Niente e così sia: fulgido esempio di solidarietà femminile
6 anni fa di Nakia
Premessa: apprezzo la possibilità offerta da questo forum, dare uno spazio per condividere le esperienze di questa generazione, che sta facendo se possibile ancora più fatica delle precedenti a farsi rispettare sui luoghi di lavoro a livello professionale, e anche umano. Ho sempre pensato che avrei scritto qui qualora avessi trovato le palle di riferire questa esperienza rivivendo la vergogna (anche mia).
Non è una storia originale. Abusi del genere si verificano ogni giorno ai quattro angoli del mondo. Ma questo episodio è successo davanti a me, è rimasto nella mia memoria e da un anno a questa parte torna a galla ogni volta che mi viene voglia di sproloquiare di diritti, a ricordarmi che una delle poche volte in cui potevo alzare la testa l’ho tenuta ben incassata nelle spalle, per paura che la tagliassero. Per chi avrà la pazienza di arrivare in fondo, buona lettura.
Luogo: uffici finanziari di una nota casa automobilistica. Personaggi: il direttore amministrativo e finanziario, donna (e madre di tre figli) che chiameremo Adelina; il responsabile dell’ufficio amministrazione, donna, che chiameremo Guendalina; l’impiegata dell’ufficio amministrazione in apprendistato e la stagista postino/fotocopiatrice di turno (io).
Direttore e responsabile discutono tra loro della prima fase di selezione appena conclusa di una nuova figura addetta alla cartolarizzazione. I candidati rimasti in ballo sono due: un trentenne arruolato in una nota società di consulenza e un’addetta contabile. Quali sono state le sensazioni di Guendalina, che ha sostenuto i colloqui? Quali sono le esperienze lavorative dei candidati, che impressione hanno dato delle loro competenze, qual è stata l’idea generale della loro professionalità? Guendalina ha le idee molto chiare in proposito: la donna ha avuto un bambino da pochi mesi. La scelta deve ricadere per forza sul maschio.
Adelina non può che dirsi assolutamente d’accordo. Lei “non vuole madri qua dentro”. Non sia mai che un giorno questa si monti la testa e chieda due ore di permesso per portare il figlio all’ospedale. E pazienza che Adelina a qualsiasi ora del giorno parta rombando al volante della sua Panamera alla volta dell’asilo o della scuola, e a volte causa figli non si presenti neanche.
Guendalina ha molto da dire sulle madri. La collega dell’ufficio a fianco, ad esempio. Laura che, nonostante abbia un figlio alle elementari e uno in età da pannolino, alle nove è sempre in ufficio e alle sette spesso non è ancora uscita, lo scorso inverno si è resa colpevole di aver chiesto ferie la mattina del 24 dicembre perché aveva i figli a casa. E pazienza se Guendalina per il padre molto malato usufruisce a man bassa di una legge che consente di prendere tutte le ore necessarie ad accudirlo.
Adelina ci tiene a far sapere la sua opinione, ossia che la parità tra uomo e donna non esiste. In fatto di lavoro o altro. E se noi due – l’altra ragazza ed io – speravamo il contrario, possiamo anche mettercela via, tanto non è mai troppo presto per iniziare a capire. Le donne possono fare figli e da quel momento – ma anche prima - nei luoghi di lavoro sono come gli handicappati: non gradite perché meno utili. È da allora che mi chiedo se questi discorsi edificanti li faccia anche a sua figlia, che afferma di voler fare lo stesso lavoro della madre per avere la macchina grossa. Ma non penso proprio. Gli assegni a tre zeri non comprano l’intelligenza ma comprano tutto il resto: dal necessario per fingere di averla al diritto di ricevere almeno la parvenza di un trattamento equo. Chi ha avuto il seggiolino montato su un sedile di pelle cucito a mano e la tata multilingue dodici ore al giorno difficilmente verrà sfottuto dalle Adeline e dalle Guendaline di turno per aver assicurato durante un colloquio di avere dei genitori disponibili a tenere il bambino anche fino a sera, se necessario. Difficilmente risponderà ad annunci di lavoro in amministrazione e si troverà a fare la fotocopiatrice compulsiva, la centralinista, il valletto tuttofare.
Aveva senso per le due spettatrici alzarsi in piedi e tenere un comizio alla Emmeline Pankhurst? Aveva senso avviare il “dialogo educato e diretto” tanto caro ai soggetti promotori, e prescritto agli stagisti sia che vengano a elemosinare un buono pasto che a denunciare uno stupro? Ma anche no, tanto più che Ade e Guenda fingono di non avere coscienza del loro agire. A una domanda diretta sarebbero capaci di negare quanto detto appena un attimo prima, e montare ragioni socialmente digeribili per l’esclusione (le stesse che più avanti rifileranno alla donna), contando sul fatto ad ascoltarle da dieci minuti ci siano due sordomute inabili al pensiero razionale. Quando la ragazza in apprendistato se ne va sbattendo la porta Guendalina si guarda intorno stupita: ha detto per caso qualcosa di male?
Certo però aveva senso aprire la bocca pochi giorni dopo, quando la donna viene convocata per il secondo colloquio previsto dalla selezione. Prima di fare la sua comparsa, Guendalina adora lasciare i candidati appesi all’ingresso il più a lungo possibile. Minore il rango, più lunga è l’attesa: in questo caso dura un buon quarto d’ora prima di mandare me a prenderla con l’ordine di parcheggiarla in una stanza vuota. Dall’ingresso alla scala che porta agli uffici tocca uno slalom tra le loro macchine stupidamente costose. Dalla scala a quella specie di sgabuzzino dove la terrà relegata altri venti minuti prima di ricordarsi della sua esistenza ci sono ben due corridoi, e quindi tutto il tempo per avvertire la giovane madre con la pancia ancora tonda che nei suoi confronti è in corso una grandiosa presa per il culo, oltre che un illecito.
