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Blind applying, candidarsi "alla cieca" per 15 stage in giro per il mondo: ecco come funziona

Mandare il curriculum una sola volta e contemporaneamente partecipare alla selezione per uno stage in 15 grandi aziende, in tutto il mondo, senza sapere di preciso in quale impresa, città e settore lavorativo si finirà: è in sintesi il funzionamento «Blind Applying», iniziativa giunta alla sua terza edizione dedicata agli studenti universitari di qualsiasi settore ideata da Deutsche Telekom, che oggi è tra le aziende partecipanti che offrono uno stage, e gestita da Entrypark.Per partecipare c’è tempo fino al 7 dicembre, data entro cui è necessario creare un account e compilare il form disponibile sul sito di Blind Applying, allegando il curriculum in inglese. A quel punto - una volta raccontati i propri interessi, inserito il percorso educativo e le esperienze lavorative già avute - non resterà che aspettare e incrociare le dita. “In palio” ci sono tre mesi di tirocinio, tra maggio e settembre del 2016, con un rimborso spese che si aggira sui 900 euro al mese. Una cifra molto interessante, sopratutto per i candidati italiani, che peraltro potrebbe anche essere più alta - visto che ciascuna azienda la stabilisce considerando il costo della vita del paese in cui si svolge lo stage, per garantire una qualità della vita dignitosa. Almeno questo assicura  alla Repubblica degli Stagisti Marco Del Canale, understanding talent presso Potentialpark e Entrypark: «Tutto nasce dalla sfida di rivoluzionare gli abbinamenti che gli studenti tendono a fare tra l’azienda e il settore lavorativo. L’obiettivo è attirare candidature inusuali e far considerare agli studenti determinati tipi di carriera a cui non avevano pensato. Per esempio quando si parla di una banca c’è anche il settore comunicazione, che non sempre viene preso in considerazione dai giovani per inviare un curriculum». Con la Blind Applying si ha il vantaggio di fare un’unica application e potenzialmente candidarsi per 15 aziende e altrettanti posti in settori molto diversi tra loro. Quest’anno i tirocini sono offerti da imprese del calibro di BNP Paribas, Deloitte, Bayer, solo per citarne alcune, e le destinazioni possono essere Parigi, Stoccolma, Bangkok o gli Stati Uniti. Per farsi un’idea del clima all’interno delle aziende si possono anche consultare le brevi descrizioni presenti sul sito in cui dipendenti o ex stagisti raccontano anche attraverso immagini quello che il luogo di lavoro ha rappresentato per loro e le mansioni che hanno svolto. Di certo si sa che 11 stage saranno in Europa e gli altri quattro saranno assegnati in altri continenti. Nelle due precedenti edizioni gli stage fuori dal territorio europeo erano stati attivati negli Stati Uniti, in Giappone, Australia e Cile. Al momento nessuna azienda italiana partecipa al programma né ci sono tirocini disponibili nel nostro Paese, ma «durante l'anno gli studenti potrebbero essere raggiunti per opportunità anche in Italia», aggiunge Del Canale.  L’anno scorso sono arrivate ben 13mila candidature, di cui 580 dall’Italia che è stato il quinto paese per numero di application dopo Germania, Spagna, Francia e Cina. I posti in quel caso erano 21, ma alla fine sono state offerte altre 5.500 opportunità nel corso dell’anno. Registrandosi, infatti, si entra a far parte di una comunità internazionale che nei mesi seguenti viene continuamente aggiornata sulle nuove opportunità disponibili. Non solo: una volta fatta l’application, Entrypark fa le combinazioni tra i curriculum arrivati e le offerte di stage inserite dalle aziende. A quel punto presenta una rosa di 20-30 curricula per ciascuna posizione, e le imprese procedono con i colloqui. Selezionato lo stagista, le aziende continueranno ad essere in possesso delle altre application e quindi, in un secondo momento, potranno anche fare riferimento proprio a queste per future selezioni.Difficile dire al momento se gli stage si sono poi trasformati in contratti di lavoro. Del Canale ci tiene, infatti, a ricordare che «ci sono stati diversi casi in cui gli studenti hanno ricevuto un'offerta dopo lo stage. Ma non dimentichiamoci che stiamo parlando di stagisti studenti, che nella maggior parte dei casi deve ancora completare il proprio percorso di studi» e quindi nonostante le aziende siano felici di mantenere i contatti, un'eventuale proposta non può esserci nell'immediato.Per i giovani italiani è sicuramente un’opportunità interessante, non solo per la possibilità di fare un’esperienza internazionale con una indennità mensile piuttosto cospicua, ma perché ad ognuno degli stagisti viene garantito anche un rimborso per spese di viaggio e alloggio che può arrivare fino a 2100 euro. «È un’iniziativa di grande impatto internazionale» commenta Vantaggi «alla quale le aziende partecipano volendo costruire una relazione con i candidati per il futuro: è nel loro interesse mostrarsi attrattive sia come opportunità sia come benefit».  Una volta scaduto, a inizio dicembre, il termine ultimo per partecipare, nel mese di gennaio del 2016 i migliori candidati saranno contattati dalle aziende per procedere con i colloqui, che saranno conclusi nel mese seguente; i giovani selezionati verranno contattati a marzo, e dovranno cominciare il tirocinio tra giugno e luglio.  Il trend di adesione fino oggi è stato in crescita e Del Canale è convinto che anche quest’anno il numero dei candidati aumenterà, anche considerando che due grandi aziende americane, Johnson & Johnson e GM, hanno appena aderito e che quindi faranno prevedibilmente incrementare il numero di application dagli Stati Uniti. La Blind Applying ha vinto l’Employer Branding Innovation Award 2014 organizzato da Trendence, un istituto di ricerca europeo specializzato in employer branding e selezione del personale, e l’Hr Excellence Award per la miglior campagna Hr nel 2013: adesso l'obiettivo è quello di farsi conoscere di più dai giovani, anche italiani, consentendo loro di prendere in considerazione percorsi lavorativi a cui non avevano pensato prima. La promessa di Entrypark è quella di garantire una risposta a tutti e pari opportunità di accesso agli stage.Marianna Lepore

Disoccupazione, le aziende scendono in campo con il Patto europeo per la Gioventù: promesse 100mila opportunità in due anni

