Categoria: Interviste

“Oggi più opportunità che in qualunque altra epoca storica”: per il fondatore di Bip il futuro sta nei giovani e nel digitale

Nino Lo Bianco ha ottantadue anni. Bisogna scriverlo subito, come prima cosa, perché altrimenti è impossibile tenerlo a mente. Quando parla, quando discute, parla sempre al presente e al futuro: di quello che verrà piuttosto che di quel che è stato, di quel che vuole fare piuttosto di quel che ha fatto. Al suo attivo ha la creazione di due grandi società – Telos Management Consulting all'inizio degli anni Settanta, poi fusa con Deloitte; Bip all'inizio del Duemila – e nel cassetto una onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e un Ambrogino d’oro del Comune di Milano. E sopratutto uno spirito imprenditoriale che sembra tutto tranne che sopito: basti vedere l'ultima domanda di questa intervista, in cui la sua risposta è proiettata a quattro anni da oggi. L'anno scorso, in pieno Covid (forse proprio grazie alla cattività forzata dovuta al Covid) si è seduto alla scrivania e ha scritto un libro: “È il momento di osare – Here to dare” sottotitolo: “Riusciranno le aziende a sfruttare il potere del digitale?”, in cui ripercorre la storia di Bip (che da molti anni è una delle aziende virtuose del nostro RdS network), della professione della consulenza, ma sopratutto riflette sugli enormi cambiamenti che il digitale ha portato nella vita quotidiana, nel business e nell'economia di tutto il mondo. La Repubblica degli Stagisti lo ha intervistato per chiedergli la sua visione rispetto al futuro prossimo e alle opportunità per i giovani. Come andranno i prossimi mesi? Le imprese italiane ricominceranno ad assumere, o resteranno nella posizione che lei spesso nel libro definisce “attendista”? L’attendismo è finito con l’allentamento della pandemia e già si vedono degli importanti sintomi di ripresa. Con una impostazione nuova: fra i tanti danni che possiamo ascrivere al Covid c’è il fatto positivo di un cambiamento epocale. Abbiamo usato tutti molto più digitale di quanto ne usassimo prima; ci ha reso ubiqui, poliglotti, ci ha messo in condizione non solo di comunicare ma anche di lavorare. Essere passati da 600mila lavoratori che, dopo trent'anni di lotte sindacali, erano autorizzati a fare lo smart working, a otto milioni in due settimane ha creato uno sconquasso anche psicologico, ma che adesso è rimasto. C'è una ripresa della fiducia?Lo stiamo vedendo sui clienti [di Bip, ndr] e su nuove iniziative. A fronte di settori che accentueranno la loro crisi, ce ne sono molti altri che sono in fase invece di fortissimo lancio.Il sistema scolastico italiano è secondo lei troppo poco orientato alle nuove tecnologie: pochi giovani scelgono di studiare materie Stem, e in particolare ingegneria. Come si risolve questo handicap italiano? Come, usando le sue parole, si “rigenera la scuola”?Prima ancora della scuola bisogna intervenire spiegando ai genitori che la vita non è fatta solo di ingegneri e medici, ma ci sono gli istituti tecnici che non hanno in questo momento la considerazione e il ruolo che dovrebbero avere; ci mancano una serie di professionalità di tipo manuale e tecnico che devono essere potenziate. Per chi va scuola bisogna intervenire sui docenti: oggi noi abbiamo programmi in larga misura superati, sappiamo tutto sui fenici e sui greci ma non sappiamo quasi nulla di quel che sta succedendo in Silicon Valley o di quali sono i ritrovati del digitale diffuso. E questo è un problema. Che rimangano indietro o che siano bisognosi di formazione i 40-50enni si può capire, ma se i neolaureati si preparano su programmi dello scorso secolo vuol dire c'è qualcosa che non funziona. Io mi sono laureato nel 1961 in Legge, ho fatto tre esami di Diritto romano, Storia del diritto romano e Istituzioni di diritto romano. Mia nipote che sta facendo legge alla Statale oggi fa gli stessi tre esami. C’è qualcosa che non va: oggi bisognerebbe studiare e capire perché non funzionano i tribunali, perché non funzionano le conservatorie dei registri, perché non è avvenuta l'automazione degli archivi.La rivoluzione digitale per il tessuto aziendale tradizionale comporta anche chiusure e ridimensionamenti, dunque perdita di posti di lavoro. Questi posti persi vengono davvero rimpiazzati da posti in aziende nuove, più orientate al digitale? E in quelle vecchie che non chiudono, le nuove “protesi” possono davvero pesare, a livello occupazionale, quanto le necessarie “amputazioni”?Non per ottimismo acritico, ma seguendo la storia ho gli esempi che ogni innovazione ha comportato più attività di quella che ha lasciato in passato. Prenda l'esempio delle carrozze: quando l'uomo andava a cavallo c’erano fior di artigiani che facevano bellissime carrozze, oggi nessuno usa più le carrozze, a parte la regina d'Inghilterra e qualche turista a Central Park a NY. Se qualcuno le producesse, anche se le facesse benissimo, nessuno le comprerebbe – e fallirebbe. Ma le carrozze sono state sostituite dalle automobili. Quanta occupazione ha creato l'automobile rispetto a chi faceva le selle e i finimenti per i cavalli? Oggi noi siamo di fronte a un salto nella storia. Si passa dalla preistoria che arriva all’anno 2000 alla storia che comincia proprio nel 2000. Il digitale sta creando opportunità ogni giorno di più. E' chiaro che stanno entrando in crisi altri tipi di organizzazioni, ma il saldo alla fine sarà certamente e di gran lunga positivo. Il mio è un ottimismo misurato. Nessuno prima pensava alla sicurezza informatica; noi nel giro di sei anni in Bip abbiamo creato una struttura di 220 persone dedicata alla cybersecurity, 220 professionisti che si occupano di mettere in sicurezza in tutto il mondo le plant dei produttori di energia. E questo è solo un esempio: vi è una quantità di lavori  impensabili prima, e che stiamo scoprendo giorno per giorno.Più volte nel libro lei sottolinea, con rammarico, che l’Italia è un paese di retroguardia rispetto all’innovazione e al digitale, in una posizione “subalterna”. I giovani che oggi hanno vent’anni dovrebbero dunque guardare all’estero? Andare a fare esperienza, magari per qualche anno, nei Paesi più all’avanguardia?Non necessariamente. Oggi il know-how è disponibile ovunque; non bisogna andare necessariamente in California per seguire i programmi e i progetti della Singolarity University, puoi seguirteli da casa a Milano, o in Valtellina, o nel profondo Sud. Non è questo il problema. E' avere la testa e la voglia di provarsi. Noi abbiamo un grande gap imprenditivo in questo momento nel digitale. Questa è la preoccupazione che mi angoscia di più. Gli uomini più ricchi al mondo non avevano un dollaro trent'anni fa. Ma gli “unicorni” sono quasi tutti americani e asiatici: in Europa sono pochissimi. Siamo in qualche modo passivi, usiamo moltissimo i device ma in maniera edonistica. Ci scambiamo messaggini, fotografie del cane, nella migliore delle ipotesi.Bisognerebbe invece sfruttare questi spunti per usare il digitale, come accade in altri Paesi, in maniera imprenditoriale?Bisogna affittare un garage, senza un garage pare che nessuno possa andare da nessuna parte; andare lì dentro con un computer, essere in due – perché pare che sia anche obbligatorio anche essere in due! – e tirare fuori un'app che valga qualche decina di milioni. Io dico sempre ai nuovi colleghi: voi non diventerete mai ricchi con la nostra professione. Benestanti, certamente; ma ricchi, difficilmente. Se volete diventare ricchi affittate il garage... e inventate l'app!Il tema della lontananza fisica che impatto ha e avrà sul mondo del lavoro? Va bene l’ubiquità, ma per lavorare bene insieme non c’è bisogno di toccarsi, qualche volta? Per i giovanissimi che entrano nel mondo del lavoro proprio in questo periodo, non poter fare esperienza “di persona” non rischia di essere una criticità?Tutti abbiamo perso qualche cosa in questo anno – e i giovani di più. Ma se facciamo il saldo tra cosa ci ha tolto la reclusione e cosa ci ha insegnato – e quindi la fantasia, la spinta per trovare modalità per entrare in contatto, che è diventato un patrimonio acquisito che non perderemo con la ripresa del lavoro in presenza – io credo che alla fine per tutti noi sarà stato un bagno positivo. Ormai stiamo ricominciando a lavorare, ed è per tutti acquisito il fatto che  lo smart working non è più un lusso o una cosa da sperimentare. Io non sono preoccupato tanto per i giovani, tutti quelli che noi abbiamo inserito hanno continuato a lavorare senza abbassare la produttività: per noi è stato un test di realtà eccezionale e l'abbiamo anche spinto sui nostri clienti. E' finito il tabù del “timbrare in cartellino”. Il problema vero sono le persone di mezza età, che possono reagire in due modi: primo, incuriosirsi, rimettersi in discussione, accettare la sfida e darsi da fare; oppure abbattersi definitivamente. In Italia abbiamo un'altissima presenza di analfabeti funzionali, più di quanto noi pensiamo. La sua preoccupazione dunque non sta sui giovani. I giovani si stanno adattando perché sono nati digitali. Bip per esempio sta crescendo molto, e con moltissimi giovani: abbiamo la popolazione più giovane di tutte le società di consulenza in Italia. Perché? Perché noi siamo nati nel 2003, che può sembrare una grande sfortuna: gli altri hanno la tradizione, il brand, il marchio, la storia, i 150-160 anni di vita precedente. Ma noi siamo nati digitali! Quindi il vantaggio è di avere persone che pensano e ragionano e vivono avendo acquisito abitudini, cultura, e strumentazioni che gli altri fanno un po’ fatica ad adottare. E’ strano che glielo dica io, alla mia età, ma secondo me oggi il problema è proprio dai cinquantenni in su.Lei si ritiene molto fortunato per le stagioni che ha vissuto, le cose che ha potuto realizzare nella sua carriera professionale, non ultima la creazione di Bip diciotto anni fa. I giovani di oggi avranno le stesse opportunità? Sinceramente, farebbe a cambio con un ventenne?La mia risposta è sempre sì: non perché io sia un ottimista inveterato, ma perché ogni epoca ha avuto delle opportunità. Oggi ci sono più opportunità di qualunque altra epoca storica. Ci si può muovere con pochissimo, ci si può non muovere e visitare ogni giorno un Paese diverso; si può fare networking con persone sconosciute. Oggi le opportunità si sono esponenzialmente moltiplicate: ma non bisogna avere paura, chiudersi in se stessi. Io ho avuto una grande fortuna: non ho mai pensato di lavorare per qualcuno, sono sempre stato indipendente, ho pensato che dovevo trovare la mia strada. E’ il paio di occhiali che ti metti e con cui guardi la realtà che fa la differenza.Se dovesse dire a un ventenne di oggi “You’ve got to dare”, che cosa in particolare suggerirebbe di osare?La base per osare è sviluppare la propria curiosità e andare alla ricerca dello spazio in cui si pensa di potersi realizzare in maniera compiuta. Essere informati. Leggere molto sulle aree che si stanno aprendo. Sulla base di queste curiosità cercare di capire cosa si vuole nella vita. Ogni giovane dovrebbe chiedersi: cosa voglio? Reddito? Ricchezza? Reputazione sociale? Potere? Capire quali sono i suoi driver e cercare di realizzare le cose che sono più in linea con i suoi driver.Qual era il suo, di driver?Io non sono andato a lavorare per McKinsey, o per aziende americane; ho un pensiero indipendente, non volevo essere “americano con il k” negli anni Sessanta. Ho creato prima la Telos e poi Bip: non è stata una passeggiata. Però oggi con Bip siamo quarantesimi al mondo, e nel giro di quattro anni potemmo riuscire ad arrivare tra i primi quindici-venti, superare di miliardo di fatturato, raddoppiare il numero dei nostri colleghi in giro per il mondo. Questo è il mio tipo di driver: indipendenza con successo.intervista di Eleonora Voltolina

