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Indennità e stage, in Veneto chi interrompe prima non sempre viene pagato

Interrompere uno stage e non essere pagato. È successo a Cristian Spolaor, 42enne disoccupato di lungo periodo, che si è rivolto al centro per l'impiego di Mirano, in provincia di Venezia, per cercare un lavoro. Qui a febbraio 2015 gli è stato offerto uno stage di reinserimento lavorativo presso una ditta di ricambi per automezzi pesanti, nell'ambito di un programma regionale specifico di promozione di tirocini di inserimento lavorativo a favore di lavoratori adulti. Sei mesi con un rimborso spese - 400 euro ogni 30 giorni - elargito da Veneto Lavoro, l'ente che da quasi vent'anni fornisce supporto tecnico-progettuale e servizi in tema di progettazione, gestione e valutazione delle politiche del lavoro. Dopo otto giorni di stage, compiuti dall'11 al 20 febbraio, Cristian rinuncia e chiede il corrispettivo per il breve periodo trascorso in tirocinio, ma i soldi non arrivano.Il rimborso negato: «Ho chiesto sia al centro per l'impiego di Mirano che a Veneto Lavoro i soldi che mi spettavano, pari a 100 euro, visto che comunque ho avuto dei costi sia per mangiare che relativi al trasporto» racconta Cristian alla Repubblica degli Stagisti: «Mi ha risposto via email un responsabile di Veneto Lavoro, il quale sosteneva che avessi letto male le Faq sui tirocini pubblicate sul sito della Regione». Eppure proprio nelle Faq, che fanno riferimento alla deliberazione della Giunta regionale n° 1324 del 2013, è scritto chiaramente che nei casi in cui «si debba riconoscere l’indennità per periodi di tirocinio inferiori al mese (es. il periodo di tirocinio concordato non corrisponde a multipli di mese intero, oppure il tirocinio venga interrotto o il tirocinante si assenti senza giustificazione) l’indennità può essere riparametrata su base settimanale riconoscendo 100 euro alla settimana o 75 euro se con buoni pasto o servizio mensa. Tali importi sono ulteriormente ridotti del 50% se il progetto prevede un monte ore fino a 80 ore mensili». Invece secondo il funzionario di Veneto Lavoro «io non avrei diritto ad alcun rimborso», denuncia Cristian, «perché in un periodo inferiore a 16 giorni non si instaurerebbe tra il soggetto ospitante e il tirocinante un rapporto di formazione per cui si giustifichi l'erogazione dell’indennità di partecipazione. Ma questo non era scritto sul documento che ho firmato e nessuno mi ha fornito un regolamento sul quale fosse indicato». In effetti non risulta alcun limite all'erogazione del rimborso non solo sulla documentazione fornita alla Repubblica degli Stagisti da Cristian, ma nemmeno nel testo della deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 2420 del 16 dicembre 2014, incluso l'allegato A, cioè il programma regionale di «Interventi di politica attiva del lavoro: promozione di tirocini di inserimento lavorativo a favore di lavoratori adulti» che finanziava lo stage.La soluzione del “mistero” non sta infatti in quella deliberazione, ma nella sua premessa. Dopo aver invano provato a contattare la Regione Veneto, inseguendo il portavoce del governatore Zaia per settimane senza purtroppo riuscire ad avere risposte, è il direttore di Veneto Lavoro Tiziano Barone a dare alla Repubblica degli Stagisti una spiegazione. «Il provvedimento prevedeva, come insieme di regole di gestione delle risorse, la normativa già impiegata per “Welfare to Work”, programma di Italia Lavoro», spiega Barone. Infatti, nella premessa alla Dgr, l'assessore Elena Donazzan proponeva «di incaricare i centri per l'Impiego (Cpi) del Veneto di attivare detti tirocini con le stesse modalità e procedure utilizzate per i programmi “Welfare to work” di iniziativa ministeriale, in quanto tali procedure hanno dato prova di efficienza e affidabilità». Il legislatore ha quindi deliberato «di considerare, quale parte integrante e sostanziale del presente atto, quanto riportato in premessa», che diviene quindi legge. A questo punto bisogna allora andare a controllare cosa prevedeva “Welfare to work” in Veneto. «Nell'ambito di quel programma non veniva assegnata l'indennità sotto i 16 giorni di presenza. Per questo Cristian Spolaor non ha potuto ottenere il rimborso per i giorni in cui è stato impiegato», spiega Barone. «La delibera è stata fatta a fine 2014, in periodo festivo, per cui hanno utilizzato l'impostazione più semplice: il rinvio organizzativo a quel programma. Normalmente, per gli altri tirocini, questo non accade. È probabile che il legislatore non avesse considerato questo elemento». Insomma, in Giunta si è peccato di disattenzione. Tant'è che nella stessa premessa alla Dgr 2420 si fa riferimento, per quanto riguarda le indennità, ad un'altra Dgr, la numero 1324 del 2013, che indica l'obbligo di corrispondere un'indennità ai tirocinanti senza limitazioni temporali.«Probabilmente non vedrò mai quei soldi, però voglio che tutti sappiano cosa succede se si interrompe uno stage prima delle due settimane», dice Cristian con amarezza. «Al di là di tutto, ho comunque avuto dei costi, soprattutto in benzina, in quanto l'azienda che mi ha ospitato per lo stage dista 21 km dalla mia abitazione. In più dovevo pagarmi la mensa. Ho speso in otto giorni circa 60 euro a fronte di un'indennità che, riparametrata al periodo effettivo di stage, sarebbe dovuta essere di 100 euro. Negarmi quei soldi, da parte di persone che per qualsiasi spesa richiedono un rimborso, è una vera cattiveria. Inoltre, essendo un disoccupato di lunga durata, non ho ammortizzatori sociali. Sarebbe bastato che, al momento della mia presentazione al centro per l'impiego o alla stessa ditta che mi ha ospitato, mi avessero avvisato quando ho chiesto di sapere quanti giorni di preavviso dare in caso di rinuncia allo stage».Ma, al