Stage in Europa, la qualità è un work in progress: «Inaccettabile l'assenza di un obbligo di compenso» secondo lo Youth Forum

Maura Bertanzon

Maura Bertanzon

Scritto il 07 Feb 2015 in Notizie

«Non è stato fatto abbastanza per assicurare che gli stagisti abbiano un compenso equo per il loro lavoro». Non è per niente tenera con le istituzioni europee Tinkara Oblak, membro del board dello Youth Forum, organismo che riunisce le associazioni giovanili di tutta Europa e che a Bruxelles vigila sull’evoluzione di tutte le politiche che hanno al centro i giovani. 

Al centro dell’attenzione, lo European Quality Framework for Traineeships, ovvero la raccomandazione adottata nel marzo 2014 dal Consiglio europeo per le Politiche sociali (EPSCO), sulla base di una proposta della Commissione, per  garantire standard minimi di qualità per i tirocini extracurriculari comuni a tutti gli Stati. A un anno dalla sua approvazione, si è tornati a fare il punto a Bruxelles, in una conferenza organizzata al Parlamento europeo dalla Ong Bingo (Brussels Interns Ngo) e da Epsa, l’associazione degli stagisti parlamentari. 

Risultato: se è vero che l’Ue si è finalmente data delle regole comuni sugli stage non compresi nei percorsi formativi, la loro applicazione è un work in progress, affidata (molto) alla buona volontà dei singoli stati dell’Unione. Perché il documento approvato dagli Stati membri include sì l’obbligo che l’accordo di tirocinio sia ora un accordo scritto, che specifichi gli obiettivi formativi, le condizioni lavorative, diritti e obblighi per entrambe le parti e indicazioni precise sulla durata. Però sì tratta sempre di una raccomandazione e, in quanto tale, di un documento non vincolante per gli Stati membri. In più, il testo finale adottato l’anno scorso non impone nessun obbligo di assicurare compensi di sorta. 

Troppo poco, per lo Youth Forum: «È  inaccettabile che questo punto non sia compreso» dice Tinkara Oblak, insistendo sulla proposta di “un rimborso minimo nazionale pari al 60% del reddito medio” per gli stage extracurriculari. Già l’anno scorso il Forum aveva definito «fiacco» il risultato della contrattazione istituzionale a dodici stelle, considerandola un’occasione mancata per incidere sugli Stati membri, che restano i veri detentori della competenza sulla materia del lavoro e dei contratti. E sì che le premesse erano buone, con la stessa Commissione europea che si era ispirata alla European Quality Charter on Internships and Apprenticeships (la Carta europea per la qualità dei tirocini e dei praticantati elaborata da diversi attori della società civile, tra cui lo Youth Forum e la Repubblica degli Stagisti) per scrivere il Framework  portato in discussione al Consiglio nel dicembre 2013. 

Il Consiglio Ue, però, alla fine ha giocato al ribasso, escludendo dal testo finale il diritto ad un congruo compenso per gli stage extracurricolari. L’Italia avrebbe voluto molto di più, ma mette al sicuro un risultato non scontato: «Siamo stati in favore fin dall’inizio. Abbiamo spinto per  un riferimento ad un rimborso certo ma siamo rimasti isolati. Al Consiglio sono stati tre mesi di battaglia intensa e inaspettata», ricorda Tatiana Esposito, che da consigliere della Rappresentanza permanente presso l’Unione europea (in pratica, l’ambasciata italiana presso l’Ue) ha vissuto in prima persona le contrattazioni nel Coreper, il comitato dei rappresentati permanenti, responsabile della preparazione dei lavori dei vari Consigli tematici dell’Ue. «Hanno pesato le posizioni di molti Stati membri, specie del Nord Europa, non abituati ad esempio ad avere accordi scritti di tirocinio», dice. «Avremmo voluto un provvedimento ancora più ambizioso, ma il risultato del negoziato è già qualcosa». 

I dati di un sondaggio dell’Eurobarometro della primavera 2013 indicano quella che durante la conferenza Ulrike Lunacek, vicepresidente del Parlamento Ue, ha definito «Generazione Stage» (“Generation Internship”): la metà dei giovani europei ne ha fatto almeno uno. Secondo l'immagine dipinta ormai due anni fa dall'Eurobarometro, un terzo degli stage non rispetta standard adeguati in merito alle condizioni di lavoro o ai contenuti formativi. Quattro stagisti su dieci non hanno mai visto un accordo scritto di tirocinio o un contratto e quasi sei su dieci (il 59%) non sono stati pagati. «Per molti di loro si sussegue uno stage dopo l’altro», osserva la vicepresidente. «Potrebbero diventare una lost generation, una generazione “perduta”? Non credo, ma dobbiamo affrontare con forza il fenomeno». 

I conti, però, si faranno solo alla fine di quest’anno, con un convegno in cui la Commissione Lavoro (EMCO) della Commissione europea chiamerà gli Stati a fare il punto sulle iniziative messe in campo  a livello nazionale. L’intento è quello di avviare una revisione del Quality Framework entro la fine dell’anno. Un secondo sondaggio sugli stage dell’Eurobarometro, previsto nel 2016, scatterà una nuova foto alla condizione degli stagisti europei. 

L’Italia, per ora, vede il bicchiere mezzo pieno: gli standard imposti dalla Raccomandazione approvata a marzo, già contenuti nella legge 92/2012 sui tirocini,  «sono già stati raggiunti, almeno sulla carta: la regolazione degli stage è competenza delle Regioni, che presentano realtà molto diverse e frammentate. Tutte, però, hanno adottato entro lo scorso ottobre le linee guida nazionali contenute nella legge», ricorda Tatiana Esposito. Tra queste, una durata massima fissata a sei mesi (eccetto nel caso di tirocini legati al reintegro nel mercato del lavoro, che possono prolungarsi fino a un anno, o di tirocini rivolti a disabili, nel qual caso la durata può essere raddoppiata), l’obbligo di un progetto formativo, di un accordo scritto, di condizioni lavorative garantite (come l’assicurazione) e, sì, anche di un rimborso. Una condizione che ha portato alla chiusura di programmi illustri, come i tirocini Mae-Crui presso il Ministero degli Esteri. «Un’opportunità persa, certo, ma anche un segno di cambiamento», rimarca Esposito. Ciò non significa che dall’oggi al domani l’Italia sia diventata l’isola felice degli stagisti: «Nella realtà esistono ancora molti, troppi ‘abusi’. Ma almeno ora c’è un punto fermo su cui lavorare, a livello sia italiano che europeo. Quello che possiamo fare è cambiare le regole e spingere perché siano applicate». 

Maura Bertanzon 

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