Due anni di tempo per creare centomila occasioni di stage, apprendistato, prime occupazioni e mobilità. L’importante è che siano “di qualità”. La promessa è impegnativa e a farla questa volta è il mondo dell’impresa insieme alla Commissione europea. Il “Patto europeo per la Gioventù” è stato lanciato ufficialmente a Bruxelles dallo European Business Network for Corporate Social Responsibility (Csr Europe), rete che coinvolge 70 multinazionali e 45 network imprenditoriali nei diversi Stati membri (a destra, il momento del lancio del Patto a Bruxelles, alla presenza del re Filippo del Belgio, del commissario Thyssen e del presidente del Parlamento Ue Martin Schulz). In totale, fanno 10mila imprese coinvolte. Ed è proprio alla realizzazione di 10mila partenariati pubblico-privati che punta il Patto europeo per la Gioventù. Sulla forza del fare rete, insomma, si ripone la speranza di successo di questa iniziativa. Perché le centomila opportunità sono l’obiettivo concreto da raggiungere, attraverso progetti che saranno messi in piedi a livello nazionale o internazionale dalle imprese membri di Csr e che saranno mappati sulla Business Impact Map. Ma la speranza è molto più ampia: creare una cultura dove le collaborazioni virtuose tra mondo dell’impresa, parti sociali e mondo della formazione per offrire occasioni di occupazione ai giovani diventino la normalità. Utopia? Etienne Davignon, presidente del Csr, diplomatico di lungo corso e più volte commissario europeo, è ottimista e si spinge a definire il Patto europeo per la Gioventù «un elemento rivoluzionario, simile a ciò che è stato il programma Erasmus negli ultimi 28 anni». L’Ue non vuole far mancare il suo appoggio, visto che negli orizzonti della Commissione c’è la creazione di 250mila nuove opportunità per tutti i giovani. Sarà per questo che, nelle parole del Commissario europeo per l’occupazione, Marianne Thyssen (nella foto a sinistra), il Patto per la Gioventù diventa «un progetto non comune. Un cambiamento culturale per aiutare i giovani a trarre il meglio dalle loro capacità e competenze». Il supporto della Commissione promette di essere tecnico, in appoggio ai partner coinvolti nell’iniziativa. Ma cosa cambia rispetto a iniziative lanciate con altrettanta (se non maggiore) enfasi, come la Garanzia Giovani, che ad oltre un anno dal lancio faticano in quasi tutti i Paesi europei a raccogliere i risultati sperati? «Quelle sono iniziative istituzionali, portate avanti dai governi», precisa Jan Noterdaeme, co-fondatore di Csr Europe. «Sono più che benvenute e magari ben pianificate, ma quando si costruisce l’architettura di questi progetti è meglio coinvolgere le imprese, in modo che i progetti stessi si adattino al meglio alle realtà imprenditoriali». In effetti, sul palco del Bozar di Bruxelles (il palazzo delle Belle Arti) hanno pronunciato il loro endorsement al Patto i manager di grandi compagnie. Tra queste anche Nestlè, che non a caso in Italia è da tempo una delle aziende virtuose che fa parte dell'RdS network della Repubblica degli Stagisti, attraverso cui questa testata promuove la qualità delle proposte di tirocinio offerte ai giovani italiani, e che ottiene ogni anno il riconoscimento del Bollino OK Stage. Il Patto europeo per la Gioventù nasce infatti anche sulla scia dell’iniziativa “Alliance for YOUth”, lanciata nel 2014 proprio da Nestlè, e che ha portato a creare 50mila opportunità di lavoro e stage in Europa grazie al contributo di 200 grandi, medie e piccole aziende ubicate in 22 diversi Paesi dell’Unione. A sottoscrivere il Patto, una trentina di leader di grandi compagnie in tutto, sulle 70 che fanno parte di Csr Europe. Ci sono per esempio le italiane Enel, Pirelli e Gruppo Bracco, insieme al network Sodalitas. E non mancano grandi gruppi internazionali come Bridgestone, Microsoft, Samsung, Huawei, Ibm. «Portare i giovani europei nel mondo del lavoro è un nostro interesse vitale come imprese europee, perché loro sono il futuro delle nostre compagnie», ha dichiarato sul palco Jean-Pierre Clamadieu, Ceo di Solvay, altro partner del progetto. Potrebbe venire il sospetto che le imprese, con questa impostazione, finiscano per dire «ora facciamo noi», a un’Europa che ha 5 milioni di giovani disoccupati e ben 7 milioni di Neet, l’esercito di disillusi che non cercano un lavoro e sono fuori da qualsiasi percorso formativo. Ma questo «è solo un passo ulteriore che si aggiunge a molti altri», precisa Noterdaeme, perché «quello che manca è una massa critica di leadership, e noi vogliamo crearla grazie all’impegno congiunto dei leader dell’imprenditoria insieme ai leader europei». A margine delle dichiarazioni ufficiali sul palco di Bruxelles, però, non sono mancate le prime critiche. «Plaudiamo a iniziative come il Patto per la Gioventù, ma il nostro supporto dipenderà da quanto seriamente i giovani e le loro priorità saranno integrate nel Patto», fa notare Johanna Nyman, presidente dello European Youth Forum, network che raduna moltissime associazioni giovanili da tutta l’Ue. Lo Youth Forum lamenta di non essere stato nemmeno interpellato, nonostante la volontà sbandierata dal Patto di coinvolgere protagonisti delle realtà giovanili, oltre a enti e organizzazioni esperte in formazione ed educazione. Il Patto resta comunque solo una cornice, un invito all’azione: le vie per dare vita a queste centomila occasioni formative o professionali, le creeranno le imprese stesse. Lo stesso Csr Europe promette di tirare le somme tra due anni, con il primo European Enterprise-Education Summit in programma alla fine del 2017. Maura Bertanzon @maura07

JPO Programme, contratti da 45mila euro l'anno per under 30 alle Nazioni Unite: candidature fino al 15 dicembre

Torna anche quest’anno il JPO Programme (Italian associate experts and junior professional officers programme), programma di cooperazione multilaterale organizzato dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri in collaborazione con il dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite. Il 15 dicembre 2015 è l’ultimo giorno utile per fare domanda: in palio un contratto di un anno, rinnovabile per un secondo, di circa 48mila dollari annuali (45mila euro) presso organizzazioni internazionali del settore della cooperazione con inquadramento contrattuale pari al livello iniziale della categoria dei funzionari delle Nazioni Unite. Per le organizzazioni che non fanno parte delle Nazioni Unite il livello sarà equivalente a quello di entrata delle figure di staff delle stesse, più o meno pari a quello delle Nazioni Unite. Non è ancora noto al momento il numero di posti disponibili. Lo scorso anno i partecipanti sono stati 18 su 144 candidati che hanno preso parte alle interviste di selezione.Dopo la flessione dello scorso anno rispetto alle edizioni precedenti, non è escluso che per questa ci sia un nuovo aumento delle posizioni disponibili, come ha spiegato alla Repubblica degli Stagisti Gherardo Casini, direttore dell’ufficio romano del dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite.A chi è rivolto il bando? Possono candidarsi giovani di età non superiore a 30 anni (nati dal primo gennaio 1985 in poi), in possesso di laurea specialistica, magistrale o laurea accompagnata da master oppure magistrale a ciclo unico. Fondamentale l’ottima conoscenza della lingua inglese. «Naturalmente ci si aspetta che i candidati abbiano una solida preparazione accademica e una propensione alle tematiche dello sviluppo, degli affari umanitari, o internazionali. Oltre al titolo di studio sono importanti le pregresse esperienze professionali, la predisposizione a lavorare all’estero, la capacità di lavorare in team e, soprattutto, le motivazioni giuste. La conoscenza di altre lingue ufficiali delle Nazioni Unite oltre all’inglese rafforza il curriculum e di conseguenza aumenta le possibilità della candidatura», aggiunge Casini. Il processo di selezione è articolato in più fasi, come sottolinea il direttore dell’ufficio romano del dipartimento: «un primo esame dei curricula viene effettuato dall'ufficio UN/DESA. Successivamente una commissione delle Nazioni Unite procede con l'analisi delle candidature per arrivare a una rosa di candidati pre-selezionati per le diverse posizioni richieste dagli organismi internazionali e approvate dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Generalmente vengono pre-selezionati otto candidati per ogni posizione. La selezione finale prevede un'intervista che viene svolta in modalità remota da parte di rappresentanti degli organismi richiedenti. Il colloquio viene generalmente effettuato in inglese, francese o altra lingua collegata al lavoro». La pre-selezione, come si legge sul sito UN/DESA, avviene tra febbraio e aprile, mentre il periodo che va da maggio a luglio è dedicato alle interviste e settembre è il mese della formazione.L’unica modalità per l’invio della candidatura è online attraverso la pagina dedicata del sito www.undesa.it, come già sperimentato lo scorso anno. Casini consiglia ai candidati di essere molto cauti nell’effettuare la procedura: «un suggerimento da parte nostra è di non pensare di poter portare a termine la candidatura in pochi minuti. È importante che i candidati prendano conoscenza del sistema e delle informazioni richieste per descrivere al meglio il proprio curriculum e completare la lettera di motivazione, allegando il corretto certificato. Dedicare tempo alla candidatura è certamente un buon investimento». Per l’edizione dello scorso anno sono arrivate 2484 candidature iniziali, per un’età media di 27 anni, di cui il 64% proveniente da donne. Tra questi candidati, come detto, 144 hanno preso parte alle interviste.  La componente femminile è stata molto forte anche tra i partecipanti effettivi al Programma: «tra i 18 candidati selezionati la percentuale di donne è arrivata al 72%», aggiunge Casini. Il 31% dei candidati poi era in possesso di un titolo di studio avanzato, master o dottorato, «oltre il minimo richiesto per l’accesso al Programma». Quanto agli ambiti di studio di provenienza dei candidati: «il 40,3% del totale delle candidature era rappresentato da laureati nel settore delle Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, seguiti da laureati in Giurisprudenza (16,1%), Economia, Commercio, Finanza e Amministrazione, per il 15,9%», conclude.

Alternanza scuola lavoro, la grande incognita: le aziende apriranno le porte a mezzo milione di studenti?