di là del mancato versamento dell'indennità, ha davvero senso proporre uno stage ad un quarantenne? «Il tirocinio è una forma semplice ma fondamentale in una politica di accompagnamento al lavoro» risponde il direttore di Veneto Lavoro: «Nel caso di un quarantenne come Spolaor, bisogna capire se il disoccupato necessita di imparare un mestiere attraverso un rinforzo formativo che può passare dallo stage, o se deve semplicemente essere aiutato a cercare lavoro. La politica più economica ed efficace di ricollocamento di una persona già formata è l'assegno di ricollocazione, cioè un finanziamento sul risultato di quelle imprese che si occupano appunto di ricollocare i disoccupati». Se lo stage è – o dovrebbe essere – un momento di formazione, non era allora lo strumento idoneo per Cristian che proprio in quel settore era di fatto già ben formato, con un'esperienza lavorativa pluriennale: «Ho lavorato per sette anni come magazziniere, frigorista e assemblatore di frigoriferi in una ditta artigiana dal 1998 al 2005», racconta. «Poi mi sono ammalato e ho dovuto rassegnare le dimissioni. Da quel momento ho lavorato quando sono stato chiamato dalle agenzie interinali per brevi periodi». Lo scorso febbraio ha dovuto accettare questo stage: per lui era molto faticoso a causa di problemi di salute, ma era l'unica possibilità che gli era stata offerta in tre anni. «Ho un'invalidità del 35% per problemi alla schiena, ma non l'ho dichiarata perché in passato, durante alcuni colloqui di lavoro, sono stato discriminato per questo. Di certo non sono un choosy. Quando lavoravo ero in affitto, oggi sono tornato a vivere con i miei genitori come quando avevo vent'anni. Non ho bisogno di un lavoro, ma di un reddito da lavoro. Per questo, per mio errore, ho fatto anche gli straordinari, non sapendo che negli stage non vengono pagati. Ora mi accorgo di aver lavorato gratis».Paolo Ribichini

15mila euro di penale se lo stagista interrompe il tirocinio: una clausola di questo tipo è legale?

È accettabile, e sopratutto legale, che per avviare un tirocinio un'azienda chieda all'aspirante stagista di impegnarsi formalmente a pagare una penale in caso decida di interrompere il percorso formativo prima del previsto? La domanda è stata posta alla redazione della Repubblica degli Stagisti da Francesco, un iscritto al programma Garanzia Giovani, a cui una piccola azienda ha proposto «di firmare una clausola che prevede che se interrompo il tirocinio prima dei sei mesi senza giusta causa (problemi di salute, o l'azienda mi trasferisce ecc) devo pagare una penale». E non pochi spiccioli: «15mila euro». Una somma da capogiro, che ha spinto il giovane a voler essere sicuro, prima di firmare, che fosse tutto nel perimetro della legge. In prima battuta si è rivolto giustamente al soggetto promotore «che poi sarebbe quello che mi ha trovato questa azienda», da cui ha ricevuto rassicurazioni: «dice che è perfettamente legale». Il ragazzo ha chiesto anche un secondo parere a un avvocato e «anche lui dice che è legale perché anche nei contratti di lavoro a tempo determinato o apprendistato la legge consente queste clausole». Per essere proprio sicuro al 100% Francesco ha deciso di interpellare anche la Repubblica degli Stagisti: «Voi avete mai sentito di stagisti a cui avevano proposto queste clausole?». La risposta a quest'ultima domanda è… no, non ci era mai capitato prima. Abbiamo allora consultato alcune voci autorevoli in tema di lavoro, per raccogliere una risposta esaustiva e far luce sulla questione. Il giuslavorista e senatore Pietro Ichino conferma che «la cosa è perfettamente legale. D'altra parte, nessuno obbliga un'impresa a offrire tirocini: l'impresa è dunque libera di offrirli sotto condizioni determinate, così come la persona interessata è libera di respingere l'offerta».Ichino ricorda come già in passato fosse finita sotto i riflettori una situazione simile: «Il problema si era già posto l'anno scorso, quando Ryan Air aveva proposto una clausola di questo genere nell'ambito di un "pacchetto" che prevedeva stage di sei mesi in Germania, con corsi di formazione professionale particolarmente qualificati, destinati a sfociare poi nell'assunzione. Il discorso di Ryan Air era questo: io investo un sacco di soldi in questo percorso, ed evidentemente non lo farei se non sperassi alla fine di poterti assumere; voglio però essere sicura che anche tu ti impegni seriamente. In altre parole: io investo su di te, ma tu devi darmi qualche garanzia che il mio investimento non vada in fumo». Vista in quest'ottica, la richiesta da parte di un'azienda di firmare una clausola del genere potrebbe anche in qualche modo essere una ulteriore conferma della onestà delle intenzioni dell'azienda stessa: «La presenza di condizioni come quella denunciata dal lettore della Repubblica degli Stagisti può persino costituire una garanzia ulteriore di serietà: "a questo tirocinio partecipano soltanto persone molto motivate e convinte di voler arrivare in fondo"; "su questo tirocinio l'impresa investe parecchio, ed è quindi preoccupata di non perdere il suo investimento"» conclude il giuslavorista: «Il problema è poi quello dell'informazione sulla qualità. Io non ho la minima idea di quale sia la qualità del tirocinio nell'azienda in questione: dico però che, se ci fosse da parte sua un investimento, capirei la richiesta di una garanzia di impegno da parte della persona interessata».Anche la Cisl, tra i più importanti sindacati italiani, ribadisce che la richiesta non si configura al di fuori della legalità. «A differenza del rapporto di lavoro» premette Roberto Benaglia, segretario regionale della Cisl Lombardia, «in cui la prestazione corrispettiva dell'impresa è il salario», la convenzione di tirocinio non costituisce rapporto di lavoro «ma una metodologia formativa: una misura di  politica attiva finalizzata a obiettivi di orientamento, occupabilità e inserimento / reinserimento lavorativo». In questo caso «la prestazione corrispettiva alle attività svolte dal tirocinante è la formazione stessa: l'impresa "ripaga" in formazione». Per quanto riguarda la penale Benaglia preferirebbe che si giocasse, per così dire, a carte scoperte: «Non si evince la natura dell'eventuale danno subito dall'impresa. Se per ipotesi nella convenzione ci fosse un impegno scritto di inserimento lavorativo a seguito della conclusione del tirocinio stesso, questo danno potrebbe essere in qualche modo configurato come un investimento vano da parte dell'impresa; solo in questo caso l'investimento formativo sarebbe andato effettivamente perduto».  