Il futuro del lavoro è femmina, dice Silvia Zanella: ecco perché

«Avevo chiuso questo libro a Natale dell’anno scorso, l’ho riaggiornato alla luce dei fatti degli ultimi mesi, facendolo uscire a giugno del 2020». Silvia Zanella, giornalista e manager, ha scritto «Il futuro del lavoro è femmina» (pubblicato dalla casa editrice Bompiani). Un libro che spazia dal ruolo dello smartworking all’automazione del lavoro, dall’importanza delle soft skills al confronto tra generazioni in ambito professionale, fotografando gli inevitabili cambiamenti causati dall’irrompere dell’emergenza Covid nelle nostre vite private e lavorative. Tutti temi estremamente attuali.Come nasce il libro? Mi sono sempre occupata di lavoro con un’ottica fortemente orientata al digitale, negli ultimi anni ho notato un’eccessiva concentrazione sull’«hardware» invece che sul «software», ossia sulle competenze tecniche rispetto alle qualità e caratteristiche personali, e ho pensato che fosse necessario riaggiornare il dibattito sul futuro del lavoro, rivedendone le categorie. «Il posto di lavoro non si trova più in un posto di lavoro»: la frase riassume il tema più che mai attuale dello smartworking. Come deve essere applicato alla luce delle possibilità che ci ha evidenziato questo periodo? Può avvantaggiare le donne? Alcuni sostengono il contrario… Il tema vero è scindere questa esperienza dalla vera nozione dello smartworking, che prevede una libertà di fondo legata a spazio, tempo e modi che in quarantena sono stati negati. Abbiamo fatto un homeworking miracoloso, il passaggio che andrebbe fatto adesso è di natura duplice in quanto non vuol dire stare sempre a casa e non equivale al lavoro forzato dentro le mura domestiche. Abbiamo assistito a una radicale trasformazione dei modi di lavorare, ora deve però intervenire un approccio ibrido e una focalizzazione sulla responsabilità delle persone, soprattutto dei capi, nel delegare, nel dare fiducia. Va fatto anche un lavoro nelle famiglie e nelle coppie, in quanto questi mesi hanno dimostrato che il carico era più pesante per le donne, il che dimostra una forte diseguaglianza.Il libro parla di una serie di caratteristiche «femminili» applicabili in azienda che ne sono anche le parole chiave: collaborazione, duttilità, fiducia….le cosiddette soft skills. Si tratta di un concetto sempre attuabile, anche se la realtà spesso ci dice il contrario, cioè che spesso sono le donne le prime nemiche delle donne, soprattutto sul lavoro? A me piacerebbe molto che queste competenze diventino centrali perché porterebbero a un lavoro migliore. Prima c’era un tipo di lavoro molto controllato, che è destinato a non esserci più, il lavoro va sempre più verso un’intellettualizzazione, se continuiamo a trattare le persone allo stesso modo non andiamo da nessuna parte. La mia è una provocazione dettata da caratteristiche reali, però non per questo significa che le donne ne siano più dotate, non mi interessava parlava di contrapposizione di genere, non ha senso parlare di maschi contro femmine. Si parla di caratteristiche femminili, ma non necessariamente riconducibili alle donne.A proposito di genere, i dati sull’occupazione e sul ruolo femminile nel mondo del lavoro: non sembrano essere positivissimi, penalizzazione evidente anche in seguito alla pandemia...Abbiamo dati contrastanti: è vero che il Covid ha penalizzato soprattutto le donne, al contempo però l’unico dato occupazionale positivo del 2020 è legato al rientro al lavoro proprio delle donne, forse perché c’è stata una perdita del lavoro da parte dei propri compagni. In ogni caso, penso sia più che mai urgente una riflessione elaborata su come dobbiamo far evolvere davvero l’occupazione femminile, non solo in termini qualitativi ma anche quantitativi.Quanto contano queste soft skills in fase di selezione e quanto possono fare la differenza sul posto di lavoro, ad esempio nella crescita professionale di un collaboratore rispetto a un altro?Quindici anni fa il leitmotiv era la specializzazione ed è stato così per tanti anni, ora non è più così non perché la specializzazione sia meno importante ma perché è facilmente obsolescente, rimane fondamentale ma invecchia velocemente. Viceversa, un tipo di attitudine alla trasformazione, al cambiamento sono caratteristiche soft che prima difficilmente venivano valutate. Puoi avere il più bravo tecnologo del mondo che però se mal si integra con il resto dell’organizzazione diventa un problema. Cos'è il concetto di «bellessere», applicabile alle aziende?Non è un concetto mio, ma di Enzo Spaltro, uno dei fondatori della psicologia del lavoro, è molto bello e alto. Parla della necessità di introdurre la bellezza all’interno delle organizzazioni, la dimensione umana. Fattore che porterebbe enorme vantaggio nella gestione dei team.All'interno del libro ci sono vari riferimenti a organizzazioni italiane e internazionali che hanno rappresentato un punto di riferimento. È possibile citarne alcune?Posso dire che abbiamo avuto molti esempi esteri, come Cisco con uno smartworking molto pronunciato, Microsoft con una distribuzione più "liquida" della propria forza lavoro. In Italia abbiamo Repubblica degli Stagisti o Lifeed di Riccarda Zezza, che hanno posto l'attenzione alla dignità del lavoro e alle competenze che servono per fare un determinato lavoro. Non esiste ancora l'azienda delle meraviglie, ma queste esperienze mi hanno sicuramente aiutato a immaginare l'azienda che vorrei.Il libro parla di superamento della logica del controllo, ma in un momento in cui molti responsabili avversano ancora lo smartworking quanto è realistica una prospettiva del genere?Gli ultimi mesi hanno portato a un’accelerazione mostruosa di determinati fenomeni già avviati. Potranno succedere dei movimenti di restaurazione per mille motivi, ma non puoi cancellare la memoria emotiva di questo vissuto. Sarà un anno molto fluido e le generazioni più giovani si aspettano già di entrare nel mondo del lavoro con questa modalità, sono ottimista sul fatto che la via è stata tracciata.Coesistenza e scambio generazionale sul luogo di lavoro, automatizzazione, personal branding sono solo alcuni punti affrontati… qual è l’aspetto su cui in questo momento le aziende devono lavorare di più? Sono abbastanza convinta che il tema più critico sia quello della formazione e della cultura organizzativa, è necessario intervenire su questioni essenziali con uno sforzo non indifferente da parte di tutti. Chiara Del Priore