L'alternanza scuola-lavoro, uno dei temi più forti e innovativi della riforma della Buona scuola, è al centro di "Job & Orienta", il Salone partito oggi a  Verona che fino a sabato vedrà passare tra gli stand migliaia di giovani ma anche di insegnanti, educatori e policy makers, tutti interessati a focalizzare le novità in materia di didattica e dialogo tra mondo della scuola e mondo dell'impresa. Domani mattina il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini farà il punto della situazione nel corso di un convegno intitolato proprio “La buona alternanza scuola lavoro nella legge 107/2015” cui parteciperanno tra gli altri anche Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere e vicepresidente di Confindustria Education e Marco Gay, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, con la giornalista Maria Latella come moderatrice. Ma che cos'è l'alternanza scuola-lavoro? Si tratta dello strumento attraverso cui si cerca di avvicinare il mondo della scuola a quello del lavoro, facendo fare agli studenti delle esperienze “on the job” di qualche settimana, solitamente a cavallo tra giugno e luglio, in aziende private ma anche in studi professionali, enti pubblici, associazioni non profit. Tecnicamente si tratta di stage di orientamento e formazione, anche se non è purtroppo così chiaro il quadro normativo di riferimento.«L'alternanza scuola lavoro esiste in realtà dal 2005, la introdusse il ministro Moratti, ma come finora l'abbiamo praticata è stata molto interna alla scuola. Negli ultimi anni però si è cambiato passo: la Buona Scuola codifica questo processo» ha spiegato di recente Carmela Palumbo, direttore generale per gli Ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione del ministero dell'Istruzione, a un convegno organizzato da Nestlé per illustrare i progressi del suo progetto “Alliance for Youth”: «È in atto un grande processo di rinnovamento della scuola. Si è tanto parlato di assunzioni del personale, ma ci sono altri importanti azioni che il nostro ministero sta portando avanti, in stretto coordinamento con quello del Lavoro, per ridurre il disallineamento tra i sistemi formativi e le competenze richieste dal mercato del lavoro e risolvere il problema della disoccupazione giovanile».Il cambiamento più significativo è che se prima questi “mini-stage” erano una possibilità, adesso diventano un obbligo. Fino all'anno scorso erano i singoli dirigenti scolastici a decidere se attivarsi per realizzare a favore dei propri alunni queste “esperienze on the job”: se non lo facevano – e la stragrande maggioranza delle scuole italiane, infatti, non lo faceva – nessuno diceva nulla. Per questo motivo il numero di studenti delle scuole superiori coinvolti in progetti di alternanza è sempre stato bassissimo, e praticamente confinato agli istituti tecnici. «Ora invece l'alternanza è un diritto-dovere per tutti gli studenti delle terze, quarte e quinte classi delle scuole superiori, non solo studenti delle scuole tecniche e professionali ma anche dei licei» ribadisce Palumbo: «400 o 200 ore all'anno da fare in azienda, in una realtà lavorativa, tutti i luoghi dove si lavora. La grande novità che si è sviluppata negli ultimi anni è che finalmente si esce dall'idea che i nostri studenti debbano prima studiare a scuola e poi lavorare, in una scissione anche temporale». Una rivoluzione culturale che si ispira a “best practice” già praticate da decenni all'estero, «a cominciare dai Paesi che hanno risolto il problema della disoccupazione giovanile, come per esempio la Germania e la Svizzera». L'obiettivo che il governo Renzi si prefigge è quello di «uscire dal paradigma “prima studio, poi lavoro” ed entrare in una logica in cui accanto allo studio delle competenze di base, come l'italiano e la matematica, durante il percorso scolastico si possano e debbano costruire anche competenze spendibili nel mondo del lavoro».Rispetto all'attuazione delle nuove disposizioni in materia di alternanza scuola-lavoro, però, c'è un ostacolo da superare: il numero degli studenti delle scuole superiori è infatti enorme. Passare da poche decine di migliaia di “mini-stage” all'anno (secondo il report Indire - Miur per esempio, per l’anno scolastico 2012/13, solamente 45.365 percorsi di alternanza scuola-lavoro erano stati svolti all'interno di imprese) a oltre un milione (solo i 16enni, oggi in Italia, sono 572mila) è un triplo salto carpiato che necessita di uno sforzo titanico sia per le scuole, chiamate ad attivarsi a livello organizzativo, sia per il tessuto produttivo, perché per ciascuno di questi giovani ci deve essere un'azienda che apre le porte. «Dal punto di vista pratico la nuova legge, per permettere questo salto di qualità, prevede una attuazione graduale» puntualizza Palumbo: «Quest'anno concentriamo la nostra attenzione sulle terze classi della scuola superiore». Il segmento conta, secondo i dati forniti dalla dirigente del ministero, un po' meno di mezzo milione di allievi. Vorrebbe comunque dire di fatto raddoppiare, da un anno all'altro, il numero degli stage attivati (oggi intorno ai 500mila all'anno): e sopratutto vorrebbe dire raddoppiare il numero di “soggetti ospitanti” (così si chiamano, in gergo tecnico, le realtà – aziende private, enti pubblici, associazioni non profit, studi professionali – disponibili appunto a ospitare i ragazzi in stage). Pensare di riuscire a raggiungere questo obiettivo in pochi mesi è velleitario, anche considerando la scarsa adesione che le aziende hanno dato a iniziative simili come per esempio Garanzia Giovani, che pur era fortemente incentivata anche dal punto di vista economico. Del resto già qualche mese fa Chiara Manfredda aveva chiarito la posizione di Assolombarda, l'associazione che riunisce le imprese industriali e del terziario che operano nelle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza: «Nell'ambito delle nostre imprese ospitiamo ogni anno 4mila ragazzi in alternanza, sono numeri importanti», ma infinitesimali di fronte all'esercito di giovani che da quest'anno dovrebbe essere coinvolto nella alternanza obbligatoria. Manfredda, che in Assolombarda è responsabile del capitale umano, aveva anticipato che «numericamente e quantitativamente» Assolombarda non prevedeva di riuscire ad attuare, almeno per il primo anno dell'entrata in vigore della riforma della Buona Scuola, tutti i tirocini previsti: e se non ce la farà la Lombardia, cioè la regione italiana a più alto tasso imprenditoriale, figuriamoci le altre. Allora che si fa? «Stiamo sviluppando il discorso della didattica laboratoriale, senza spostare necessariamente i ragazzi nelle aziende» aveva spiegato Manfredda: sostituendo cioè i tirocini in azienda con dei laboratori all'interno delle scuole.Una scelta al ribasso? Secondo Carmela Palumbo no: «È l'impresa formativa simulata, una forma che è prevista dalla stessa legge 107, e non è figlia di un dio minore. L'alternanza si sviluppa su tre anni e dunque per il primo anno può consistere in una attività di orientamento. Quando si dice che tutti gli studenti, compresi i disabili, debbono fare questa esperienza, si dice qualcosa di molto importante, che porta a numeri enormi. L'obiettivo è molto ambizioso». In concreto la dirigente del ministero spiega che per far fronte a questi numeri, tolti i giovani che troveranno posto per fare la loro alternanza nelle imprese, ci si affiderà alla “Piattaforma SimuCenter”, che è «gestita dall'Indire e che eroga anche pacchetti per l'impresa simulata». Attraverso questo sistema «si può riuscire molto bene a similare l'esperienza in azienda», assicura la Palumbo, rivolgendo però contestualmente un appello al mondo delle imprese: «Anche le associazioni datoriali devono fare uno scatto culturale. Noi stiamo lavorando con Unioncamere per costruire una sezione del registro delle imprese in cui inserire le aziende che si offrono di ospitare ragazzi in alternanza, indicando anche in quali periodo».Lavorare su un più stretto legame tra aziende e scuole è certamente un primo passo. Ma non bisogna nemmeno sottovalutare il fatto che mandare uno studente di scuola superiore, minorenne, a fare uno stage non è purtroppo così facile, tra leggi da rispettare e passaggi burocratici da espletare. Per esempio, ogni studente prima del suo periodo di alternanza dovrebbe seguire un breve corso di formazione sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. «Questi corsi sono a carico dell'azienda», con il rischio che doversi sobbarcare questa incombenza scoraggi già in partenza le aziende a dare la propria disponibilità ad ospitare i ragazzi: «La legge dice che le scuole potranno farsi carico dell'organizzazione di questi corsi, così come tutte le spese che attengono agli aspetti formativi dell'alternanza».Il punto fondamentale, che la dirigente del ministero dell'Istruzione sottolinea con entusiasmo, è che sulla questione dell'alternanza scuola lavoro la riforma non ha solo scritto belle parole, ma ha anche previsto un finanziamento adeguato: «La Buona Scuola mette a disposizione, a regime a partire dal primo gennaio 2016, uno stanziamento dedicato e fisso per l'alternanza scuola lavoro. Finora abbiamo goduto di un finanziamento incerto e instabile: abbiamo avuto negli anni ministri più sensibili a questo tema, e in quei casi abbiamo ricevuto fino a 32 milioni di euro, e anni in cui siamo scesi a 11 milioni di euro». Con risorse così ballerine, difficile realizzare progetti di ampio respiro: «Questa incertezza di quadro normativo non ci ha permesso di radicare la alternanza scuola lavoro su tutte le scuole» conferma infatti Palumbo, e per questo «ci siamo dovuti concentrare sulle scuole professionali. Ora a regime abbiamo un capitolo in bilancio che ci dà 100 milioni di euro all'anno: questo cambia completamente i nostri orizzonti». Un finanziamento ingente e sopratutto sicuro dovrebbe cioè permettere al ministero di far finalmente decollare lo strumento dell'alternanza scuola-lavoro e di coinvolgere centinaia di migliaia di ragazzi che finora sono rimasti esclusi: «Abbiamo diramato una guida operativa per le scuole, un vero e proprio manuale, perché alcune già sanno come attuare questi percorsi, ma altre ovviamente no. Vogliamo accompagnare quelle scuole che non hanno mai fatto alternanza a fare percorsi di coprogettazione della formazione». Carmela Palumbo è entusiasta della prospettiva che si sta aprendo: «Incardiniamo l'alternanza scuola lavoro stabilmente nel curriculum degli studenti». L'auspicio è che questo possa rendere i cv di questi ragazzi più forti, un domani, quando affronteranno il mare aperto del mondo del lavoro.Eleonora Voltolina