Sopratutto Benaglia riterrebbe opportuno che la somma posta come penale fosse proporzionata alla situazione e alle tasche del giovane disoccupato; in effetti, considerando che l'indennità mensile prevista per questo stage è di 500 euro al mese, cioè 3mila euro in totale, l'azienda vorrebbe porre una clausola del valore equivalente al quintuplo del compenso complessivo previsto a favore dello stagista. «È evidente e contestabile la palese sproporzionalità della penale: 15mila euro? Ma il tirocinio lo fa alla Nasa come astronauta?». Al di là delle battute, però, il sindacalista conferma che la situazione non è illegittima. «Non esiste infatti legge nazionale, pensiamo alle linee guida sui tirocini, oppure regionale - facendo quantomeno riferimento a quella della Lombardia - che indichi tale clausola nulla. Le parti nello stipulare la convenzione di tirocinio non sono vincolate in tal senso». E anzi, colpo di scena: «Anche un tirocinante potrebbe in linea teorica chiedere l'inserimento di una clausola risarcitaria per risoluzione anticipata. Quindi a priori non si configura come una clausola illegittima. Solo in sede di giudizio un giudice potrebbe, entrando nel merito del danno subito dall'impresa, stabilire se è legittima o meno» aggiunge Marta Pepe, che in Cisl lavora a fianco di Benaglia come operatrice politica esperta di mercato del lavoro.«Sul piano sindacale si potrebbe agire sollecitando in primis l'ente promotore del tirocinio che dovrebbe farsi carico di dialogare con l'impresa per rimuovere eventuali ostacoli per la buona riuscita del tirocinio e stabilire con l'impresa delle condizioni di "qualità" per il tirocinante» conclude Roberto Benaglia: «Il soggetto promotore ha infatti, oltre a funzioni di progettazione, una funzione di garanzia della regolarità e della qualità dell'iniziativa stessa che non è intesa come garanzia giuridica, non ha funzioni ispettive in tal senso, ma ha sicuramente una funzione di ponte - mediatore - facilitatore». E potrebbe cercare cioè, in questo caso, di convincere l'azienda a tornare a più miti consigli - se non eliminando la clausola, quantomeno riducendo l'ammontare della penale.Non bisogna dimenticare infatti che la possibilità di interrompere uno stage è, in effetti, uno dei diritti più importanti per uno stagista. Cosa succederebbe se semplicemente dopo le prime settimane questo ragazzo si accorgesse che quel lavoro proprio non gli piace, e non è interessato a lavorare in quel settore? Oppure se si trovasse male con i colleghi, o non si sentisse accompagnato in un percorso formativo, se avesse l'impressione di essere abbandonato dal suo tutor, e la situazione gli divenisse insostenibile?Alla Repubblica degli Stagisti non di rado arrivano segnalazioni da giovani che si trovano male, che non vengono seguiti a dovere, che talvolta sviluppano veri e propri malesseri perché non sono a loro agio nello svolgere il tirocinio; e ci capita di suggerire di interromperlo anticipatamente. Non è una bella cosa, però a volte è necessaria; con una clausola come questa, e una penale di importo stellare, si chiude ermeticamente per lo stagista la possibilità di cambiare idea, o di reagire a una situazione di malessere che non poteva essere prevista a priori. O anche semplicemente di poter cogliere una opportunità migliore, accettando una proposta di lavoro con un contratto vero e uno stipendio vero. Qui allora sta forse la sintesi anche con i pareri raccolti in questo articolo: l'idea che una clausola del genere possa essere applicata solo da un'azienda che ha un serio intento di assunzione e che attraverso lo spauracchio della penale desidera solamente difendere questo suo meritevole intento dal rischio di rimanere "vittima" di stagisti incerti e inconcludenti, poco motivati e inclini ad abbandonare alla prima difficoltà. La clausola però andrebbe formulata in maniera paritaria, mettendo gli intenti di assunzione nero su bianco, in modo da motivare e bilanciare la penale.Eleonora Voltolina

Stagisti privi di copertura assicurativa nei tribunali per colpa di un articolo "pazzo" del decreto del fare

Di strane storie di stage Repubblica degli Stagisti ne ha sentite e raccontate molte in questi anni, anche e soprattutto nel settore pubblico. Mai fino ad ora si era tuttavia trovata davanti ad un caso in cui allo stagista fosse negata persino una copertura assicurativa contro gli infortuni, e per giunta per colpa di una legge dello Stato. La segnalazione arriva da Raffaele Muzzica, brillante neolaureato in giurisprudenza, iscritto  alla scuola dispecializzazione per le professioni legali e attualmente in stage presso la sezione penale del tribunale di Napoli dove - come molti altri colleghi, per lo più aspiranti magistrati - affiancherà per i prossimi 18 mesi un magistrato nell'ordinaria attività degli uffici giudiziari italiani. Una peculiare esperienza formativa di recente introdotta con l'art.73 del decreto legge 69/2013, meglio noto come "decreto del fare", riconosciuta agli under trenta laureati in giurisprudenza più