E invece niente. Per viltà e comodità della stagista è andato tutto secondo i piani: lei si è fatta torchiare per quasi un’ora convinta che davvero fossero sotto esame le sue competenze, e una settimana dopo si è bevuta i bla bla di Guendalina credendoli le vere motivazioni per cui la scelta è ricaduta sull’altro.
Tacere per cosa, poi? Perdere due mesi di lavoro che con la benedizione della legge non ha la dignità di un lavoro, e mettere a rischio le interminabili ferie estive di Guendalina? Perdere il privilegio di occupare un angolo senza aria e senza luce di una società che riceve decine di curriculum, e per disgrazia anche il mio? Questa società che “ti prendiamo perché eri militare e sei femmina quindi di sicuro ci obbedisci”. Questa società che senza i limiti di legge terrebbe in stage pure i vasi delle piante, in memoria dell’organizzazione Todt e dei bei tempi andati. Questa società che per i figli dei clienti prevede un’area di gioco attrezzata di tutto, che per loro progetta e regala macchine macchinette vestiti giochi e album a tema, così che imparino ad accumulare costosità ancora prima di camminare, ma che i figli delle dipendenti, a meno che non siano manager, li preferisce abortiti. Questa società che Davide Vannoni lo chiama stimato cliente e i pagamenti del suo terzo leasing se li fa garantire dalle sue cliniche nell’est Europa. Questi ex nazisti per i quali le assunzioni di lavoratori appartenenti a categorie protette sono un danno di immagine. Preferiscono farsi fare causa dal governo italiano, che i portatori di handicap fa almeno finta di difenderli.
No, non c’era nulla da perdere. L’unico rischio era che venendolo a sapere la giovane donna masticasse la sua rabbia e dopo averlo raccontato ad amici e parenti si mettesse alla ricerca di altro come se nulla fosse successo. Perché c’è qualcosa di duro nella testa degli italiani, maschi e femmine, che si rifiuta di riconoscere l’ingiustizia di valutare una donna in un senso o nell’altro perché sposata o perché madre. La donna soltanto, dal momento che tale parametro di regola non rientra nella valutazione del maschio bianco occidentale alla ricerca di impiego. Il massimo che verrà concesso a una candidata è di essere valutata anche per il proprio valore, ma con un occhio sempre puntato sulla sua fertilità.
La legge a cui piace farsi chiamare legge ma non è altro che una grida di manzoniana memoria non è un deterrente neanche per le Adeline e le Guendaline che forti del loro piccolo potere e della loro spocchia tagliano le gambe ad un’altra donna perché madre e perché donna, e non lascia speranza di rivalsa alle vittime che spesso non hanno neanche coscienza dei propri diritti, come le ragazze che per un contratto (ovviamente temporaneo) da commesse firmano e controfirmano il loro impegno a non farsi mettere incinte per un periodo, o a buttarsi dalle scale nel caso capiti, chissà. Con la stessa coerenza con cui lo spaccio di droga è illegale ma lo si pratica alla luce del sole, davanti alla porta di casa tua, con sedia tavolino telefono e tutto il necessario, mentre i SUV bianchi ti bloccano il portone perché al proprietario la cocaina sembra costi troppo rispetto al weekend scorso.
Tanto abbiamo l’esperienza di vita, nuova scusa nazionale sotto la quale classificare e santificare qualsiasi vergogna e qualsiasi abuso, dal lavoro gratuito alle umiliazioni, e grazie alla quale sai che parlare prima o dopo non fa differenza come non la faceva in passato, che denunciare non serve a niente, perché in fondo a nessuno importa niente, altrimenti le cose sarebbero già diverse. Niente si è fatto e niente cambierà. Niente e così sia.
Redazione_RdS
6 anni fa
Ciao Nakia,
grazie per la tua testimonianza, che racconta tanto di certe dinamiche all'interno del mercato del lavoro (quello reale, dal vivo). E anche della fantomatica 'solidarietà femminile' che tu citi. Quello che ci sentiamo di dire di fronte a questi comportamenti, che sospettiamo avvengano molto più spesso di quanto si possa immaginare, è solo che peggio per loro, perché si sbagliano, e di grosso. Verrebbe da dire che a perderci sono loro, anche se la realtà è più triste, che nella pratica significa che quella ragazza dovrà aspettarsi un cammino molto più tortuoso verso un'occupazione per il fatto di essere mamma di un neonato. Una condizione che rappresenta invece un valore aggiunto, e non un handicap come molti selezionatori ritengono. Prendendo una grossa cantonata. Per fortuna qualche azienda se ne accorge, e noi ne abbiamo scritto diverse volte menzionando a questo proposito il progetto Maam. Puoi dare un'occhiata a questi nostri articoli se ti interessa, dove trovi esempi positivi di come sia possibile valorizzare la maternità e puntarci su anche in azienda: https://www.repubblicadeglistagisti.it/article/bip-scommette-su-maam-per-valorizzare-maternita-e-paternita-in-azienda
https://www.repubblicadeglistagisti.it/article/danone-e-maam-non-potevamo-che-far-parte-di-questo-progetto
https://www.repubblicadeglistagisti.it/article/evento-people-of-ey-cosa-vuol-dire-lavorare-in-ey
Un caro saluto, e torna a scriverci!
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