Legge Controesodo, girandola di emendamenti: l'Italia manterrà la parola sugli incentivi o tradirà gli expat rientrati?

Ci sono circa 10mila laureati italiani che, negli ultimi 4 anni, sono rientrati in Italia dall'estero e che adesso rischiamo di perdere di nuovo. Di far ripartire ancor più arrabbiati di quando erano partiti la prima volta: traditi da uno Stato che ha fatto loro una promessa, per convincerli a tornare, e che adesso vorrebbe rimangiarsela.I 10mila di cui parliamo sono tornati grazie a una legge che si chiama Controesodo, la n° 238 del 2010, e che prevede dei benefici fiscali per chi sceglie di rientrare in Italia. Questo perché uno dei problemi maggiori di competitività del mercato del lavoro italiano, specialmente per quanto riguarda i giovani, sta proprio nelle retribuzioni: lo stesso trentenne, con lo stesso curriculum e le stesse capacità professionali, in Italia guadagna purtroppo molto meno che nel resto del mondo. Non si tratta di ipotesi, ma di realtà tangibili, confermate da studi e ricerche. Per colmare dunque questo gap, nel 2010 alcuni parlamentari - capitanati da Guglielmo Vaccaro e Alessia Mosca - riuscirono a far approvare una legge bipartisan, garantendo un vantaggio economico a quegli expat che avessero deciso di scommettere sull'Italia, riportando qui cervello e competenze. Una legge facile e vantaggiosa, che diceva in sostanza: sei una laureata under 35 che da almeno 2 anni risiede stabilmente fuori dall'Italia? Se torni, per alcuni anni pagherai solamente il 20% delle tasse che dovresti pagare sui tuoi guadagni, con un abbattimento del restante 80%. Idem per gli uomini, con un abbattimento leggermente minore, pari al 70%. Condizioni ovviamente allettanti: da allora ad oggi, migliaia di giovani - 6mila tra il 2010 e il 2012, poi con un ritmo di circa 1.500 "singoli rientrati" all'anno, con un impatto in termini di "famiglie" ancor più importante - hanno usufruito di questa legge, che nel frattempo è stata a rischio cancellazione, e poi invece prorogata proprio a gennaio del 2015 fino a tutto il 2017.Ora però è successo un pasticcio enorme. Perché con un decreto legislativo del settembre 2015, “Disposizioni recanti misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese”, all'articolo 16 è stato predisposto un nuovo “regime speciale per lavoratori rimpatriati”. Per accedere a questo nuovo "scudo fiscale" cambiano i requisiti (almeno cinque anni all'estero anziché due, attività o studi di particolare rilevanza, ma niente più limiti di età): la misura è meno vantaggiosa nell'immediato (abbattimento solamente del 30% per tutti, e non più dell'80% per le donne e del 70% per gli uomini) ma ha una durata stabile e predefinita di cinque anni dal rientro anziché una data di scadenza. Il punto è che questo decreto legislativo confligge in maniera clamorosa con la legge Controesodo. E allora il decreto legislativo, semplicemente, ha abrogato la proroga approvata a gennaio. Cancellando di fatto Controesodo.Eppure questa legge non genera maggiori oneri per lo Stato. A confermarlo è la Ragioneria dello Stato: «In sede di valutazione della norma […] non sono stati ascritti effetti sul gettito, in considerazione della tendenza annuale di rientri dei soggetti numericamente esigua (ove non nulla). In particolare, gli effetti positivi sul gettito determinati dalla tassazione (ancorché agevolata) dei redditi dei soggetti che decidono il rientro in Italia in conseguenza della norma, appaiono più che adeguati a coprire gli eventuali modesti effetti negativi». Confermando in maniera chiara «la neutralità finanziaria della disposizione». Insomma, questi incentivi alla fine allo Stato non costano nulla.E allora perché cancellarli? Un "ex expat controesodato", Francesco Rossi, ha lanciato una petizione online su Firmiamo.it, raccogliendo finora 900 firme, con l'obiettivo di sensibilizzare le istituzioni e allertare tutti i controesodati rispetto quanto successo, dato che «la vicenda dell'abrogazione della 238 è stata caratterizzata da poca visibilità mediatica e da messaggi contraddittori da parte delle istituzioni: continuiamo ad entrare in contatto con persone che scoprono oggi quanto successo con stupore e preoccupazione». Rossi, 37 anni, laureato in Economia alla Bocconi con passione per i mercati finanziari, ha passato 8 anni a Dublino come manager nella società di gestione del risparmio del gruppo Unicredit: «Già allora non c'era confronto fra condizioni lavorative estere ed italiane, fra stipendio, tassazione, welfare, ambiente di lavoro stimolante internazionale, giovane e aperto». É rientrato in Italia nel 2010 insieme a sua moglie, anche lei italiana ex expat: «Il prezzo da pagare é stato uno stipendio più basso del 30% per me, e per entrambi rinunciare a qualsiasi prospettiva di carriera interna». Adesso fanno base a Milano, hanno avuto due figli, ma l'insoddisfazione è forte: «In questi anni varie volte ci siamo guardati indietro e abbiamo pensato di ritrasferirci fuori, sia per noi che per i figli». Non che manchi il lavoro, ma c'è l'amarezza di sentirsi traditi: «Sulla proroga della legge Controesodo onestamente abbiamo fatto affidamento anche per comprarci casa. I benefici fiscali non sono mai l'unico fattore in queste decisioni di vita, anzi altre variabili pesano di più, ma possono far pendere l'ago della bilancia, magari a favore di un paese che i lavoratori dipendenti giovani e ad elevata professionalità penalizza su tanti altri fronti». Un Paese come l'Italia, insomma.Il fronte degli "ex expat" sta cercando sponde in Parlamento per sanare il pasticcio. «Sono stati presentati vari emendamenti al Senato, dove è cominciato l'iter del ddl stabilità, per intervenire sul problema» riassume Rossi: «Noi siamo stati in contatto con il deputato Alessandro Pagano, che come capogruppo di Area popolare in commissione Finanze alla Camera si è fatto promotore di un emendamento che va nella direzione auspicabile di sanare gli effetti distorsivi dell'abrogazione per le persone già rientrate in Italia ripristinando per loro il regime delle agevolazioni della legge 238; e inoltre, guardando al futuro, va a estendere gli incentivi previsti dalla nuova legge alle categorie di soggetti individuati dalla legge 238, con agevolazioni rafforzate per