meritevoli (per partecipare è necessario aver riportato una media di almeno 27/30 negli esami fondamentali di diritto o comunque un voto di laurea non inferiore a 105 su 110), anche in concomitanza con lo svolgimento della pratica forense o contestualmente alla frequenza di una scuola di specializzazione per le professioni legali. «Tutto bellissimo, apparentemente» scrive lo stagista. Che sarebbe assolutamente soddisfatto dal punto di vista formativo, «se non fosse che il legislatore ha corredato quella che poteva essere un'occasione dignitosa con minuzie tutt'altro che favorevoli per gli stagisti. In primis la indecente, a mio parere, totale mancanza di un rimborso spese, a danno di giovani che più ne avrebbero merito e, paradossalmente, in un luogo in cui dovrebbero tutelarsi i diritti di tutti». Ma c'è di più: «Il primo giorno di tirocinio abbiamo firmato un verbale in cui si affermava che ci impegnavamo a stipulare una polizza assicurativa per responsabilità civile contro terzi e una polizza Inail» racconta il giovane che, soltanto in seguito, è stato rassicurato sul fatto di essere già coperto, in quanto specializzando, dall'assicurazione stipulata dalla scuola per le professioni legali. Già, ma tutti gli altri? In materia al comma 8 dell'articolo 73 si legge a chiare lettere non solo che «lo svolgimento dello stage non dà diritto ad alcun compenso e non determina il sorgere di alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo», ma soprattutto che lo stesso non comporta l'insorgere «né di obblighi previdenziali e assicurativi». «Certo, ci sono anche i benefici di questo tirocinio» ammette Muzzica: primo fra tutti il fatto che il periodo formativo è valutato come un anno di pratica forense o notarile, ovvero come un anno di frequenza della scuola di specializzazione. In pratica gli stagisti ex art. 73 beneficeranno di uno "sconto" di 12 mesi sui 18 totali di praticantato oggi necessari per diventare avvocato e di una riduzione pari alla metà del periodo di specializzazione presso una delle scuole per le professioni legali. Altri vantaggi sono poi individuabili nel riconoscimento dello stage quale titolo di preferenza per per una futura nomina a giudice onorario di tribunale e a vice procuratore onorario, nonchè  titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi indetti dall’amministrazione della giustizia e dalle altre amministrazioni dello Stato. Vantaggi che non diminuiscono tuttavia la gravità della richiesta avanzata a Muzzica e colleghi dal tribunale di Napoli. Per vederci chiaro su questa vicenda e fare chiarezza su una tipologia di stage  che già in questi primi mesi sta coinvolgendo centinaia di giovani (200 soltanto al Tribunale di Roma), la Repubblica degli Stagisti si è rivolta direttamente al ministero della Giustizia: «Anche volendo l'amministrazione non potrebbe farsi carico della copertura assicurativa, perchè la legge lo vieta», spiega Claudia Pedrelli, direttrice dell'ufficio Affari generali di via Arenula. Se non sul tribunale ospitante, su chi ricadono allora gli oneri assicurativi contro gli infortuni e per eventuali danni a terzi arrecati dallo stagista? «Nel caso in cui ci sia un interesse da parte delle scuole di specializzazione o degli ordini degli avvocati è possibile per gli stessi farsi carico della copertura assicurativa. Diversamente non ci sarà copertura, né da parte dell'amministrazione, né da parte dei tirocinanti». Per cui, se è vero che il tribunale di Napoli ha agito in modo improprio chiedendo ai propri tirocinanti di provvedere ad assicurarsi, è lo stesso legislatore ad aver sancito un paradosso: questi stagisti sono gli unici nel panorama italiano, pubblico e privato, ai quali non è garantita neppure la semplice copertura contro gli infortuni. Sempre dal ministero della Giustizia spiegano che tale situazione è riconducibile alla particolarità di questo nuovo istituto formativo, che non è assimilabile nè ad un praticantato ma neppure ad un tradizionale stage: mancando tra l'altro di una convenzione e di un ente promotore al quale, di norma, la legge impone appunto l'obbligo di aprire una posizione Inail per lo stagista. Cosa succederebbe se qualcuno degli stagisti inciampasse su una scala e si rompesse una gamba durante questo stage, non è dato sapere.E purtroppo gli aspetti critici dell’articolo 73 non finiscono qui: per i praticanti avvocati che decidono di approfittare di questa occasione formativa la norma produce l'irragionevole conseguenza di poter accedere all'esame di abilitazione solo dopo 24 mesi di tirocinio, dato che i 18 mesi di stage equivalgono soltanto a 12 mesi di pratica. Inoltre «per quelli che, come me, hanno iniziato in simultanea il tirocinio di 18 mesi e la specializzazione, che dura due anni, verrà a crearsi un’evidente sfasatura temporale, dato che l’esonero scatterà quando saremo già iscritti al primo semestre del secondo anno di scuola» sottolinea Muzzica. Un grande caos insomma, i cui effetti si stanno riversando proprio sui giovani più meritevoli ai quali – almeno inizialmente – il decreto del fare sembrava voler finalmente offrire una valida alternativa al lungo e costoso percorso per poter partecipare all’esame da magistrato: oggi possibile solo al termine della frequenza di una scuola di specializzazione oppure previa superamento dell'esame di avvocato, o in alternativa a seguito del conseguimento di un dottorato di ricerca in materie giuridiche. «Il testo è stato molto peggiorato in sede di conversione: inizialmente questo tirocinio era da solo abilitante al concorso in magistratura e quindi anche molto più allettante. Purtroppo questa opportunità è stata eliminata da un emendamento in sede di conversione del decreto» nota ancora Muzzica. Risultato: per partecipare al concorso gli aspiranti magistrati dovranno continuare ad iscriversi alla scuola di specializzazione e quindi pagare le salate tasse di iscrizione anche per il periodo di tirocinio in tribunale, durante il quale – come nel caso di Napoli – sono esonerati dall'obbligo frequenza.