Sostegno economico agli stagisti, la prima firmataria dell'emendamento: “Il prossimo decreto sarà l'ultima occasione”

La notizia della decisione della Commissione Bilancio della Camera dello scorso venerdì è stata una doccia fredda per migliaia e migliaia di stagisti: in quella seduta infatti la Commissione ha espresso parere negativo sull'emendamento che proponeva di destinare 100 milioni di euro alle Regioni, affinché li distribuissero ai tirocinanti rimasti senza indennità per la sospensione o interruzione del loro stage a causa del Covid. Una misura di sostegno economico agli stagisti che è mancata fin dallo scoppio della pandemia: nulla era stato previsto a marzo/aprile dal governo nel primo decreto, il “Cura Italia”, verso la platea degli stagisti, e nulla era stato previsto nemmeno nel secondo decreto, il “Decreto Rilancio”, a maggio/giugno. Da qui il tentativo di alcuni parlamentari per correggere il tiro in Parlamento, nel processo di conversione in legge di questi due decreti. Ma il problema è sempre quello delle coperture – o per meglio dire, delle decisioni che vengono prese su dove allocare i soldi, e a favore di quali platee. I tirocinanti ancora una volta sono rimasti esclusi: la Repubblica degli Stagisti ha fatto il punto della situazione con Chiara Gribaudo, 39 anni, prima firmataria dell'emendamento. Che sulla sua pagina Facebook ribadisce la sua attenzione verso il mondo degli stagisti e il lavoro per «introdurre misure che possano sostenerli in questo momento drammatico», e promette di proseguire la battaglia.Cos’è successo venerdì mattina alla Camera?Il governo ha affrontato gli emendamenti all’articolo 78 e ha dato parere negativo alla mia e a molte altre proposte che comportavano modifiche sul piano finanziario.È stato un fulmine a ciel sereno?Purtroppo da giorni era noto che le risorse ancora disponibili in questo provvedimento erano scarse, infatti in questi giorni il provvedimento è dovuto tornare in Commissione per verificare alcune coperture. Mi auguravo che ci fosse ancora spazio, ma ormai alla maggior parte degli emendamenti non era stato dato seguito.Il parere negativo espresso venerdì mattina é da intendersi come parere negativo della Commissione Bilancio oppure del Governo? O di entrambi?Il governo dà il proprio parere e il relatore del provvedimento dà il suo a seguire, e il parere è stato negativo a causa delle scarse risorse finanziarie disponibili.Che si fa adesso?Ripresenterò l’ordine del giorno per i tirocinanti, chiedendo esplicitamente che le risorse vengano trasmesse alle Regioni perché tutte eroghino l’indennità ai tirocinanti.C’è il rischio concreto che più passa il tempo più il problema degli stagisti che non hanno avuto reddito tra marzo e maggio passi per così dire “in cavalleria”: come lo si argina?Il problema esiste per gli stagisti come per molte altre categorie, ad esempio le madri lavoratrici, i contratti a termine scaduti e non rinnovati, i professionisti che non hanno avuto accesso ai contributi a fondo perduto. Ci sarà un altro decreto del governo per affrontare i prossimi mesi, e credo che sarà questa l’ultima occasione per cercare di risolvere tutti questi problemi.

Giappichelli, cent'anni di storia nel campo dell'editoria, aderisce all'RdS network: “Ai giovani possiamo offrire belle opportunità”

Per la prima volta nella storia della Repubblica degli Stagisti una realtà del settore editoriale ha aderito all'RdS network, il circuito di aziende virtuose che si impegnano a garantire condizioni buone e trasparenti ai propri stagisti. Si tratta di Giappichelli, casa editrice fondata nel 1921 e specializzata in testi universitari e per professionisti in particolare in materia di diritto, economia e scienze politiche. A guidarla oggi è la “nuova generazione”: Giulia Giappichelli, classe 1986, una laurea in management alla Bocconi, un paio di esperienze di stage in Italia e all'estero, e poi qualche anno di esperienza di lavoro in una multinazionale della consulenza strategica. Poi, nel 2016, la decisione di tornare a gestire l'azienda di famiglia che porta il suo cognome, con un obiettivo ambizioso: «far leva sulla sua eredità per progettare il cambiamento che guiderà il futuro». Spirito curioso e inquieto, Giappichelli negli ultimi otto anni ha intervallato il lavoro a «importanti esperienze di vita»: è stata per due mesi in viaggio in India in solitaria, ha passato nove mesi “zaino in spalla” per il mondo insieme al suo compagno, ha fatto volontariato ad Haiti e in Brasile, ha percorso il cammino di Santiago de Compostela e la via Francigena, ha anche lanciato un’attività di volontariato a Torino. Il tutto gestendo un'attività che produce testi su cui studiano ogni anno 250mila studenti in Italia.Siete la prima azienda del settore dell’editoria a entrare nel network della Repubblica degli Stagisti. Cosa vi ha spinto ad aderire?Abbiamo conosciuto la vostra realtà tramite il network Ashoka, proprio in un momento in cui stavamo valutando la possibilità di usare nuovi canali per far conoscere il nostro lavoro ai giovani, e le opportunità che possiamo offrire. La nostra è un’impresa familiare che l’anno prossimo compierà cento anni: abbiamo una grande tradizione alle spalle, ma anche ambiziosi progetti per il futuro. Come state vivendo questa situazione inaspettata dell’emergenza Covid? Il nostro settore è stato inserito dal governo nell’elenco delle attività indispensabili: le case editrici hanno proseguito l’attività anche nella fase 1, seppur con le limitazioni interne e di canali imposte, e anche noi siamo sempre rimasti operativi per garantire le lavorazioni dei libri agli autori e per fornire i libri agli studenti. Devo dire che quasi tutti gli atenei si sono organizzati abbastanza in fretta con la didattica a distanza, e dunque mi sembra giusto che anche noi facciamo la nostra parte, inviando i libri che permettono agli universitari di continuare a studiare e dare esami. Peraltro il confinamento in casa sembra aver fatto aumentare il consumo di “prodotti di evasione”, anche culturali, come film e libri, no?In realtà i dati che abbiamo condiviso qualche settimana fa durante un seminario dell’Aie, l’associazione italiana degli editori, raccontano una storia un po’ diversa. I consumi di libri in formato digitale – gli ebook – che rappresentano una nicchia del totale dei consumi, sono rimasti stabili; le vendite dei libri in formato cartaceo sono purtroppo scese, complice il blocco dei canali di diverse settimane – librerie fisiche e online, che pur essendo attive hanno avuti forti rallentamenti soprattutto nella prima fase. La mia lettura è che non sia né la gratuità né la maggior disponibilità di tempo libero a “convincere” un non-lettore ad avvicinarsi alla lettura. Quindi chi non legge abitualmente non legge nemmeno in questo periodo di lockdown. I segnali sono poco rassicuranti anche per i cosiddetti lettori forti, quelli che leggono almeno dodici libri all’anno e che sono lo zoccolo duro del settore: in questo caso avere più tempo a disposizione ha fatto aumentare soprattutto il loro consumo di PayTV e non di libri. Quindi in definitiva no, gli editori non stanno registrando un aumento delle vendite di libri, anzi stanno soffrendo della situazione. Per fortuna noi operiamo in una nicchia un po’ protetta e siamo stati colpiti “di striscio” dalle dinamiche del settore, anche se siamo un po’ preoccupati dell’invenduto che tornerà indietro alla riapertura delle librerie e che purtroppo non potrà essere rimesso in vendita per obsolescenza. Concretamente la vostra sede è operativa o lavorate completamente da remoto?Il nostro magazzino è aperto, perché è lì che prepariamo i libri da spedire. Tutte le altre funzioni, da quelle commerciali a quelle editoriali come l’editing, l’impaginazione dei libri, oppure i rapporti con i nostri autori, vengono svolte in smart working. Avete anche degli stagisti attivi in questo momento? Il Piemonte, che è la Regione dove Giappichelli ha la sua sede, ha avuto una politica altalenante per quanto riguarda la modalità dei tirocini da casa: prima li ha vietati, poi ha fatto dietrofront e li ha autorizzati.Noi al momento in cui è scoppiata l’emergenza non avevamo tirocini attivi. Eravamo proprio in procinto di attivarne due, ma ci siamo fermati. Dunque al momento non abbiamo stagisti da gestire, ma non appena questo periodo sarà passato, e torneremo alla normalità, abbiamo bene intenzione di proseguire con i nostri piani di rinnovamento e crescita, e quindi di procedere con l’inserimento di stagisti. Per noi lo stage è uno strumento importante anche nell’ottica di proseguire poi, se va bene, instaurando un rapporto di lavoro. Il motivo per il quale abbiamo deciso di aderire al network della Repubblica degli Stagisti è anche proprio quello di far conoscere ai giovani le opportunità che possiamo offrire. Le piccole e medie aziende rappresentano la maggior parte delle attività produttive del Paese, ma quasi sempre vengono viste come seconda e terza scelta dai giovani. Invece lavorare in una pmi può essere molto gratificante, soprattutto per chi ha uno spirito proattivo e un’attitudine imprenditoriale. Quali sono i vostri progetti di sviluppo?Giappichelli è un’azienda di famiglia che da quasi cento anni si occupa di editoria universitaria, accademica e professionale in ambito giuridico ed economico. Un settore davvero molto difficile da innovare, e molto soggetto alle sfavorevoli dinamiche socio-economiche degli ultimi anni in Italia: calo del numero degli studenti universitari nei nostri settori, riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, riduzione dei fondi universitari, aumento della pirateria digitale… e potrei continuare. Nonostante ciò la nostra azienda da qualche anno sta godendo di utili record, e siamo alla soglia di un passaggio generazionale e di una grande rivoluzione strategica. Insomma, c’è grande fermento e voglia di cambiamento. Ci sono figure professionali che prima non esistevano, e che adesso potranno servirci per ampliare e innovare la nostra azienda: per questo vogliamo aprirci ai giovani, specialmente a quelli con alto grado di istruzione.intervista di Eleonora Voltolina