i giovani, facendo sì che la legge Controesodo continui a vivere accanto al nuovo regime».Parallelamente gli ex expat hanno anche contattato il ministero dell'Economia, che si sarebbe impegnato «a intervenire all'interno della legge di stabilità», e il governo, «che si è mostrato ricettivo e sembra aver individuato una soluzione tecnica, da mettere in pratica tramite un emendamento, che andrebbe comunque a sanare in modo soddisfacente la situazione evitando di penalizzare i soggetti rientrati in Italia fino al 31.12.15, permettendo loro di accedere ai benefici della 238 come prorogati a gennaio 2015». Il governo starebbe aspettando però che l'iter degli emendamenti in commissione sia terminato per andare a presentare il proprio: «Sia questa soluzione sia quella Pagano sono a nostro avviso buone soluzioni, ma al momento siamo preoccupati in quanto constatiamo che ci sono altri emendamenti contrari e rimaniamo quindi nell'incertezza fino all'ultimo». Gli emendamenti presentati effettivamente sono diversi, alcuni «di senso anche opposto e discordante». Quello che preoccupa di più i controesodati è stato presentato ieri in Senato dalle relatrici al disegno di legge di stabilità, Magda Zanoni (Pd) e Federica Chiavaroli (Ap): nella sua formulazione vorrebbe salvaguardare solamente gli expat rientrati in Italia tra il 1° marzo e il 6 ottobre 2015. Quando invece la logica vorrebbe che tutte le persone già rientrate in Italia potessero continuare a beneficiare fino a fine 2017 delle le vecchie regole: pacta sunt servanda.C'è anche chi dice che Controesodo affrontasse il problema della fuga dei giovani dall'Italia con l'approccio sbagliato. Che non si dovrebbe favorire il rientro di chi è andato all'estero con benefici fiscali, perché non è a fronte della garanzia che si pagheranno meno tasse che i giovani dovrebbero aver voglia di tornare. Rossi risponde pacatamente a queste critiche indirette: «È una considerazione corretta: soltanto i benefici fiscali non sono sufficienti a fare recuperare al Paese competitività e attrattività per il capitale umano. È evidente che si devono creare opportunità occupazionali con una serie di misure su più fronti. La legge 238 è stata però un punto di partenza; non dobbiamo dimenticare che le figure professionali che queste misure cercano di attrarre sono figure per cui il mercato del lavoro di riferimento è almeno di dimensione europea, sono cioè individui ad elevata mobilità; diversi altri paesi europei prevedono incentivi simili per chi si trasferisce dall'estero». Rilevando mestamente che una delle carenze più importanti del sistema italiano, al di là all'aspetto economico, in questa vicenda viene drammaticamente alla luce: «Un altro aspetto fondamentale per attrarre capitale, umano e fisico, e investimenti, è certamente la certezza del diritto. E quanto successo con gli incentivi della 238, prorogati a gennaio e abrogati a ottobre, non è certamente un esempio edificante».Insomma il rischio legato a questa vicenda è quello che gli expat guardino ancora una volta all'Italia con scetticismo, e che non si fidino più di programmi di incentivo del rientro: «Se la situazione non viene corretta, la percezione sarà negativa riguardo all'affidabilità di ogni regime agevolativo futuro: oggi c'è, domani chissà. La percezione sarà di un approccio "estemporaneo" e non strutturale a questo tema, che guarda alla visibilità mediatica di una stagione più che all'impatto strutturale nel tempo».«Molti “controesodati” rischiano di trovarsi a metà del guado, con un contratto di lavoro all’estero lasciato alle spalle e di fronte un Paese che conferma tutte le sue contraddizioni e incertezze del quadro legislativo» conferma Alessandro Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano e presidente dell'associazione Italents: «Come pensiamo di attrarre investimenti o talenti stranieri se trattiamo così i giovani laureati italiani disposti a riportare il proprio talento nel paese di origine? Nella parabola del figliol prodigo il padre decide di offrire il vitello grasso al figlio tornato. Un figlio che non si era certo distinto positivamente nel suo soggiorno altrove e che torna come ripiego, non come talento di successo. L’Italia invece ha molti veri talenti, che hanno lasciato un percorso professionale di valore, rischia di offrire solo una presa in giro. Prima la promessa di un incentivo a tornare e poi, una volta lasciato il lavoro e progettato il rientro, lo scontro duro con una politica inaffidabile. Se volevamo alimentare e consolidare nei giovani espatriati un senso di sfiducia verso il paese lasciato, questa è la strada giusta».Se la situazione degli incentivi non verrà risolta è probabile che i controesodati scelgano di abbandonare nuovamente l'Italia: «Senza i benefici fiscali, la bilancia penderà sempre più verso l'estero» ammette Rossi.«Quella norma per me era un riconoscimento. Era come sentirmi dire "Lo sappiamo cosa hai passato, ma sei stata in gamba. Noi te lo riconosciamo e siamo davvero felici che tu sia di nuovo a casa"» gli fa eco Stefania Pizzuto, 32 anni, rientrata da Londra pochi mesi fa: «Sono riuscita quest'anno finalmente ad ottenere grazie alla mia società un posto nella filiale italiana, "certo" - mi sono detta - "andrò a guadagnare di meno, ma grazie alla normativa sugli incentivi fiscali sento comunque di avere capitalizzato quello che ho fatto in questi anni". Il mio commercialista mi aveva confermato che ero in possesso di tutti i requisiti per ottenere quei benefici di cui parlava la normativa - che felicità». E invece, se la spuntasse l'emendamento Zanoni-Chiavaroli, lei per pochi giorni verrebbe esclusa dagli incentivi: «Oggi sono arrabbiata. E riconosco a tratti la stessa identica sensazione per cui, pur se combattuta, sono andata via quattro anni fa. Sapere che in fondo poco è cambiato è incredibilmente frustrante».Ma Guglielmo Vaccaro, uno dei promotori della legge Controesodo, promette ancora una volta il suo impegno: «Non ho parole per il pasticcio. Nel passaggio alla Camera presenterò un emendamento che ripristini la norma per tutti. Suggerisco intanto a tutti i rientrati e i "rientrandi" di far arrivare la loro voce di protesta a tutti i parlamentari: magari riusciremo a fare giustizia».Eleonora Voltolina