«La verità è che i miei colleghi ed io ci sentiamo smaniosi di fare, di mettere in pratica quello che abbiamo studiato per anni, di dare un contributo, per quanto piccolo, al sistema-Paese», conclude l'aspirante magistrato. «Desidereremmo soltanto che il governo ci guardasse con più favore e che lo dimostrasse, anzichè complicarci ulteriormente il percorso». Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Riforma forense: un'occasione mancata per tutelare i praticanti?- Tribunali al collasso, sempre più stagisti per coprire i buchi di organico- Tribunali sotto organico, in Abruzzo 200 adulti in mobilità reclutati per un maxistage di un anno. Fuorilegge e senza sbocchi professionali

Stop agli stage curriculari in Piemonte se non correlati a crediti formativi, gli atenei rivendicano: «Siamo autonomi in queste decisioni»

«Ho trovato in modo autonomo uno stage molto interessante che non è nel carico didattico ma il Politecnico di Torino mi ha detto che in virtù della delibera regionale del 3 giugno 2013 non si possono più attivare gli stage extracurriculari e per farlo devo interrompere gli studi e iscrivermi al collocamento, è così?» scrive un lettore alla redazione della Repubblica degli Stagisti. Negli stessi giorni un'altra lettrice si fa avanti: «Ho trovato una grande azienda disponibile a farmi svolgere uno stage che non è nel mio carico didattico perché sono ancora alla laurea di primo livello. Allo sportello job placement non mi hanno dato i documenti per la convenzione perché dovrei aspettare la laurea a marzo e dopo incominciare il tirocinio curriculare. È vero che se sospendo la carriera degli studi posso effettuare lo stage extracurriculare?» La Repubblica degli Stagisti decide di raccogliere la richiesta di Help dei due lettori e approfondire per capire che cosa sta succedendo in Piemonte anche perché le spiegazioni date agli studenti sembrano abbastanza deboli e imprecise.Gli stage di cui parlano questi giovani sono, infatti, stage curriculari ossia tirocini formativi e di orientamento la cui finalità, come spiega la circolare del ministero del lavoro del settembre 2011, non è direttamente quella di favorire l'inserimento lavorativo. Tali stage possono essere svolti «nel periodo di frequenza del corso di studi anche se non direttamente in funzione del riconoscimento dei crediti formativi». La circolare porta come mero esempio, non esaustivo, quello dei tirocini svolti per la stesura della tesi di laurea. Possibile che adesso in Piemonte agli studenti universitari venga invece impedito di fare stage se non correlati a crediti formativi? La cosa andrebbe appunto contro le indicazioni fornite in materia dal ministero del lavoro attraverso quella circolare. La Repubblica degli Stagisti ha quindi interpellato le università individuando gli interlocutori giusti: Monica Pastetta, responsabile delle attivazioni delle convenzioni al Politecnico, e Adriana Luciano, presidente della commissione per l'orientamento, il tutorato e il placement all'università degli studi di Torino. Ricevendo da entrambe una risposta sorprendente: sì, è vero. Queste due università piemontesi hanno deciso autonomamente di vietare gli stage curriculari non correlati a cfu, andando esplicitamente contro la circolare ministeriale.«Attiviamo i tirocini solo se correlati a crediti formativi o correlati allo svolgimento della tesi. Poi applichiamo i post laurea secondo la normativa della Regione Piemonte» dice Pastetta. «Non attiviamo durante il percorso di studi quelli che sono fuori dal carico didattico», che dunque si configurerebbero secondo il Politecnico di Torino, in senso stretto, «come extracurriculari. Non li attiviamo perché abbiamo avuto diverse contestazioni da parte delle aziende che non avrebbero comunque attivato un extracurriculare perché avevano paura di dover contribuire un'indennità e quindi ci pareva che fosse corretta l'interpretazione curricolare prevista nel corso di studio e il post laurea retribuito». «L'orientamento generale è di connetterli ai crediti formativi perché questo ci permette di collocarli precisamente nel loro alveo» le fa eco Adriana Luciano dell'Unito. «I tirocini curricolari sono parte del processo formativo e devono quindi essere governati dalle strutture didattiche. Noi dobbiamo garantire la qualità ma non chiedere nulla alle aziende se non la collaborazione a favorire la formazione degli studenti». E se la Regione, sollecitata proprio dal Politecnico nelle scorse settimane a dare chiarimenti sull'applicazione della sua legge regionale in materia di tirocini, decidesse di dare indicazioni precise, invitando gli atenei piemontesi a rispettare i dettami della circolare ministeriale e dunque ad attivare stage curriculari in favore dei propri studenti anche senza una diretta correlazione con crediti formativi? In realtà l'eventualità è molto remota, perché la Regione ha la competenza solo sui tirocini extracurriculari: difficile dunque che si metta a sentenziare su quelli curriculari, indicando alle università del suo territorio come comportarsi. E comunque indicazioni di questo tipo verrebbero «restituite al mittente. La Regione non ha competenze in materia di istruzione universitaria. Come università siamo gelosissimi della nostra autonomia e rigidissimi sulle nostre competenze. Siamo noi gli unici responsabili del tipo di formazione che diamo agli studenti e di come escono i laureati» sbotta la Luciano: «Possono criticarci, è consentito, ma non possono intervenire sulle nostre decisioni. È come se io pretendessi di decidere sull'organizzazione degli uffici