“Per includere gli stagisti nel reddito di ultima istanza bisogna aumentare il limite di spesa”

Gli stagisti sono i grandi esclusi dai provvedimenti del Governo per arginare la crisi economica dovuta al lockdown. E se qualche spiraglio si è aperto con la decisione di alcune regioni di erogare sussidi a chi fosse rimasto a casa senza rimborso spese, dall'esecutivo invece nessun segnale. I tentativi però sono in corso. Da una parte la deputata Pd Chiara Gribaudo, che ha chiesto di includere i tirocinanti nel Fondo per il reddito di ultima istanza prima con un emendamento (non passato) al Cura Italia e poi con un ordine del giorno. Dall'altra la deputata molisana M5S Rosalba Testamento, 43 anni, che ha a sua volta depositato un ordine del giorno sul tema, anch'esso approvato lo scorso 27 aprile. La partita è ancora aperta.Com'è nata la volontà di formulare un ordine del giorno a favore degli stagisti rimasti esclusi dalle misure di sostegno?Ho ricevuto alcune segnalazioni via mail e anche su Facebook. In particolare c'è stato il caso di un molisano, non un ragazzo ma una persona adulta, che prima che scoppiasse la pandemia da Covid19 svolgeva un tirocinio extracurricolare. Al momento della sospensione non aveva maturato il 70 per cento delle presenze richieste, e di conseguenza non ha ricevuto alcuna indennità, né è potuto accedere a forme di sostegno al reddito. Ho subito preso a cuore il problema. Erano i giorni dell'esame in Senato del decreto Cura Italia, provvedimento su cui la Camera non è potuta intervenire in sede emendativa per garantire la rapida conversione in legge. Da lì la decisione di presentare un ordine del giorno, poi accolto dal Governo.Nel suo ordine del giorno si richiede l'incremento delle risorse previste nel Fondo per il reddito di ultima istanza. Di quanto ritiene che il Governo dovrebbe incrementare gli stanziamenti per poter provvedere anche ai tirocinanti?  Attendiamo di capire se nel decreto legge verrà previsto qualcosa di specifico per gli stagisti o se dovrà essere il Parlamento a intervenire in sede di conversione. Ci siamo attivati in funzione di questa seconda ipotesi, e l'onere finanziario è in via di quantificazione. Nel frattempo, però, posso dirle che rispetto agli attuali 300 milioni ci sarà un cospicuo aumento del limite di spesa per il reddito di ultima istanza, forse fino a 800 milioni di euro. A quanto dovrebbe ammontare l'indennità?L'ammontare dell'eventuale indennità dipenderà dall'entità di risorse che verrà aggiunta al fondo. Se le risorse lo consentiranno sarebbe meglio un rimborso mensile, ma l'auspicio è che si intervenga almeno con un versamento una tantum.Nella sua richiesta sarebbero inclusi anche gli stagisti curricolari? Eventualmente anche i praticanti? Sì. Nell'ordine del giorno ho fatto riferimento a praticanti e stagisti, sia curricolari, laddove l'azienda ospitante abbia riconosciuto un'indennità, che extracurricolari.Ci sono possibilità che il Governo prenda in considerazione la sua proposta? È in contatto con la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo?L'ordine del Giorno è un atto di indirizzo di cui dispone un parlamentare nell'esercizio delle proprie funzioni, e riconosco che la sua efficacia dipende anche da come viene supportato. In passato ho utilizzato questo strumento, e in alcuni casi il Governo ha mantenuto l'impegno. Non sono in contatto con la ministra del Lavoro, ma sono fiduciosa perché il prossimo decreto legge per corposità di risorse sarà equivalente a 2-3 leggi di bilancio. Ma ci vuole prudenza perché il periodo che stiamo vivendo è caratterizzato ancora da una profonda incertezza circa le conseguenze che produrrà sul nostro futuro. Il Governo sta cercando di dare risposte alle fasce più deboli della popolazione. Ma tra mille difficoltà. Prima di lei sulla questione dei sussidi agli stagisti era intervenuta la deputata Pd Chiara Gribaudo, con un emendamento al Cura Italia e poi un ordine del giorno che potremmo considerare complementare al suo. Ne era a conoscenza?Non ero a conoscenza dell'analoga richiesta della collega. Mi ha fatto piacere che parallelamente e senza metterci d'accordo sia stata posta l'attenzione sullo stesso problema, perché come si dice "l'unione fa la forza". Mi ripropongo di incontrarla e confrontarmi con lei, per individuare eventuali azioni parlamentari su questo tema.La sua proposta è sostenuta da altri colleghi della sua forza politica?Sì, come da regolamento del gruppo, l'ordine del giorno è stato depositato dopo essere stato visionato dai colleghi M5S della Commissione Lavoro.Qualora il decreto 'ex Aprile' ignorasse il suo ordine del giorno, ci sarebbero altre possibilità, ovvero altri provvedimenti possibili, per consentire agli stagisti di percepire un sussidio?Se l'impegno non dovesse essere immediatamente recepito dal Governo nel prossimo decreto legge, la cui approvazione è imminente, presenterò un emendamento allo stesso provvedimento in sede di conversione ed eventualmente, ma spero non sia necessario, anche nei successivi provvedimenti adottati. Alcune regioni stanno prevedendo coperture a favore degli stagisti rimasti fermi (Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Calabria). Se entrasse in vigore la misura da lei proposta, i due sussidi sarebbero cumulabili?È vero, alcune Regioni, poche per la verità finora, lo hanno fatto. Non mi aspetto che gli stagisti eventualmente beneficiari chiedano la cumulabilità dei due sussidi, né credo che interessi loro sapere se l'aiuto arriverà dalla Regione o dal Governo. Il punto è assicurare a tutti il riconoscimento di un'indennità, per essersi ritrovati da un giorno all'altro a casa, impossibilitati a pagare vitto, alloggio o altre spese per il sostentamento.Cosa pensa dello stop stabilito da diverse Regioni all'attivazione di nuovi tirocini o addirittura alla loro prosecuzione in modalità smart working tra quelli che erano già in essere prima dello scoppio dell’emergenza?L'eccezionalità e drammaticità degli eventi ha portato a scelte drastiche. Molte Regioni hanno attivato forme di smart working nonostante la normativa nazionale preveda forme di lavoro agile solo per il lavoro subordinato. Dispiace comunque che anche in questo caso la risposta sia stata frammentaria, così come in merito alla previsione di strumenti di sostegno al reddito. Adesso è tempo di lavorare affinché i tirocini sospesi possano riprendere il prima possibile e non vengano definitivamente interrotti. intervista di Ilaria Mariotti 

Sostegno agli stagisti, l'ordine del giorno di Chiara Gribaudo: “Regioni e Governo diano risposte”

