelles a ottobre 2016 per svolgere una traineeship nel DG per l’innovazione e la ricerca.Triestina di 28 anni, vanta una laurea in relazioni pubbliche, un Erasmus in Germania e un Master in economia e cultura europea. Anche lei, come Nikolay, ha svolto diversi stage, sia in Italia (alla regione Friuli) che all’estero. È stata selezionata per il programma al terzo tentativo (gli italiani sono primi per numero di application per gli stage in UE, quindi la competizione è fortissima) e anche per lei adesso l’esperienza sta per concludersi. Vorrebbe rimanere a Bruxelles oppure fare un dottorato a Mosca, ma «tutto dipende dalle mie finanze», racconta alla Repubblica degli Stagisti. Finora è stata sostenuta dalla benevolenza dei parenti, che le hanno periodicamente elargito degli aiuti economici, ma il domani resta incerto. «Bisogna però essere sempre ottimisti», aggiunge: se ci si dimentica di guardare avanti, si rimane indietro.
Il sentimento di Stefania sembra essere condiviso, e sui volti dei partecipanti si legge tanto entusiasmo. Sono un centinaio, una porzione minima del numero di stagisti che, dentro e fuori dalle istituzioni europee, popolano Bruxelles. Ma poco importa, loro sono lì a nome di tutti, e tanto basta per farsi filmare dalle telecamere e intervistare dai giornalisti accorsi sul posto. Sorridono tenendo alti i cartelli e gridando i loro diritti: “Non posso permettermi di lavorare gratis”, “uno stage non retribuito non mi paga l’affitto”, “provate a immaginare un giorno senza stagisti”, si legge sui fogli che sventolano. Nonostante le difficoltà legate all’essere stranieri in un Paese che è diverso e lontano dal proprio, la fatica nel trovare un impiego che li faccia crescere e l’indeterminatezza del futuro, sono uniti come le loro voci, fiduciosi verso quello che verrà.
Si disperdono poco dopo la fine del raduno, il freddo e la pioggia non consentono di restare all’aperto troppo a lungo. Vanno via veloci, ma in qualche modo si percepisce che non sono di passaggio. Sono venuti per restare, e la cosa non stupisce: nonostante l’aria grigia e poco allettante della città, a Bruxelles si vive bene, l’offerta culturale è ricca e c’è un bel viavai di gioventù. Questo 20 febbraio è, per loro, solo uno dei tanti giorni spesi nella “capitale d’Europa”, così accogliente e scomoda al tempo stesso, tra sogni da coltivare e speranze che vengono spesso disilluse.
Ma sono venuti chiedendo di essere ascoltati e rispettati nel proprio lavoro e nelle proprie ambizioni: un compenso equo è non solo sinonimo di dignità e di opportunità, ma anche la prima condizione per creare un mercato del lavoro in cui il merito venga riconosciuto e incoraggiato, consentendo alle nuove generazioni di dare il proprio contributo all’intera società, oltre allo sviluppo dei singoli. Se questo obiettivo non verrà raggiunto, lo scenario che si prospetta è buio: pagare di meno non significa occupare di più, ma piuttosto contribuire ad una spirale di disoccupazione e povertà da cui diventerà sempre più difficile scappare e che non compromette solo il benessere dei più giovani, ma di tutta la società. Un rischio che bisogna scongiurare ad ogni costo: ne va del futuro di tutti.
Irene Dominioni
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