regionali: non esiste».Molto più morbida la posizione del Polito: «Abbiamo avuto degli scambi telefonici con la richiesta di chiarimenti alla Regione, ma nessuna risposta scritta. Siccome nella tabella allegata alla norma regionale traspariva questa volontà di definire i curriculari come quelli previsti dal percorso di studi, allora rientra in un piano di offerta formativa ed è evidenziato con dei crediti. Non abbiamo niente nei piani formativi che non abbia un requisito di riconoscimento in forma di credito» dice la Pastetta. Se la Regione, però, desse un'indicazione chiara sulla possibilità di attivare tirocini curriculari anche non legati ai crediti formativi «sicuramente applicheremo l'integrazione alla delibera che è stata fatta, ma deve arrivare in forma scritta perché solo a scambio di parole non è definito e sopratutto non lo è in modo univoco a livello regionale». Di tutt'altro avviso è la Luciano che sull'eventualità di un chiarimento da parte della Regione ribadisce: «Non possono intervenire su questa materia, su questo punto sono molto drastica. L'ho anche comunicato in commissione. Noi ci sottoponiamo senza discutere alle regole imposte dal ministero del lavoro e dalla Regione per i tirocini extracurriculari perché questa è materia di regolazione del mercato del lavoro. Ma i tirocini curricolari sono sotto la piena responsabilità e giurisdizione delle strutture didattiche e quindi non ci interessa assolutamente niente cosa pensa la Regione o il ministero, perché i curricolari sono una parte del piano di studi degli studenti e ne siamo totalmente responsabili come di ogni altra attività didattica». Quindi uno studente che ha trovato un'azienda disponibile a fargli fare un tirocinio, ma ha già completato quelli previsti dal suo percorso di studio che deve fare? «Non può attivarlo con noi» dice Pastetta. «Lo mandiamo al centro per l'impiego dove risulterà inoccupato; sarà il cpi che si occuperà di garantirgli una copertura per l'inserimento in stage». E gli studenti che raccontano di essersi sentiti dire che avrebbero dovuto sospendere la carriera universitaria per iscriversi ai centri per l'impiego? Pastetta è categorica: «Noi non abbiamo mai dato indicazioni di questo tipo, non abbiamo interessi che la sospendano, ma che la portino a conclusione e in tempi rapidi. Mai avremmo dato questa informazione. Potranno attivare il tirocinio con i requisiti che deve garantire un centro per l'impiego». Su questo punto anche la professoressa Luciano è d'accordo. «Non c'è assolutamente bisogno che uno studente ansioso di svolgere un tirocinio mentre studia interrompa la carriera universitaria: i nostri studenti possono anche lavorare a tempo pieno. Quindi potrà iscriversi al centro per l'impiego, anzi un tempo lo facevano praticamente tutti perché dava alcuni benefit. L'importante è frequentare le attività didattiche e rispondere alle richieste del corso di laurea, ma la vita privata dello studente è un fatto che non può certo riguardare il suo percorso di studi».Rassicurazioni, quindi: agli studenti che hanno finito gli stage presenti nel loro carico didattico sarà possibile in definitiva iscriversi al centro per l'impiego e attivare attraverso questo il tirocinio desiderato, senza dover sospendere gli studi. Resta da capire cosa ne pensino il ministero del Lavoro e sopratutto quello dell'istruzione di fronte a questa insubordinazione conclamata e rivendicata: davvero secondo l'ordinamento giuridico vigente non vi è la possibilità per queste due istituzioni di definire la organizzazione e gestione dei tirocini curriculari attivati dalle università?Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Tirocini in Lombardia: il 9 dicembre entra in vigore la nuova normativa- Esperienze di lavoro prima dei 25 anni: giusto ministro, ma ci vuole una nuova legge sugli stage curriculari- Tirocini, tempo scaduto. Ma metà delle Regioni italiane non ha legiferato e anche:- La Corte costituzionale annulla l'ultima legge sugli stage: «Solo le Regioni competenti in materia» - Regione Piemonte, un milione di euro per chi sostiene giovani imprenditori

«Ecco perché è aperto solo ad alcune lauree», Italia Lavoro spiega i criteri del progetto Neet

Era partita con grandi aspettative la corsa dei giovani, tra i 24 e i 35 anni, laureati disoccupati di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia per riuscire a conquistare uno dei 3mila tirocini che il progetto Amva – giovani laureati Neet offre grazie a finanziamenti del ministero del lavoro. Così tante aspettative da mandare in tilt il sito del ministero che, attraverso Grazia Strano intervistata in esclusiva dalla Repubblica degli Stagisti, aveva rassicurato sul fatto che i giovani non dovessero preoccuparsi di svolgere in fretta le procedure di registrazione. Le proteste sono arrivate fino in Parlamento, con il deputato di Sel Erasmo Palazzotto che ha presentato un'interrogazione parlamentare al ministro del Lavoro perché spieghi come mai si continua «a fare propaganda sulla pelle di una generazione che vive la precarietà come condizione perenne della propria esistenza» e non si cerca, invece, di pensare a misure che non siano solo degli spot ma abbiano delle ricadute occupazionali reali. Intanto, mentre i giovani correvano e corrono a registrarsi su Cliclavoro, sul forum della Repubblica degli Stagisti è partita un’altra corsa: quella per evidenziare le anomalie del progetto. Prima fra tutte l’esclusione di alcuni corsi di laurea. Il bando infatti è aperto solo a chi ha studiato otto materie: lettere, geologia, biologia, giurisprudenza, lingue, psicologia, agraria e scienze politiche. «Mi spiegate com’è possibile che siano escluse le altre lauree come quella in economia? Inutile dire che questo modo di gestire i bandi fa rabbia», scrive sul forum la lettrice Nicom, cui