Finora non vi sono stati, nei vari decreti #CuraItalia, provvedimenti a sostegno della categoria degli stagisti. La parlamentare del Partito Democratico Chiara Gribaudo si è attivata e si è fatta promotrice – insieme a Lia Quartapelle, Gea Schirò, Massimo Ungaro, Fausto Raciti, Luca Rizzo Nervo, Enza Bruno Bossio, Fausto Longo, Giuditta Pini e Matteo Orfini – di un “ordine del giorno” che impegna il governo a «prevedere, attraverso il primo strumento normativo utile, misure di sostegno al reddito per tutti coloro il cui tirocinio extracurricolare è stato sospeso o terminato in anticipo, consentendo ai giovani e a tutti gli interessati di mantenersi e riconoscendo la dignità del loro lavoro». L'ordine del giorno è stato approvato il 24 aprile; ora è il momento di vedere se l'impegno verrà rispettato dal governo, e se le centinaia di migliaia di stagisti italiani – ogni anno si svolgono in Italia all'incirca mezzo milione di tirocini, tra curricolari ed extracurricolari – verranno in qualche modo considerati e tutelati. La Repubblica degli Stagisti ha approfondito con Chiara Gribaudo la situazione, in modo da dare agli stagisti italiani un quadro chiaro di quel che è accaduto finora e di quali saranno i prossimi passaggi per arrivare, auspicabilmente, a un qualche provvedimento che tuteli gli stagisti.L’emendamento che proponeva di ampliare anche ai tirocinanti la possibilità di fare richiesta per il reddito di ultima istanza non è passato, ma siete riusciti a far approvare un ordine del giorno. Che cosa vuol dire questo in concreto?Significa che il governo si impegna, con il mandato dell’Aula della Camera, a individuare un ammortizzatore sociale che includa i tirocinanti di tirocini extracurriculari, per sostenerli durante quest’emergenza. Un passo importante per consentire anche ai tirocinanti di essere inclusi nel reddito di emergenza o negli altri strumenti che verranno messi in campo con il prossimo decreto.Va ricordato che l'emendamento non è stato, tecnicamente, bocciato: sono state le dinamiche della discussione tra governo e parlamento, e poi in parlamento tra maggioranza e opposizione, che a un certo punto hanno reso impossibile “riaprire” il testo arrivato dal Senato, per apporre anche solo una modifica. Dunque di fatto l’emendamento non è stato nemmeno discusso. Quali sono le dinamiche politiche?In questo momento il lavoro parlamentare è ingolfato: Camera e Senato devono convertire la moltitudine di decreti emanati dal governo per far fronte all’emergenza e il tempo per farlo è di sessanta giorni per ogni decreto, che altrimenti decade in ogni sua parte. Dopo le modifiche avvenute al Senato, se anche la Camera avesse cambiato il testo, questo sarebbe dovuto tornare di nuovo al Senato per l’approvazione definitiva. Si è deciso allora di non effettuare alcuna modifica per convertire subito il decreto in legge. Personalmente non approvo che il Parlamento non sia stato messo in condizione di lavorare sul testo in tempi e modi utili da dare al Paese tutte le risposte che servono, anche se mi rendo conto che il momento richiede rapidità. In ogni caso è una dimostrazione ulteriore di come il procedimento legislativo del bicameralismo paritario abbia bisogno di essere rivisto.Il governo a questo punto, nelle decisioni dei prossimi giorni, potrebbe ignorare il vostro ordine del giorno? O è vincolato a tenerne conto?Sono settimane che poniamo il tema dei tirocinanti alla Ministra del lavoro. Sinceramente mi aspettavo maggiore attenzione sin da subito, ma è pur vero che essendo il lavoro materia concorrente uno sforzo in tal senso va chiesto anche alle Regioni. L’Emilia Romagna, ad esempio, ha già dato una prima risposta in tal senso Serve maggior attenzione e la richiederemo per migliaia di ragazzi e ragazze che si stanno creando con fatica un’indipendenza economica e ora si ritrovano di nuovo sulle spalle delle loro famiglie. Certo, tutti gli odg possono essere ignorati se non si trovano le risorse o le modalità, ma ignorare quello sui tirocinanti dopo averlo accolto, sarebbe politicamente molto grave da parte della Ministra.L’ordine del giorno chiede che siano previste “misure di sostegno al reddito per tutti coloro il cui tirocinio extracurricolare è stato sospeso o terminato in anticipo”. Torna in gioco l’idea di aprire il “reddito di ultima istanza” agli stagisti, o l’obiettivo potrebbe essere raggiunto anche prevedendo un sostegno ad hoc solo per gli stagisti?Se c’è una cosa che il decreto marzo ci ha insegnato, è che dividere gli ammortizzatori sociali in mille rivoli serve solo a creare confusione e ritardi burocratici a non finire. Come dico da ben prima del Covid, abbiamo bisogno di strumenti universali contro la disoccupazione, che non facciano troppe distinzioni fra categorie e diano risposte soprattutto alle fasce più deboli. Per questo penso che il reddito di ultima istanza o di emergenza, che dir si voglia, debba essere rivolto anche agli stagisti.L’ordine del giorno impegna il governo ad agire “attraverso il primo strumento normativo utile”: quale sarà questo primo strumento? E di conseguenza, che orizzonte temporale abbiamo di fronte prima che, auspicabilmente, gli stagisti possano avere accesso a un sostegno economico?Il cosiddetto “decreto aprile”, che dovrebbe uscire a giorni, conterrà la seconda tranche di aiuti economici a famiglie e imprese. Questo è il primo strumento normativo utile, non si può rinviare oltre. Se come speriamo il governo inserirà qui dentro gli aiuti ai tirocinanti, per erogarli serviranno i tempi tecnici che l’Inps in qualche modo ci ha già fatto vedere per gli autonomi. Volendo essere ottimista, parliamo della seconda metà di maggio.Per gli stagisti curricolari, che restano esclusi dal raggio d’azione di questo ordine del giorno, cosa si potrà fare?Per loro il problema è soprattutto l’interruzione del percorso formativo, che in molti casi è indispensabile per conseguire il titolo di studio. Coloro che possono proseguire in modalità agile dovrebbero poterlo fare, mentre per chi lavorava in aziende che riapriranno il 4 maggio, dovrebbe esser consentito loro di tornare con tutte le protezioni e le garanzie date ai lavoratori dipendenti.Il vostro ordine del giorno fa anche riferimento alla urgenza di permettere che tutti gli stage le cui caratteristiche rendano possibile la prosecuzione da remoto possano effettivamente essere svolti in tale modalità: vi sono Regioni che ancora non lo permettono. Come si può fare per “convincere” quelle che ancora sono reticenti ad autorizzare questa modalità?Si tratta di una posizione poco sensata che danneggia tutti. Credo che nei prossimi giorni tutti se ne renderanno conto e che dopo il 4 maggio sarà impossibile non consentire la prosecuzione da remoto.Che feedback ci sono stati rispetto a questa “battaglia” per assicurare un sostegno economico anche agli stagisti, dentro e fuori dalle aule parlamentari? E’ verosimile che si possa trovare un accordo bipartisan?Ho avuto il sostegno di tante colleghe e colleghi, anche dell’opposizione. La spinta più grande però sta arrivando proprio dagli stagisti, hanno scritto in tantissimi per incoraggiarmi e so che stanno pressando tanti altri colleghi parlamentari. Sarà soprattutto grazie a loro se arriveremo in fondo a questa battaglia.La parlamentare 5stelle molisana Rosalba Testamento ha reso noto nei giorni scorsi che è stato accolto un suo ordine del giorno che impegna il governo a un “incremento delle risorse previste nel «Fondo per il reddito di ultima istanza», assicurandone l'accesso anche agli stagisti e ai tirocinanti operanti in ministeri, enti locali e aziende private”. Questo ordine del giorno è complementare al vostro, ne avevate parlato? E sopratutto, collaborerete nei prossimi giorni?Non ne avevamo parlato ma direi che sono complementari. Credo si debba collaborare con tutti per questo obiettivo, dentro la maggioranza e oltre.Contemporaneamente alcune Regioni si stanno muovendo in autonomia: Emilia Romagna e Calabria, ma anche Toscana e Lazio, stanno agendo – in maniere diverse – per prevedere un sostegno economico agli stagisti dei loro territori. E’ una buona cosa? Ogni riconoscimento della dignità del lavoro degli stagisti è una buona notizia, ma spero che queste iniziative non generino l’effetto inverso: ovvero che il governo scarichi sulle regioni questa responsabilità. In questo modo la tutela sarebbe diversa da regione a regione e qualcuno potrebbe addirittura non averla. Anche per questo mi auguro che la Ministra Catalfo non perda tempo e inserisca le tutele per i tirocinanti nel decreto che uscirà a breve: se lo avesse fatto nel decreto precedente, non correremmo il rischio di questa ennesima disparità territoriale.

Tre neodottori raccontano il giorno della loro laurea in emergenza Covid tra aule digitali, qualche ritardo e feste rimandate