GaranziaHack, in palio 10mila euro per inventare un'app dedicata a Garanzia Giovani

Un hackathon per sviluppare un'applicazione che permetta di rendere più efficaci i servizi legati a Garanzia Giovani. Scadono mercoledì 25 novembre i termini per iscriversi all'iniziativa promossa dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali rivolta a giovani tra i 15 e i 29 anni. In palio 10mila euro per realizzare il progetto vincitore.Si chiama “GaranziaHack: partecipa, sviluppa, vinci!” il concorso lanciato dal governo per rendere più efficace l'azione del programma Garanzia Giovani attraverso l'utilizzo delle banche dati messe a disposizione dal dicastero guidato da Giuliano Poletti. Obiettivo: utilizzare la tecnologia per semplificare l'accesso ai database legati alla misura finanziata dalla Comunità europea e volta a favorire l'occupazione giovanile. Si tratta, ad esempio, di permettere di conoscere sia i curriculum sia le offerte di tirocinio pubblicate dalle aziende. Ma anche di geolocalizzarle su una mappa, piuttosto che di profilare i candidati in modo tale che questi ultimi possano ricevere una notifica push che segnali l'apertura di posizioni lavorative affini alle loro competenze ed esperienze. Oppure creare un percorso di gamification che porti gli utenti ad individuare le offerte di tirocinio più consone alle loro caratteristiche. Ma questi sono solo gli spunti contenuti nel bando di concorso: non c'è alcun limite posto a coloro che vogliano candidarsi.Possono partecipare i giovani di età compresa tra 15 ed i 29 anni che abbiano aderito al programmaGaranzia Giovani e siano stati presi in carico dai centri per l'impiego alla data di presentazione della candidatura. Possibile anche prendere parte all'iniziativa in team formati da un minimo di due e da un massimo di cinque persone. In questo caso sarà necessario indicare un coordinatore al quale verranno inviate le informazioni operative e logistiche. Le domande di iscrizione si presentano on line sul sito Garanziahack.it entro le 13 del 25 novembre prossimo.Gli iscritti saranno quindi coinvolti in un hackathon, una maratona di programmazione che si svolgerà venerdì 4 dicembre in 50 sedi sparse su tutto il territorio nazionale. Il bando è aperto anche alle strutture che volessero candidarsi per ospitare l'evento: una possibilità offerta a università, consorzi universitari, laboratori di ricerca accademici ed aziendali. Anche se una corsia preferenziale sarà riservata agli incubatori di impresa certificati. Le modalità e i termini di presentazione della candidatura sono identiche a quelle per i giovani che vorranno sviluppare un'applicazione. Al termine di questa giornata di programmazione verrà individuato il vincitore, che avrà 45 giorni di tempo per consegnare l'applicazione funzionante. Solo allora riceverà i 10mila euro messi in palio. «Da oggi gli iscritti al programma Garanzia Giovani avranno la possibilità di mettersi in gioco e sviluppare le proprie competenze in materia di applicazioni e tecnologie digitali, al fine di incrementare le proprie opportunità occupazionali» è il commento che il ministro Poletti ha affidato ad una nota: «l'era digitale è caratterizzata da una generazione giovane, nata con le nuove tecnologie, alla quale intendiamo offrire l'occasione di mettere in pratica le attitudini personali».L'iniziativa è interessante, anche se presta il fianco a una critica. Se Garanzia Giovani è stata creata per aiutare i Neet a trovare una collocazione nel mercato del lavoro, cioè per sostenere quelli con curriculum più deboli, si può ragionevolmente intuire che tra i quasi 900mila iscritti vi siano ben pochi programmatori, sviluppatori e grafici web - coloro che tradizionalmente sono coinvolti negli hackaton. Queste professionalità infatti sono molto richieste sul mercato del lavoro, e dunque è improbabile che giovani capaci di programmare una app siano a spasso e abbiano deciso di iscriversi a Garanzia Giovani.D'altra parte però, potrebbe anche verificarsi un circolo virtuoso: e cioè che qualche giovane iscritto al programma abbia usufruito dell'opzione dei corsi di formazione e abbia così sviluppato negli ultimi mesi delle competenze informatiche che prima non possedeva. Se così fosse, l'hackaton promosso dal ministero del Lavoro sarebbe certamente un buon modo per valorizzare la crescita professionale realizzata grazie a Garanzia Giovani.Da quando è stato lanciato, nel maggio dello scorso anno, il programma finanziato dalla Comunità europea ha preso in carico più di mezzo milione di giovani, su un totale di 861mila iscritti alla piattaforma, che diventano poi poco più di 750mila se si eliminano quelli che si sono cancellati. Un dato da considerare con attenzione è che, dei giovani registrati, 250mila vengono da due sole regioni: quasi 160mila dalla Sicilia e 96mila dalla Campania (rispettivamente 143mila e 72mila, al netto delle cancellazioni). Andando poi a spulciare l'ultimo report pubblicato dal ministero del Lavoro pochi giorni fa si scopre che sono 222mila quelli che sono stati avviati ad almeno una delle misure previste. Ovvero l'offerta di un ulteriore periodo di formazione, l'accompagnamento al lavoro, un contratto di apprendistato, un'opportunità di tirocinio, un percorso di servizio civile, il sostegno all’autoimprenditorialità o una proposta di mobilità professionale all’interno del territorio nazionale o in Paesi Ue. Molto bene sta andando un'altra iniziativa legata a Garanzia Giovani, lanciata dal governo in collaborazione con Google ed Unioncamere: la piattaforma Crescereindigitale.it, che permette di approfondire le proprie competenze digitali attraverso un corso on line della durata di 50 ore. A sei settimane dal lancio sono addirittura più di 34mila i giovani iscritti. Una volta terminato questo percorso di formazione, è possibile che venga loro offerto un percorso di tirocinio all'interno di un azienda: al momento sono 1.493 quelle che si sono dette interesserate, mettendo a disposizione 2.222 percorsi di stage. Ma chissà che qualcuno degli iscritti a questo corso non decida prima di mettere a frutto quanto imparato partecipando a GaranziaHack.Riccardo Saporiti Photo credit1: Flickr Licenza CC BY-SA 2.0Photo credit2: Flickr Licenza CC BY-NC-ND 2.0

Giornata internazionale degli stagisti, nel "day after" parte l'appello ai ministri: «Stop agli stage gratuiti e normativa comune»

Il giorno dopo la prima Giornata internazionale degli stagisti, balzata in cima alle tendenze dei social network con l'hashtag #internsday, è già tempo di proposte. Eleonora Voltolina, direttore della Repubblica degli Stagisti - che è stata promotrice dell'evento italiano della giornata a Trento - rilancia il tema con due appelli ai due ministri italiani che sono competenti in materia di tirocinio. Ospite questa mattina di Sky Tg 24, Eleonora Voltolina ricorda per prima cosa al ministro Stefania Giannini, titolare del ministero dell'Istruzione Università e ricerca, che in questo momento e ormai già da tre anni di fatto i tirocini curriculari si trovano in un paradossale vuoto relativo: «È un caso di vacatio legis. Dopo i cambiamenti normativi avvenuti a cavallo tra il 2012 e 2013, che hanno di fatto “mandato in pensione” il vecchio decreto ministeriale del 1998 che regolamentava tutti gli stage senza fare distinzione tra extracurriculari e curriculari, questi ultimi sono finiti in un limbo. Si tratta di quelli che vengono effettuati durante il percorso di studio, perlopiù da studenti universitari. In questo caso la competenza è statale, dunque starebbe al ministero dell'Istruzione il compito di regolamentarli, attraverso per esempio un nuovo decreto ministeriale. Con la Repubblica degli Stagisti avevamo già rivolto a Maria Chiara Carrozza, che aveva rivestito l'incarico di Ministro dell'istruzione nel governo Letta, l'appello che oggi rinnoviamo all'indirizzo di Stefania Giannini: non è accettabile che questi tirocini restino sprovvisti di normativa. Anche perché, secondo le nostre stime, si tratta di circa 250mila stage all'anno. Il nostro auspicio è che nella prossima Giornata internazionale degli stagisti, nel 2016, si possa annunciare che questo vuoto normativo è stato finalmente colmato. Anche i tirocinanti curriculari devono essere inseriti in un chiaro quadro di diritti e doveri, scongiurando la possibilità - purtroppo sempre concreta - che il vuoto normativo crei delle sacche di abuso».Coerentemente con uno dei messaggi principali della Giornata internazionale degli stagisti, e cioè la lotta senza quartiere agli stage gratuiti (al grido di “unpaid is unfair”), l'auspicio di Eleonora Voltolina è che anche per i tirocini curriculari venga introdotto, così come già accade oggi in Italia per quelli extracurriculari, l'obbligo di un rimborso minimo: «Noi suggeriamo al ministro Giannini che andrebbe definito un compenso mensile minimo, sull'ordine dei 200-250 euro al mese, da corrispondere obbligatoriamente a tutti coloro che fanno uno stage curriculare di durata superiore alle quattro settimane. Questo certamente comporterebbe una netto miglioramento delle condizioni di stage e anche di vita delle decine di migliaia di studenti, universitari e non, che ogni anno svolgono questo tipo di formazione on the job».Il secondo appello della Repubblica degli Stagisti è invece rivolto al ministro del Lavoro Giuliano Poletti, e in generale all'intero governo Renzi. Il punto qui è la semplificazione: «Sembra incredibile a dirsi, ma oggi in Italia esistono ben 21 leggi diverse in materia di tirocini extracurriculari. Eh sì, perché essendo la formazione professionale una materia di competenza esclusiva regionale, ci troviamo nel bel mezzo di un cortocircuito normativo per il quale uno stagista deve sottostare a regole diverse a  seconda della regione dove svolge il suo tirocinio. A noi tutto questo sembra folle e bizantino: la riforma del Titolo V della Costituzione, in agenda proprio nei prossimi mesi, sia una straordinaria occasione per rimettere le cose a posto. Il nostro suggerimento è che lo Stato recuperi almeno una parte della competenza e che, similmente a ciò che già accade per l'istituto dell'apprendistato, Stato e regioni siano competenti insieme sulla materia dello stage. In questo modo lo Stato potrebbe produrre una legge quadro in materia, per garantire a tutti gli stagisti su tutto il territorio nazionale una piattaforma comune di diritti, che poi le regioni potrebbero naturalmente integrare tenendo conto delle caratteristiche specifiche del proprio sistema produttivo, delle condizioni economiche e del mercato del lavoro. Avere 21 normative diverse in materia di stage è fonte di grande confusione» conclude Eleonora Voltolina: «Anche qui il rischio di abuso è dietro l'angolo».La Giornata internazionale degli stagisti ha quindi avuto anche in Italia il merito di rimettere sotto i riflettori il tema dell'occupazione giovanile e soprattutto della transizione dalla formazione al lavoro.