si aggiunge anche Spennylu che dice «Questo bando è fatto con i piedi. Il mio punto dolente è l’esclusione della mia laurea in scienze dell’educazione, in quanto sono stati presi in considerazione i dati Istat. Ma è un tirocinio di Neet, dovrebbero darla a tutti questa opportunità». La Repubblica degli Stagisti ha quindi contattato Alessandro Vaccari, responsabile rapporti con i media di Italia Lavoro per capire perché sia stata fatta questa scelta. «È stato deciso direttamente dal ministero, sulla base delle statistiche, come quelle di Almalaurea e Unioncamere, riguardanti le lauree che hanno più difficoltà a garantire un’occupazione ai propri studenti. È una sperimentazione e come tale va vista e studiata. Il bacino dei Neet è molto grande, mentre questo è un investimento molto piccolo che ha anche un vincolo sulle solite quattro regioni in cui applicarlo perché i soldi investiti sono della Comunità europea». Un bando che in un certo senso vuole fare da apripista al decreto lavoro del ministro Giovannini, ancora in discussione, in cui «ci sarà un intervento molto significativo verso i Neet che farà tesoro della nostra esperienza e potrà contare su un impegno economico molto più importante, tra i 160 e i 170 milioni di euro». Certo, resta il fatto che fino ad allora moltissimi giovani saranno esclusi da questo bando, ma «il progetto Neet vuole aiutare il target che, secondo i dati statistici, trova più difficoltà nel riferimento del lavoro. Non discriminiamo, ma non possiamo coprire tutte quante le statistiche», continua Vaccari. Il punto non è solo che alcune lauree sono state escluse dalla selezione. Nuove critiche stanno piovendo addosso al progetto perché tra gli annunci inseriti dalle aziende ve ne sono alcuni per commessi e altre posizioni lavorative che non richiedono, per essere svolte, il possesso di una laurea. E altri annunci per figure professionali in cui sarebbero necessarie proprio le lauree "estromesse". «Ci sono tanti annunci come educatrice, ma io laureata in scienze dell’educazione non posso candidarmi con la mia laurea» scrive sul forum  spennylu, che continua «È assurdo: magari si candida un laureato in biologia mentre io non posso farlo. Altro che Neet, sembra un bando per tirocinanti visti come carne da macello, senza dignità e rispetto per il lavoro». Italia Lavoro quindi non monitora gli annunci inseriti? «Noi interveniamo solo a valle, cioè una volta che tirocinanti e aziende si sono trovati esclusivamente sul sito Cliclavoro. A quel punto l’incartamento passa a noi che attiviamo tutte le verifiche amministrative del caso e, se entrambi hanno i requisiti, si procede», spiega Vaccari. Né Italia Lavoro né il ministero, quindi, controllano preventivamente gli annunci inseriti dalle aziende anche perché questa è una «politica attiva che vuole favorire l’incontro tra domanda e offerta». E siccome tale incontro deve restare libero, in sostanza, poco importa - seguendo il ragionamento -  che si accetti un tirocinio che non ha nulla a che vedere con il proprio percorso di studi, punto dolente e molto dibattutto sul forum della RdS.Del resto succede normalmente, fa notare Vaccari, che «i tirocini talvolta siano avulsi dal corso di studi dei ragazzi. Noi vogliamo avvicinare i giovani al mondo del lavoro e in questo il tirocinio è determinante per cercare di toglierli da questo piccolo ghetto. Bisogna dare una scossa con questo piccolo contributo economico, ma non è la soluzione del problema. È un inizio per mantenere un collegamento con il mondo del lavoro, perché se lo si perde si rischia l’esclusione sociale. Poi dal 2014 ci sarà la Youth guarantee con molti soldi che saranno destinati unicamente ai giovani». Ma per quanti sono stati estromessi dalla decisione di restringere l’applicazione del bando solo ad alcune lauree, non si può sperare nemmeno nella possibilità che a 60 giorni, come recita il bando all'articolo 4, si proceda all’allargamento delle lauree ammesse nel caso in cui non tutti i tirocini vengano attivati. Perché le richieste già arrivate sono tantissime e, come Vaccari conferma alla Repubblica degli Stagisti, «andremo molto velocemente a colmare tutta la disponibilità di tirocini prevista dal bando. Un esempio su tutti, secondo i dati disponibili al 3 ottobre solo in Sicilia ci sono state già 3mila richieste».Ai tanti che per una laurea “sbagliata” non hanno potuto provare, nell'ambito di questo bando Amva-Neet a candidarsi a vacancy che pur rispecchiavano  le loro competenze, ma che richiedevano titoli di studio diversi, non resta che aspettare il decreto del ministro Giovannini. Confidando che questa volta invece di prendere in considerazione, come fatto in questo caso, dati statistici che si riferiscono al 2007 e che non calcolano che oggi, in piena crisi economica, anche le cosiddette lauree “forti” abbiano molte difficoltà di inserimento, si permetta a tutti i laureati giovani disoccupati di partecipare al bando. E che contemporanamente si faccia una verifica iniziale sulle vacancy inserite, evitando che aziende furbe approfittino della disperazione dei giovani per proporre lavori sottoqualificati, sperando pure in un contributo pubblico.Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage per Neet, 140mila motivi perché il ministero del lavoro si vergogni del flop- Tirocini per laureati, Cliclavoro in down per i troppi accessi: non si parte proprio col piede giusto...- Blocco delle candidature al bando di stage per Neet, il ministero: «Troppi accessi, non ce lo aspettavamo»E anche:- Progetto Neet: per 3mila giovani del Sud sei mesi di tirocinio pagati dallo Stato. Ma servono davvero?- Progetto Neet, caos su Cliclavoro: ma il ministero rassicura gli aspiranti stagisti

Corsi di formazione, «iscrizione gratuita» e però poi lezioni a pagamento: tutto normale?