La discussione di laurea è senza dubbio una delle tappe più importanti nel percorso formativo di una persona. Ognuno ricorda con esattezza quel giorno, ma anche tutte le settimane che lo hanno preceduto. Gli incontri con il proprio relatore, la bozza della tesi da revisionare, le file in copisteria per stamparla, la consegna dei documenti in segreteria e tutti i preparativi per i festeggiamenti: ricevimento, abito, corona d’alloro e inviti. Giornate frenetiche e indimenticabili in cui si corre a destra e sinistra tra casa, università e copisteria. Poi l’arrivo del fatidico giorno. L’attesa nell’aula magna, la relazione davanti a tutti, la stretta di mano alla commissione. L’uscita dall’ateneo tra applausi, coriandoli e abbracci di amici e parenti. Ma quando invece non è possibile uscire per via dell’emergenza sanitaria, come si vivono questi momenti? E soprattutto: come avviene una discussione di laurea quando l’università è chiusa?La Repubblica degli Stagisti ha analizzato la settimana scorsa la questione dando la parola agli atenei, che hanno spiegato come avvengono le discussioni via web. Ora però ha cercato di comprendere cosa significa discutere tramite piattaforme online intervistando tre studenti di tre diversi atenei italiani. «Io e i miei compagni di corso, dopo la dichiarazione dell’emergenza nazionale da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, avevamo già capito che qualcosa sarebbe cambiato. Sospettavamo che la nostra discussione non sarebbe avvenuta in maniera tradizionale» racconta Federico Palisca, 22 anni, neo laureato in Scienze e tecniche della comunicazione grafica multimediale, all’ Istituto Universitario Salesiano di Venezia.E così è stato. Per Federico, e per tutti i laureandi d’Italia, in pochissimo tempo la situazione è cambiata. Con la pubblicazione del decreto Cura Italia tutti gli atenei sono stati chiusi e si è passati alla didattica online. «Il cambiamento era già nell’aria. L’arrivo della mail dell’università in cui mi veniva comunicato che la mia discussione si sarebbe tenuta online non mi ha colta di sorpresa: già lo immaginavo» dice Chiara Lorenzon, 26 anni, neo laureata in Lingue moderne per la comunicazione e la cooperazione internazionale all’università degli studi di Padova.Le università hanno quindi inviato una serie di comunicazioni ai propri iscritti per avvertirli dei cambiamenti e fornirgli così tutte le indicazioni necessarie per lo svolgimento della discussione.«La comunicazione è stata impeccabile. Ci sono state però delle inevitabili evoluzioni» spiega il neo dottore. «Ci è arrivata una prima mail, a inizio febbraio, in cui ci veniva detto che la sessione di marzo si sarebbe svolta regolarmente, secondo le normali procedure. Qualche giorno dopo ci hanno detto che potevamo scegliere: o laurearci online o in sede, ma solo in presenza di due persone. Poi, dopo due giorni, ci hanno detto che le lauree si sarebbero svolte online per tutti gli studenti».Anche per Chiara Lorenzon non ci sono stati problemi di comunicazione con l’ateneo. Lei, come Federico Palisca, ha ricevuto tutte le indicazioni in maniera puntuale: «Mi hanno avvertita, in via ufficiale, una settimana prima della data della mia discussione, che era prevista per il 18 marzo. Tutte le comunicazioni sono arrivate attraverso mail puntuali contenenti tutte le istruzioni. Oltre agli uffici competenti, anche i membri della commissione sono stati molto disponibili. Con la mia relatrice, i giorni precedenti, abbiamo fatto delle prove tecniche su Zoom, il sistema con il quale poi ho discusso» racconta la neo dottoressa. Per entrambi, il cambio di modalità di discussione non ha portato a uno stravolgimento del calendario. Tutti e due si sono laureati nel giorno previsto prima che scoppiasse l'emergenza: lui il 12 marzo, lei il 18.Alcuni laureandi però hanno dovuto modificare i loro programmi perché il calendario delle discussioni ha subito delle variazioni. È il caso di Elena Bizzaglia, 26 anni, che si è laureata il 31 marzo in Medicina e chirurgia all’università La Sapienza di Roma: «Avrei dovuto discutere il 24 marzo. Poi però, appena scoppiata l’emergenza, io e i miei colleghi abbiamo ricevuto una mail in cui ci veniva detto che la sessione sarebbe stata rinviata, senza fornirci una data precisa. Nei giorni successivi sono arrivate altre comunicazioni in cui ci veniva fornito il calendario delle discussioni. Così ho saputo che mi sarei laureata il 31 marzo». Avvertiti i laureandi, le università hanno predisposto le piattaforme. Ogni ateneo è stato libero di scegliere gli strumenti che riteneva più opportuni. Alcuni, come nel caso delle università di Elena e Federico, hanno optato per Google Meet. L’università di Chiara invece ha preferito utilizzare Zoom Cloud Meeting.«Mi sono collegato con i membri della commissione attraverso Google Meet» spiega ancora Palisca. «Tempi e modalità sono stati gli stessi delle normali discussioni. Ho esposto la mia tesi in dieci minuti, poi relatore e contro relatore hanno fatto ognuno la sua domanda. Concluse le domande mi sono scollegato dalla chiamata per far deliberare la commissione. Dopo qualche minuto mi hanno richiamato per comunicarmi il voto. Solitamente ti chiedono di andare fuori dall’aula fisica, a me han chiesto di andare fuori dall’aula digitale. Essendo la mia prima laurea... non posso fare confronti!», scherza, «Ma discutere nel soggiorno di casa ti toglie molta ansia. Un conto è esporre in un’aula universitaria, con tutta commissione davanti, alla presenza di amici e parenti. In casa, con solo i tuoi familiari più stretti, vivi tutto più tranquillamente».«Quel giorno dovevamo discutere in tre: io e altri due ragazzi. Ero la prima. Con Zoom, quella che sarebbe stata la mia aula fisica si è trasformata in un’aula virtuale.  Tutti e tre ci siamo collegati mezz’ora prima dell’inizio della discussione» ricorda Chiara Lorenzon. «Mentre io esponevo la mia tesi, gli altri due laureandi erano nella sala d’attesa di Zoom.  Oltre alla commissione, erano collegati anche i tecnici che controllavano il funzionamento della piattaforma».E come ogni laurea che si rispetti, terminata la discussione arriva il momento dei festeggiamenti. Nonostante le difficoltà Federico Palisca ha deciso di festeggiare ugualmente, senza rinunciare a nulla, o quasi. «Ho festeggiato con i miei genitori e mio fratello. Abbiamo mangiato un dolce e stappato una bottiglia di vino. Tutti vestiti per l’occasione, abbiamo fatto anche le foto di rito» racconta:  «I miei nonni per ovvi motivi non hanno potuto assistere. Per renderli partecipi, essendo un videomaker, ho allestito un set con luci e camere e ho ripreso tutta la discussione. Mi sono auto filmato poi ho mandato loro il video. Così anche io posso dire di avere il classico filmino della laurea. Discutendo in casa, però, ti manca il momento in cui esci dalla facoltà e pensi “sono finalmente libero”. Manca anche il far festa con tutti. Cercherò di recuperare finita l’emergenza».Anche Chiara Lorenzon ha discusso in casa con i suoi genitori: «Ho festeggiato tra telefonate e video chiamate di amici e parenti.  Con tutti loro ho brindato virtualmente, in attesa di farlo dal vivo». Per entrambi adesso è difficile immaginare un futuro. Quel che è certo però è che quando tutto questo sarà concluso sono pronti a mettersi in moto per proseguire gli studi o tuffarsi nel mondo del lavoro. Discorso diverso vale per Elena Bizzaglia. Il decreto Cura Italia, per arginare l’emergenza sanitaria, ha stabilito che la laurea in medicina sarà definitivamente abilitante alla professione medica, immettendo così nel sistema sanitario nazionale l'energia di nuovi medici. Lei ne è, situazione permettendo, molto felice. Luisa Urbani

Già 500mila studenti universitari seguono le lezioni da casa, il ministro promette: «Supporteremo gli atenei che hanno investito in tecnologia»

Gaetano Manfredi, classe ’64, dal gennaio di quest'anno è ministro dell’università e della ricerca. La Repubblica degli Stagisti lo ha intervistato sui provvedimenti del decreto "Cura Italia" che hanno interessato i laureati in medicina, con l’introduzione della laurea abilitante, e la gestione dell’emergenza da parte del mondo universitario, con lo stanziamento di un “Fondo per le esigenze emergenziali del sistema dell’università, delle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e degli enti di ricerca” pari a 50 milioni di euro.Il provvedimento della laurea abilitante permetterà a 10mila neo laureati di accedere alla professione. Quando saranno operativi?Lo saranno in tempi brevi, che dipenderanno dai vari ordini dei medici. Le procedure si stanno sveltendo, anche perché gli 8mila neo laureati che si erano iscritti all’esame di Stato sono già in possesso della certificazione e di tutti i requisiti. Ora è solo una questione burocratica.Con quali modalità i nuovi medici saranno immessi nel servizio sanitario nazionale?Si stanno preparando una serie di bandi nelle regioni e nelle unità territoriali. I neo medici potranno operare come sostituti di medicina generale, nelle guardie mediche, nella continuità territoriale. Potranno dare sostegno alla medicina di territorio, che ha un ruolo molto importante nella risposta all’epidemia, perché la maggior parte dei malati sta a casa. Noi vediamo solo la punta dell’iceberg, ma esiste un’altra prima linea, che è anch’essa importante. Perché dalla bozza di decreto è sparito lo stanziamento di 5mila contratti di formazione specialistica aggiuntivi?Non è stato possibile inserirlo per motivi di tipo contabile: quello delle borse di specializzazione, infatti, è un investimento pluriennale, mentre il provvedimento emergenziale prevede una copertura solo per il 2020. Tuttavia stiamo lavorando sulla possibilità di ampliare gli stanziamenti nel prossimo bando, fermo restando che le 9mila borse già previste sono il numero più alto messo in campo negli ultimi anni. Dovremo trovare un equilibrio, perché abbiamo un doppio canale: da una parte le scuole di specializzazione, dall'altra i corsi di medicina generale, che l’epidemia ha dimostrato essere un grande tema. Quali saranno le prime destinazioni del nuovo fondo per l’emergenza destinato all'università?Cercheremo innanzitutto di supportare le università che hanno fatto investimenti in tecnologie e che oggi sono impegnate nella didattica a distanza con numeri enormi. Dal nostro monitoraggio, a inizio settimana scorsa abbiamo registrato già ben 500mila studenti che seguivano i corsi di laurea online, 5mila laureati e varie decine di migliaia gli esami. Poi guarderemo alle altre necessità, a partire dalla ricerca, per questo abbiamo coinvolto anche i vari Collegi. Ci sono alcune categorie il cui ruolo non è forse abbastanza riconosciuto? Probabilmente sì, e ho lavorato molto sulla questione con la Protezione civile e la task force per cercare risorse ulteriori. Ad esempio ogni anno abbiamo soli 75 specializzati in malattie infettive: un numero irrisorio perché probabilmente si è pensato che il problema delle malattie infettive fosse superato. Oggi invece ci accorgiamo che gli infettivologi sono importanti e che sono state fatte valutazioni sbagliate. La natura ci dimostra ancora una volta che si torna sempre al punto di partenza. Quale sarà la prima sfida del post emergenza?Ora che bisogna fronteggiare l’emergenza tutti pensano alla ricerca farmaceutica, al vaccino, alle tecniche per il controllo. Uno dei grandi temi del dopo Coronavirus sarà ripensare le priorità della politica di investimento per rendere il mondo più sicuro. Dopo questa crisi globale, forse l’evento più importante dopo la seconda guerra mondiale, bisognerà fare una riflessione profonda. Il ruolo della formazione e della ricerca deve essere centrale nella società contemporanea, in un mondo globale sempre più fragile.   Intanto dobbiamo aspettarci nuove misure restrittive in tempi brevi? È una battaglia quotidiana, speriamo che le misure adottate finora riescano a impattare, ci sono già segnali positivi. Dobbiamo adottare misure che abbiano senso e non farci prendere dal panico. Ad esempio la chiusura dei supermercati la domenica rischia di rivelarsi una misura peggiorativa, perché si affollano ancora di più e si crea ansia. Tenere a casa sessanta milioni di persone non è facile ed è importante gestirne anche la psicologia.Rossella Nocca  