10 novembre, prima Giornata internazionale degli stagisti: a Trento l'evento italiano con la Repubblica degli Stagisti

Stagisti di tutto il mondo unitevi. Era con questa frase ad effetto - ricalcata sul più famoso motto comunista in cui a doversi unire per una battaglia comune erano i proletari - che tanti anni fa cominciava in Italia l'avventura della Repubblica degli Stagisti, uno spazio online dedicato ai giovani nel momento molto delicato della transizione della formazione al lavoro. Martedì 10 novembre questa frase si traduce in realtà con la prima International Interns' Day, la Giornata internazionale degli stagisti, ideata dall'associazione InternsGoPro e dallo European Youth Forum e promossa da alcune realtà, tra cui la Repubblica degli Stagisti in Italia, che sono nate nel corso degli anni in tanti paesi europei ma anche in Stati Uniti e in Australia proprio per tutelare e difendere la categoria dei tirocinanti - generalmente ignorata, sottovalutata dalla quasi totalità del mondo politico e sindacale. Tutto il mondo è paese, insomma e i problemi che già da anni riscontrano gli stagisti italiani sono più o meno gli stessi, mutatis mutandis, che incontrano i loro colleghi francesi, inglesi, belgi, americani… La Giornata internazionale degli stagisti vedrà quindi la realizzazione di eventi in città lontanissime ma con un intento comune: portare all'attenzione pubblica l'ingiustizia degli stage gratuiti - balzata all'attenzione mediatica, quest'estate, anche per il caso dello "stagista in tenda" che ha denunciato pubblicamente l'insostenibilità dei tirocini gratuiti dell'Onu - e proseguire la battaglia affinché venga riconosciuto prima di tutto un giusto compenso a tutti coloro che svolgono un'attività di formazione on the job. A Bruxelles ci sarà la manifestazione principale: la capitale belga, che è anche sede principale del Parlamento europeo, è diventata negli ultimi anni un hub per i movimenti a difesa degli stagisti, anche per la capacità di coordinare le varie realtà sul territorio europeo per formulare delle azioni comuni. Alcuni eurodeputati hanno già dato il loro endorsement all'iniziativa: tra questi anche Brando Benifei, trentenne del Partito democratico che fa parte della Commissione Lavoro, secondo cui il tema della disoccupazione giovanile e delle condizioni dei giovani nel mercato del lavoro è sempre più centrale: «Dobbiamo assicurarci che questi temi vengano posti al centro dell'agenda politica dell'Unione europea, non solo adesso ma per i prossimi cinque anni».Per l'Italia il testimone dell'International Interns' Day è affidato naturalmente alla Repubblica degli Stagisti, che di tutte queste realtà a livello internazionale è, insieme a Génération Précaire, decisamente la più antica e longeva, e anche quella che hai ispirato molte delle attività di altre associazioni in giro per il mondo.L'evento italiano avverrà a Trento dove Eleonora Voltolina, la giornalista che ha fondato e dirige la Repubblica degli Stagisti, è stata invitata a partecipare a una manifestazione organizzata dalla provincia autonoma di Trento intitolata "In partenza per l'Europa". Un appuntamento, ormai giunto alla sua sesta edizione, che ha l'obiettivo di informare tutti giovani, specialmente quelli che stanno facendo le scuole superiori e sono iscritti all'università, rispetto alle possibilità che l'Unione Europea mette in campo per la formazione e anche per svolgere una esperienza all'estero, sempre più preziosa per arricchire il proprio curriculum nell'ottica di essere cittadini europei.A Trento dunque Eleonora Voltolina interverrà nella tavola rotonda della mattina, alle 11:30, presentando e lanciando la Giornata internazionale degli stagisti; poi la Repubblica degli stagisti sarà presente per tutta la giornata con un suo stand per rispondere alle domande dei ragazzi fornire informazioni e anche raccogliere storie e proposte. In particolare alle 15 lo stand si trasformerà infine nel teatro di un flash mob che avrà come protagoniste le scarpe, diventate uno dei simboli di questa Giornata. Con l'hashtag #‎UNPAIDisUNSEEN si vuole veicolare un messaggio chiave: e cioè che se vengono lasciati senza compenso, i tirocinanti diventano invisibili, e di loro restano solamente le scarpe. Le foto sono un progetto della giovane Teuta Turani, che sta svolgendo uno stage all'Onu senza percepire alcun compenso.L'evento italiano su Facebook: → a questa paginaDove? a Trento, nell'ambito dell'evento "In partenza per l'Europa" promosso dalla Provincia autonoma di Trento attraverso l'ufficio Servizio Europa (Europe Direct Trentino), in piazza Dante 15 presso la sede della Regione Trentino-Alto Adige.Vivi a Trento? Partecipa al nostro flash mob! Conosci qualcuno che vive a Trento? Invitalo all'evento tramite FB o condividendo questo articolo sui tuoi social network!I sostenitori dell'evento:Pay Your Interns Initiative - Geneva, SwitzerlandGénération Précaire - Paris, FranceStagiares Sans Frontières - Paris, FranceInterns Australia - Melbourne, AustraliaRepubblica Degli Stagisti - Milan, ItalyBrussels Interns NGO - Brussels, BelgiumAgora Jeunes en Europe - Paris, FranceGanhem Vergonha - Porto, PortugalCanadian Intern Association - CanadaGeneva Interns Association - Geneva, SwitzerlandInternational Young Professionals Foundation - Canberra, AustraliaFair Internship Initiative - New York, USAJunior Chamber International - Brussels, BelgiumIntern Labor Rights - Washington D.C., USAMake Sense - Paris, FranceProject 668 - Brussels, BelgiumUniplaces - London, UKThink Young - Brussels, BelgiumDrop’pin@EURES - Brussels, BelgiumBelieve and Achieve Programme - Brussels, BelgiumL'evento internazionale su Facebook: → a questa pagina

Il servizio volontario europeo, un'esperienza che cambia la vita: i giovani volontari a raccolta a Messina

