Pubblichiamo il post di esordio di Alessandro Rosina, docente di demografia e autore del famoso saggio Non è un paese per giovani, come blogger sul sito del webmagazine L'Inkiesta. Lo spazio si intitola significativamente «Degiovanimento».
La questione delle pensioni oramai possiamo considerarla quasi del tutto definita, tranne aggiustamenti. L'impatto stimato (pubblicato ampiamente sui vari quotidiani) evidenzia bene come a perderci siano state soprattutto le donne e a guadagnarci non siano stati necessariamente i giovani. Quindi di equo finora si è visto poco.
Il riequilibrio si potrà ottenere se gli introiti non serviranno solo a fare cassa, ma verranno destinati a coprire le carenze di un welfare pubblico obsoleto e a migliorare le condizioni dei giovani sul mercato del lavoro (non bastano certo gli incentivi fiscali per le assunzioni).
In attesa di vedere cosa il governo tirerà fuori di convincente dal cilindro - che si spera segnerà una forte discontinuità rispetto al passato - può essere utile fare il punto sulla realtà che ci troviamo davanti.
Chiariamo subito una cosa. Si legge spesso sui giornali che in Italia quasi un giovane su tre non lavora: magari fosse vero! Il malinteso nasce da una errata interpretazione del tasso di disoccupazione. Il complemento a cento dei disoccupati non sono quelli che lavorano, va infatti aggiunta la sempre più ampia componente degli scoraggiati e inattivi. Se si guarda infatti al tasso di occupazione, il valore scende a meno di uno su quattro ed è il più basso in Europa.
Se si allarga poi il quadro la situazione non migliora molto. Per i giovani tra i 18 e i 29 anni gli ordini di grandezza della (non) presenza nel mercato del lavoro sono i seguenti (riferiti alla media 2010): attorno ai 2,5 milioni sono quelli che studiano; circa 3,2 milioni lavorano, di questi oltre 1 milione sono sottoinquadrati secondo le stime dell’Istat. Un ammontare analogo corrisponde ai lavoratori con contratto a tempo determinato o con una collaborazione. Ci sono poi quelli che non studiano e non lavorano, che sono oltre 2,1 milioni. Oltre la metà di questi rimangono inoccupati per oltre due anni e per la maggioranza dei casi provengono da classi sociali medio-basse: questo a conferma che gli squilibri generazionali sono strettamente connessi a quelli sociali.
Su quindi quasi 7,8 milioni di giovani, ad essere pienamente inseriti nel mercato del lavoro sono non più di 2,2 milioni (meno del 30 per cento). Tolti gli studenti, si arriva poco sopra il 40%. Questo significa che la grande maggioranza dei giovani che hanno concluso gli studi è esclusa o mal inserita. È qui che il Governo Monti è chiamato a dare il meglio di sé. Senza interventi coraggiosi e incisivi su questo punto potremo anche superare la crisi ma non andremmo certo lontano.
Alessandro Rosina
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