Coraggio, determinazione e intelligenza emotiva: ragazze, ecco come farsi strada sul lavoro

Donna, manager, mamma. Nel tempo libero, mentor per giovani universitari. Isabella Falautano è Chief Communication e Stakeholder Engagement Officer di illimity, la banca innovativa fondata da Corrado Passera, che dallo scorso luglio fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti. Falautano ha esperienze in istituzioni internazionali e think tank, cui ha fatto seguito un lungo percorso in una multinazionale, Axa. Come si fa a tenere tutto insieme? In questa intervista con Repubblica degli Stagisti, la dirigente di illimity ripercorre la propria carriera. Una chiacchierata informale, lontana dallo storytelling, e ricca di spunti per le giovani che si apprestano a entrare in azienda. E che si chiude con un consiglio: mai rinnegare i valori dei vent'anni.  Quali sono le motivazioni che l’hanno sostenuta nel suo percorso professionale? Quello di adesso è il punto di atterraggio di una navigazione esistenziale e professionale cominciata molto tempo fa. Oggi sono molto fiera, da manager donna, di far parte della dirigenza di una realtà che sta tracciando percorsi nuovi in Italia, a dimostrazione che anche da noi si può, con le giuste idee, persone e partner. Ma ci sono dei fili rossi che ci portiamo dietro nel nostro percorso, e vale anche in ambito lavorativo. Nel caso di Axa, il tema principale per me era quello dell’importanza del merito. Lo stesso che ho ritrovato in illimity. E le motivazioni? Ognuno di noi ha dei cicli professionali e di vita che deve imparare a riconoscere. Appena si entra in un nuovo percorso lavorativo ci si trova su una curva di apprendimento accelerata che col tempo va a consolidarsi e, dopo un po’, inevitabilmente, comincia a rallentare. Penso che ognuno di noi debba imparare a riconoscere i propri cicli di apprendimento, le proprie curve: quando cominciano ad appiattirsi, è il momento di muoversi. Cioè di cambiare azienda? Non necessariamente. Se l’azienda è molto grande, e il management lo consente, ci si può reinventare nella propria. Il mio percorso in multinazionale è durato diciott'anni, durante i quali ho avuto la possibilità di cambiare ruolo e crescere. Non c’è niente di più pericoloso che restare nelle comfort zone, quelle in cui si smette di imparare, soprattutto quando si è giovani. Il tempo vola: e, nonostante il grande affetto e il legame che si può creare per un gruppo, a un certo punto arriva il momento di guardarsi intorno. Però lei ha cambiato. Bisogna avere coraggio anche quando si ricoprono ruoli molto consolidati, come quello che avevo io. Se la leggiamo nell’ottica delle curve di apprendimento, una decisione del genere acquista senso. Dopo diciotto anni avevo voglia di ricominciare a imparare a fare cose nuove, di sviluppare progetti innovativi, quello che sto facendo in illimity. A rendermene conto mi hanno aiutato due snodi illuminanti avvenuti al tempo dei miei trent’anni: uno alla Presidenza del consiglio dei ministri e un altro alla World Bank. Nelle istituzioni impari a connettere “pezzettini” apparentemente scollegati tra loro per guardare il quadro d’insieme. La capacità di filtrare deve necessariamente far parte della cassetta degli attrezzi, nella società dell’informazione in cui viviamo.Che altro c’è? L’esperienza a Washington è stata importante per imparare a essere resiliente. Arrivare in una metropoli oltreoceano parlando un inglese corretto ma, in fondo, scolastico ha significato trovarsi in un mare freddo e dover imparare a nuotare per forza. Un’altra grande lezione: non arrendersi alle prime difficoltà. Da donna, o meglio da persona, sono contenta di aver camminato solo sulle mie gambe, faticando ma cercando di trovare la gioia e il bello del fare le cose. Ho imparato a tener duro, con tanta determinazione. E anche a riconoscere le mie vulnerabilità, per farne un’arma, perché significano intelligenza emotiva ed empatia: doti fondamentali in quest’epoca di complessità e rapporti liquidi. In un mondo sfuggente, avere la capacità di leggere i contesti e capire le persone diventa particolarmente importante, forse anche più di prima. Alla fine è diventata manager. Tra gli executive la prevalenza è storicamente maschile. I tempi stanno cambiando, certo. Ma non pensa che lo stile dirigenziale delle donne tenda a imitare quello degli uomini? Insomma, che più che trovare la propria strada, si tenda a riproporre il modello che si conosce?Come nel caso degli uomini, anche tra le donne si riscontrano stili manageriali diversi. La chiave sta nel valorizzare l’intelligenza emotiva: perché alla fine aziende e istituzioni sono fatte di persone, ciascuna col proprio bagaglio di aspettative, preoccupazioni e dubbi. E se in qualche modo si riesce ad attivare non solo la competenza, ma anche a stabilire un contatto con il soggetto che si ha di fronte, tutto diventa molto più agevole. Passiamo tante ore al lavoro: è importante, laddove possibile, riempire questo tempo di qualità non solo professionali, ma umane. L’intelligenza emotiva caratterizza anche tanti uomini, parte del femminile che alberga in ciascuno di noi. Quello che è certo è che l’emotività fa paura:  e dal mio punto di vista, essere un ceo non significa solo essere un Chief Executive Officer, ma anche un “Chief Emotional Officer”.  Ho assistito a un panel a cui partecipava come relatrice, recentemente, e una sua frase  mi ha colpito: “Diamo per scontato che le ragazze più giovani abbiano le idee chiare, ma non è così”. Cosa intendeva? Tanto tempo fa mi ripromisi una cosa a cui ho cercato di tener fede: non dimenticarmi di com’ero a vent'anni, non scordare i dubbi, le insicurezze, né quello che contestavo. Perché è troppo facile criticare quando si è nella fase ascendente della carriera per poi, guadagnate certe posizioni, far calare l’oblio. Non ci si deve trasformare in quello che si è contestato allora. Non voglio dimenticarmi com’ero.  A vent’anni non sapevo come sarei stata a quaranta, non funziona così: bisogna andare avanti per tentativi, provare con determinazione. E può anche andare male; all’improvviso si può capire che la strada non era quella. Insomma, i percorsi possono non essere lineari: ed è importante non dimenticarselo, soprattutto quando si hanno di fronte interlocutori giovani. Neanche noi sapevamo cosa avremmo fatto, e chi si racconta così come minimo è più un unicum che la norma. Ecco perché un consiglio, un instradamento da parte di chi è più esperto possono essere importanti: quello che è ovvio per noi spesso non lo è per i giovani. Bisogna investire tempo per raccontare ai ragazzi cose magari per noi scontate. Faccio un esempio tratto dalla mia esperienza di mentoring a universitari. Lei è una studentessa calabrese, bravissima, iscritta all’università a Roma. Un giorno mi dice: “Sei stata l’unica a dirmi che io, donna del sud, potevo veramente farcela. Tutti mi consigliavano di lasciar perdere, laurearmi e poi tornare al paese, che tanto il titolo non serve a niente. Mi hai convinto a non mollare”. Il consiglio a me poteva sembrare ovvio, non lo era. A quell’età c’è bisogno di quei piccoli incoraggiamenti che oggi ci sembrano superflui. Spesso si dichiara di cercare un equilibrio tra privato e carriera. È davvero possibile trovare un bilanciamento?È il grande interrogativo che si pone ciascuno di noi. Penso che ci siano diverse fasi nella carriera e nella vita privata di una persona, e le priorità si scelgano a seconda di quella in cui ci si trova. Partiamo dal fatto che avere un lavoro soddisfacente non significa solo conquistare potere e carriera, ma è parte dell’identità di un individuo. Direi che una chiave fondamentale sta nel trovare i giusti compagni di percorso: e per questo, non nego serva anche un po’ di fortuna. Ma la fortuna bisogna anche cercarla, fermarla, trattenerla prendendola “per le orecchie” a volte. Anche nella vita privata. Questo è vero, a maggior ragione, per le donne che vogliono anche avere una carriera: è importante trovare un partner incoraggiante e tollerante. Ed esserlo reciprocamente. Tutto qui? È chiaro che per le donne esiste un altro tema: in certi contesti conta ancora troppo la quantità di tempo che si trascorre in ufficio. Si guarda poco alla qualità, e quando la presenza fisica determina buona parte del percorso di carriera, le donne tendono ad avere più problemi: lo dico perché ho un bimbo piccolo. Ma qui conta la scelta che si fa: bisogna cercare percorsi, luoghi dove si valuta il raggiungimento degli obiettivi e non quante volte un dipendente resta alla scrivania fino alle undici di sera. In questo senso illimity dà piena valorizzazione al merito e ai risultati che si portano. Personalmente, ho sempre scelto posti di lavoro in cui questa componente fosse molto forte. Poi, ribadisco, a casa è importante avere qualcuno che ti sostenga.Sintetizzo: il posto di lavoro va scelto, non subìto.  Direi che è fondamentale avere un’opinione sulle cose, soprattutto quando si ricoprono ruoli manageriali, e scegliere ambienti coerenti con i propri valori e obiettivi di vita. Non conta solo lo stipendio: a un certo punto bisogna concedersi il lusso di scegliere le aziende anche sulla base di queste indicazioni. Di valutare qual è l’anima dell’azienda. Si apre una nuova decade. Qual è la dritta che darebbe a una ragazza che oggi ha venticinque anni e sta finendo l’università? Sono due. La prima è avere il coraggio di farsi avanti, di buttarsi. Le donne, anche brave, quando c’è una posizione libera non si propongono. Pensano “Ma non ho proprio tutti i requisiti…” Il punto è che non si può essere perfetti al 100% per ogni posizione, conferenza, progetto. Bisogna farsi avanti anche quando si è pronti all’80%: nessuno lo è mai totalmente. E non farsi limitare da forme di autocensura: le abbiamo tutti, ma spesso non le mettiamo a fuoco. Siate molto franche con voi stesse, valutate se quell’esitazione è una forma di censura, una paura, oppure un problema reale. E poi, trovatevi persone di esperienza in grado di darvi consigli. Quelli della mia generazione hanno già fatto un bel pezzo di strada, ed è importante che inizino a restituire qualcosa. Certo, l’esperienza non si impara sui libri, ma può arrivare anche da qualche chiacchierata. Proponete a qualcuno che stimate di prendere un caffè: i mentor non cascano dagli alberi. Sono un po’ come la fortuna: bisogna sceglierseli e farsi avanti. Io, a questa cosa, ci credo molto. intervista di Antonio Piemontese