Per i giovani che hanno voglia di fare una esperienza all'estero, usufruendo dei programmi di mobilità dell'Unione europea, una delle opzioni è lo SVE: il servizio volontario europeo. Si tratta di un periodo di volontariato in un Paese straniero, di durata variabile da 2 settimane a 12 mesi; non prevede per il volontario una retribuzione, ma tutte le spese - viaggio, vitto, alloggio - sono coperte (attraverso il finanziamento ricevuto dal Programma Erasmus+) e in più si mette nel proprio bagaglio un'esperienza utile sotto tanti punti di vista. Innanzitutto si impara una lingua; si acquisiscono poi competenze di tipo professionale e anche relazionale, dato che quasi tutti i percorsi di volontariato SVE prevedono l'interazione con gruppi di persone svantaggiate (bambini negli orfanotrofi, disabili fisici e mentali, ragazzi disagiati…). Senza contare che il fatto di trasferirsi - anche se solo temporaneamente - in un altro Paese è di per sé una esperienza che arricchisce.Oltre alla preparazione pre-partenza, alla formazione all’arrivo e al supporto linguistico, ogni volontario può contare su due figure di riferimento: quella del tutor che lo segue nelle attività quotidiane e quella del mentor che lo aiuta ad inserirsi nella comunità locale e lo supporta nel processo di acquisizione di competenze personali / professionali attraverso la compilazione dello Youthpass, lo strumento di certificazione delle competenze acquisite, previsto dal Programma Erasmus+: Gioventù in Azione.Una delle particolarità dello SVE è che è molto aperto: possono candidarsi tutti coloro che abbiano tra i 17 e i 30 anni, non è richiesto un titolo di studio particolare, e non è richiesta nemmeno la cittadinanza(basta risiedere in modo legale in uno dei Paesi UE).Negli ultimi due giorni a Messina si è tenuto l'EVS Annual Event 2015, l’appuntamento annuale - alla sua seconda edizione - promosso dall’Agenzia Nazionale per i Giovani, per coinvolgere i ragazzi rientrati dal Servizio Volontario Europeo, le associazioni e gli aspiranti volontari e offrire una panoramica delle opportunità offerte dall’Unione Europea.Oggi, nella giornata conclusiva, è prevista la tavola rotonda «Cambia vita, apri la mente con il Servizio Volontario Europeo!», con il sottotitolo «Volontari del Servizio Volontario Europeo e rappresentanti delle Istituzioni a confronto, per scoprire insieme il valore dello SVE». Dopo i saluti del sindaco di Messina Renato Accorinti, il dibattito vedrà coinvolti il "padrone di casa" - il direttore generale dell'Agenzia Giovani - Giacomo D’Arrigo, l'europamentare catanese Michela Giuffrida, il consigliere comunale di Reggio Calabria Mauro Riccardo, e poi il presidente del Centro Orientamento e Placement dell'università di Messina Dario Caroniti e il direttore del Centro Servizi Volontariato di Messina Rosario Ceraolo. A moderare gli interventi, e sopratutto a intramezzarli con i contributi dei giovani volontari europei, sarà Eleonora Voltolina, fondatrice e direttore della Repubblica degli Stagisti e anche membro del consiglio direttivo dell'Agenzia Giovani.La Repubblica degli Stagisti ha raccontato, nell'ultimo anno, molte storie di giovani che hanno fatto una esperienza di SVE. Dalla 25enne emiliana Sonia, che grazie ai 10 mesi passati ad  Amstetten, avendo imparato perfettamente il tedesco, dopo solo un mese dalla laurea ha trovato subito un lavoro in Italia proprio in virtù di questa competenza linguistica, al 29enne sardo Carlo, che stava facendo il suo SVE in Nepal proprio nel periodo in cui il tremendo terremoto ha squassato il Paese; dall'abruzzese Pietro, 29enne appassionato di educazione non formale che ha potuto mettersi alla prova con un progetto nelle scuole di Burgas, in Bulgaria, alla 24enne Diana, originaria della provincia di Varese, che in Croazia ha passato un anno facendo animazione in un centro giovanile.Il servizio volontario europeo viene raccontato da tutti i giovani che lo hanno fatto come un'esperienza che cambia, effettivamente, la vita. Ogni anno sono 600 gli under 30 italiani che partono con questo progetto; inversamente, l'Italia ospita mediamente 650 volontari SVE provenienti da altri Paesi. Tecnicamente, lo SVE è un progetto di mobilità inserito nel programma europeo ERASMUS+:Gioventù in Azione. Venne istituito nel 1998, all’interno del Programma “Servizio Volontario Europeo per i Giovani”, e ad oggi ha coinvolto oltre 55mila giovani.Per chi volesse provarci, il consiglio è quello di leggere questo nostro vademecum e poi cercare sul database delle organizzazioni accreditate SVE, all’interno del Portale Europeo per i Giovani, le informazioni sulle organizzazioni di invio. L'offerta è talmente ampia che è quasi impossibile non trovare qualcosa che rispecchi i propri interessi. E un periodo di servizio volontario europeo, similmente a un anno sabbatico, può servire per uscire dalla propria quotidianità, mettersi alla prova e riformulare le proprie aspirazioni.

I "500 giovani per la cultura" ora chiedono un percorso di stabilizzazione: ma «si rischia la guerra tra poveri»

Hanno risposto a un bando uscito ormai quasi due anni fa, nel dicembre del 2013. E dopo un lungo processo di selezione (e un complesso iter burocratico scandito da decine di atti amministrativi), da fine maggio di quest'anno hanno cominciato il loro programma formativo. Al termine delle 100 ore di lezione in aula, dal 1° settembre hanno iniziato la seconda fase, che li vedrà impegnati fino a giugno 2016 in attività di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale presso Poli museali, soprintendenze, biblioteche e archivi di Stato facenti capo al ministero dei Beni culturali. Sono i “500 giovani per la cultura”, i laureati selezionati dal Mibact per svolgere un “programma straordinario di formazione” della durata di 12 mesi, che già dall’uscita del bando aveva suscitato aspre polemiche, seguite con attenzione dalla Repubblica degli Stagisti, per le condizioni proposte (5 mila euro di rimborso spese complessivo per un anno).Ora i ragazzi hanno dato vita al “Comitato nazionale 500 giovani”, con l’obiettivo di chiedere al ministero di essere inseriti, alla fine dell’esperienza, in un «percorso di stabilizzazione». Nonostante nel bando del 2013 si specificasse che “il rilascio dell’ attestato di partecipazione non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”. A riaccendere le speranze dei ragazzi (ragazzi per modo di dire, dato che il bando permetteva di candidarsi a chi avesse meno di 35 anni) è stato l’annuncio di “un concorso per l'assunzione a tempo indeterminato di 500 professionisti del patrimonio culturale” fatto dal ministro, Dario Franceschini, lo scorso 15 ottobre. Un concorso per “funzionari dei beni culturali selezionati tra antropologi, archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, esperti di promozione e comunicazione, restauratori e storici dell’arte”. «Profili che coincidono, almeno in parte, con quelli dei 500 giovani» spiegano dal Comitato, chiedendo al Mibact di «dare un futuro - se non per forza con il concorso per funzionari, con future iniziative ad hoc – anche ai giovani professionisti che sta formando, impiegando tra l’altro ingenti risorse economiche».«Siamo stati selezionati attraverso una procedura concorsuale con criteri alquanto rigidi: la prima scrematura è avvenuta sulla base dei titoli documentati, ove le attività che contavano di più erano proprio le collaborazioni, i lavori e gli stage svolti per la pubblica amministrazione. A questa prima fase di cernita è seguita una prova scritta che affrontava varie tematiche: storia, Codice di Tutela dei Beni Culturali, logica e informatica» spiega Marta Laureanti del Comitato.  «La selezione ha dato vita ad una graduatoria con tanto di atti consultabili» prosegue «sono stati individuati dei vincitori di bando pubblico per un “programma di formazione straordinario” che di fatto non hanno un contratto di lavoro, ma non sarebbero nemmeno tirocinanti (come spiega la circolare n. 62/2015)». E che sono oggi impegnati «in progetti ambiziosi e complessi, che necessitano di continuità». In quest’ottica, sostengono i ragazzi in un comunicato pubblicato sul loro sito, "vorremmo adesso avere la speranza che l'impegno ministeriale e personale non si perda nel vuoto, ma anzi sia convertito in possibilità e opportunità concrete per le future e necessarie assunzioni e regolarizzazioni all'interno del Ministero, con un concreto riconoscimento del programma di formazione straordinario fino ad ora intrapreso”.Una richiesta che rischia di innescare una «guerra fra poveri» secondo Salvo Barrano [nella foto a sinistra], presidente dell’Associazione nazionale archeologi. «È giusto che ogni esperienza, come un tirocinio o il programma di formazione a cui hanno partecipato i “500 giovani”, sia ben valorizzata e “pesata” in sede di concorso attribuendole un congruo punteggio, l’importante però è che non diventi discriminante» avverte Barrano. «Non può essere, in questo caso, un titolo preferenziale perché ci sono moltissimi professionisti dalla consolidata esperienza che non hanno potuto partecipare a quel bando perché si prevedeva un’età massima di 35 anni o che non hanno voluto, viste le condizioni che il Mibact offriva, ma che hanno tutti i titoli per partecipare al futuro concorso per l’assunzione di 500 funzionari, con cui il ministro Dario Franceschini ha dimostrato di tenere fede agli impegni presi».Se Barrano plaude all’ultimo annuncio del ministro, si dice però critico nei confronti della scelta del Mibact di continuare a bandire selezioni per tirocini formativi. Dopo il bando per il programma annuale dei “500 giovani”, infatti, nel 2014 ne è seguito un altro (con limite di età a 29 anni, durata semestrale e rimborso spese aumentato a mille euro lordi al mese) per 150 laureati, che hanno già effettuato i 6 mesi di tirocinio previsti da febbraio a agosto 2015. E un mese e mezzo fa è stato pubblicato un altro avviso di selezione, con relativi bandi, sempre per tirocini formativi semestrali (e sempre con limite d’età a 29 anni e rimborso spese di mille euro lordi al mese) che coinvolgerà altri 130 laureati in progetti finalizzati a sostenere attività di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale. «Questi tirocini in passato sono serviti al ministero per tappare i buchi» spiega Barrano «ma la via d’accesso per entrare nell’amministrazione pubblica deve essere esclusivamente quella dei concorsi pubblici».Anche perché è possibile che anche questi 150 + 130 ragazzi si vadano a unire, una volta terminato il tirocinio, ai 500 predecessori, bussando al Mibact per chiedere una stabilizzazione.Sara Grattoggi