Francesco, studente di Filosofia, di notte fa il barman: «Lavoro per riuscire a arrivare alla laurea»

Di notte barman, di giorno studente alla magistrale di Filosofia nell'ateneo della capitale Roma Tre. Ha 26 anni e un diploma al liceo scientifico Francesco Pellas, la cui vita si divide tra esami all'università e serate al locale, senza contratto, a preparare cocktail per altri ragazzi: «Sono lì da tre anni e ormai ho imparato un mestiere, so come si sta al bancone». Un motivo in più per proseguire con un 'lavoretto' che gli dà da vivere mentre frequenta le aule universitarie – e come lui tanti altri: gli studenti lavoratori stimati oggi in Italia sono 206mila, nel cui conteggio rientrerebbero anche gli stagisti con rimborso, considerando che viene calcolato chiunque abbia svolto almeno un'ora di lavoro retribuita nella settimana di riferimento. Francesco per il momento non pensa di lasciare quel lavoro al bar, almeno fino alla laurea, prevista per il prossimo autunno. Hai potuto godere in questi anni di un sostegno pubblico per i tuoi studi – una borsa di studio?Sì, ne ho avuta una per tre anni, dal primo anno della triennale – sempre in Filosofia – fino alla laurea breve. Rientravo tra i requisiti con un Isee al di sotto dei 23mila euro e i crediti in ordine. Risultavo inoltre, come tuttora, a carico dei miei genitori, una famiglia 'piccolo borghese' composta da un pensionato e una insegnante di sostegno precaria: ma siamo cinque figli di cui solo una è già indipendente e fuori casa. Gli altri sono ancora tutti a scuola o all'università. Riuscivi a coprire tutte le spese? Con i 1900 annuali della borsa di studio riuscivo a pagarmi i trasporti – l'abbonamento ai mezzi pubblici costa 250 euro – e poi i libri di testo, che comportano una spesa sui 300 euro circa, e i pasti a mensa. A fine anno avanzava anche qualcosa, considerando che chi è borsista è in automatico anche esente dalla tassazione universitaria. Poi cos'è successo? Cominciavo a sentire l'esigenza di potermi autodeterminare: le uscite con gli amici, una vacanza d'estate. Ai miei non potevo né volevo chiedere nulla dovendo loro già sopperire alle esigenze di tutti noi figli. Per caso mi è stato offerto questo lavoro come barman. Ho accettato, e a quel punto ho perso un po' di concentrazione verso lo studio. Sono rimasto indietro con i crediti, avrei dovuto sostenere circa otto esami ma sono riuscito a superarne solo cinque. E al primo anno fuori corso ho perso la borsa di studio.Avresti potuto ritentare l'anno successivo?No, perché in Italia la legge proibisce la richiesta della borsa di studio a partire dal secondo anno fuori corso. Ho anche tentato con il reddito di cittadinanza ma sono fuori dai requisiti in quanto ancora all'interno del nucleo familiare. A quel punto, quando subentra la necessità di lavorare per proseguire gli studi, scatta un meccanismo che diventa un cane che si morde la coda perché per potermi permettere l'università posso dedicare sempre meno tempo ai libri, rischiando così di finire ulteriormente in ritardo e fuori corso. Il mio caso è esemplare: alla triennale, con la borsa di studio, sono riuscito a laurearmi nei tempi previsti, e con 110 e lode. Per di più andando fuori corso subentra anche l'obbligo delle tasse universitarie. Esatto. Nel mio caso sono circa 600 euro annuali a cui si aggiungono 150 euro di mora per chi paga oltre la scadenza. Una spesa quest'ultima che ho scelto io di affrontare perché – a ottobre, quando si versa la quota – non potevo permettermi di pagare quella somma tutta insieme, e così l'ho fatta slittare subendo però il rincaro. Con il lavoro da barman ti mantieni? Guadagno circa 6-7 euro l'ora, a giornata sui 40-50 euro. A fine mese, a seconda dei turni, racimolo intorno ai 500 euro. Tra studio e lavoro, a fine giornata, sarai parecchio stanco. Sì, soprattutto perché al bar faccio due o tre turni a settimana che iniziano alle 19 e vanno avanti per sette ore. Poi mi aspettano almeno due autobus notturni per rientrare a casa, e per il tragitto impiego un'ora. Finisce che vado a dormire alle 4, stressato, e la mattina devo mettermi a studiare. Ho la media del 28 ma non è facile. In più sono impegnato con l'associazione studentesca Link, perché voglio mantenermi attivo sul fronte della politica. Anche i tuoi amici sono nella tua condizione? In tanti, specie i fuorisede che al tutto devono aggiungere le spese di soggiorno, con affitti alle stelle che arrivano a 500 euro mensili per una stanza singola. Qualcuno mi chiede di mettere una buona parola con il proprietario del mio locale, perché anche a loro servirebbe un lavoretto come il mio. Cosa pensi della proposta di Link circa l'introduzione di un reddito di formazione? Sono d'accordo, a patto che vi sia alla base un criterio di redistribuzione e che non sia riconosciuto anche a chi non ne ha bisogno, ai super ricchi. I requisiti devono essere equi, così come per le borse di studio: è ingiusto ad esempio che tra i parametri vi sia l'Ispe, ovvero il riferimento al patrimonio immobiliare. Conosco persone in difficoltà economiche che hanno ereditato un immobile, magari in zone centrali della città e quindi di alto valore, che blocca loro l'accesso alla borsa di studio pur non avendo nessuna disponibilità finanziaria. Così come non si può pensare che chi ha un Isee di 23mila euro non sia in condizioni complicate. Anzi, chi si aggira intorno a quelle cifre, è penalizzato rispetto ai più poveri che riescono invece a incassare la borsa. Francesco, sei uno studente brillante: come vivi la necessità di essere costretto a lavorare? Sono arrabbiato perché devo lavorare per pagarmi le tasse, e anche di corsa, e finanziarmi gli studi invece di passare il tempo a studiare. Quello che penso è che tanta gente non è aiutata da nessuno, né dallo Stato né dal ministero: da nessuno. Come vedi il tuo futuro?Il mio sogno è diventare un insegnante di Storia e filosofia alle superiori. E ci sarà finalmente anche un concorso pubblico, la prossima primavera. Peccato che io non potrò partecipare perché, con il ritardo accumulato negli studi, non potrei arrivare alla laurea prima della fine del 2020. Dovrò per forza aspettare il prossimo turno.Ilaria Mariotti