Può un corso di giornalismo promettere un'«iscrizione gratuita» e però poi essere a pagamento? Di offerte "trappola" e bandi più o meno ingannevoli è piena la rete. Ma i navigatori più smaliziati cominciano ad aguzzare la vista e a segnalare i casi ambigui. Il caso di un corso di giornalismo ad iscrizione gratuita ma con lezioni a pagamento per esempio ha fatto drizzare le orecchie a Mario Borghi, autore del blog Stranomaforte. In un suo post di inizio agosto, Borghi riassumeva tutti i punti contraddittori del caso Mgc Edizioni. La casa editrice romana aveva appena annunciato infatti attraverso il proprio sito web il lancio della prima edizione di un corso avanzato di giornalismo. «La MGC Edizioni in collaborazione con la Siae e il Patrocinio della Regione Lazio organizza la I edizione del Corso di Giornalismo per carta stampata e on line che partirà il prossimo mese di novembre 2013», si leggeva nella news originaria, nella homepage della casa editrice. E poi ancora, tutto in maiuscolo: «L’iscrizione al corso è gratuita e deve essere effettuata on line all’indirizzo...». Grande enfasi, quindi, sulla gratuità dell’iscrizione e sulla presentazione della domanda per via telematica. E poi, ancora, si faceva riferimento a Delfina Ducci, insegnante del corso, come a una giornalista. Nel post, Borghi contestava una a una le dichiarazioni di Mgc Edizioni, affermando che la Siae non sapesse nulla del corso avanzato di giornalismo, la partecipazione al corso costasse 1.000 euro, Delfina Ducci non fosse giornalista. La titolare della casa editrice, Maria Grazia Catanzani, è intervenuta nel dibattito postando tra i commenti del blog e ottenendo infine la pubblicazione di una lettera di risposta. La premessa dell’editore è questo imperativo categorico: «L’immagine della titolare della Casa Editrice MGC Edizioni, Maria Grazia Catanzani, in primis, e quella della casa editrice, piccola sì, ma dignitosa, non devono uscirne "con una pubblicità negativa" visto che è solo al terzo anno di attività e gestita quasi esclusivamente dalla persona della Titolare e con non poche fatiche».Poi si viene al cuore delle altre accuse. Riguardo ai patrocini, scrive Catanzani, «l’aver nominato determinate Istituzioni nasce esclusivamente dal fatto che dal mese di giugno scorso sono in corso degli appuntamenti per definire un progetto che coinvolge tutti i soggetti nominati. Gli accordi definitivi saranno ratificati ufficialmente entro i primi giorni di settembre p.v. Con l’umiltà che da sempre contraddistingue la Titolare, possiamo affermare che le Istituzioni e alcune persone citate, lo sono state “con un po’ di anticipo” sui tempi rispetto alle ratifiche ufficiali degli accordi, che verranno puntualmente pubblicati sui nostri siti man mano che verranno conclusi». Sul fronte del corpo docenti Catanzani si limita a ribadire che «sono persone con alti profili culturali in grado di sostenere qualunque lezione in qualunque corso essendo già insegnanti essi stessi di professione». In un altro post, si ammette che Delfina Ducci, l'insegnante del corso presentata originariamente come giornalista, non è iscritta all'ordine professionale ma è comunque scrittrice e autrice di testi e rubriche stampa.C’è anche un’ultima nota con un tono più personale: «Forse per la maggior parte di chi legge questo potrebbe apparire un clamoroso "autogol" ma non è così. Si tratta solo di un uso corretto di 4 cose molto importanti: coscienza e, soprattutto, cervello, buon senso e professionalità».In settembre la Repubblica degli Stagisti decide di occuparsi del caso e contatta Maria Grazia Catanzani per far commentare la vicenda a freddo. Bisogna premettere che nel frattempo le news e i bandi sono stati corretti eliminando più o meno le contraddizioni rilevate dai post di Borghi. Rimangono però alcuni punti poco chiari. Sebbene nel regolamento di bando compaiano chiaramente i costi di ogni fase del corso (sino a un totale di mille euro per nove mesi di lezioni), nel form da compilare per iscriversi spicca ancora oggi la frase: «Mi iscrivo GRATUITAMENTE [le maiuscole compaiono nel testo originale, NdR] alla I° Edizione del “Corso di Giornalismo – MGC Edizioni 2013/2014”. Dichiaro di essere a conoscenza del Regolamento il quale prevede la selezione dei partecipanti».Al telefono, Maria Grazia Catanzani si dimostra molto disponibile. Premette subito che il suo più recente intervento sul blog Stranomaforte rappresenta la sua ultima parola in capitolo: «L’ultimo post chiarisce tutta la vicenda». Sui punti ancora controversi aggiunge: «L’iscrizione è gratuita, sì. Ma il corso è a pagamento, come è scritto a chiarissime lettere nel bando. Molti corsi, all’atto dell’iscrizione, fanno subito versare agli interessati un acconto per iscriversi. La ragione è chiara: molte persone potrebbero tirarsi indietro all’ultimo momento. Permettendo l’iscrizione gratuita, senza acconto, io mi sono assunta un rischio molto grande. Anche le mie tre persone di riferimento che saranno insegnanti del corso me l’hanno fatto notare: “stai correndo un rischio non da poco”».Dinanzi all’ipotesi che l’espressione “iscrizione gratuita” possa prestarsi a equivoci, generando l’impressione di un corso a costo zero (smentita poi dal bando), Catanzani si limita a ricordare la propria carriera ventennale nell’ambito del giornalismo.Il 16 settembre la Siae conferma alla Repubblica degli Stagisti che «al momento non c’è nessuna collaborazione tra la SIAE e la casa editrice Mgc per avviare un corso avanzato di giornalismo a pagamento». Anche su questo punto, la manager ribadisce: «Ho appuntamento con un responsabile della Siae, Francesco Ruggiero, per ratificare l’accordo. Avremmo dovuto incontrarci a fine agosto, ma purtroppo oggi la burocrazia ci mette tutti in difficoltà. Tra ferie e controferie, l’incontro è slittato a fine settembre». Probabilmente la collaborazione tra Mgc Edizioni e la Siae non è ancora andata in porto, poichè non se ne trova traccia alcuna tra le news della casa editrice.C’è infine l’ultima questione, quella del patrocinio della Regione Lazio.  Era davvero stato concesso per il corso di giornalismo avanzato a pagamento della Mgc Edizioni? Ecco una prima risposta ufficiale della Regione dinanzi alle verifiche della Repubblica degli Stagisti: «Da accertamenti con gli uffici regionali competenti in materia di patrocini purtroppo non risulta alcun rapporto con la suddetta casa editrice. Vi ringrazio per la segnalazione. Stiamo attivando gli uffici per una diffida ufficiale prevista in casi analoghi». Al telefono, Catanzani conferma la propria versione rivendicando il patrocinio: «Ne ho due. Sono stati rilasciati nel 2011 dalla sezione dello sviluppo economico. Sono nipote di un onorevole, tra i fondatori della Regione Lazio. La prima domanda per ottenere il Patrocinio era stata presentata all’assessore allo sviluppo economico Pietro di Paolo e, per conoscenza, a Romano Giovannetti, che era assistente di mio zio». La titolare fornisce i numeri di protocollo dei patrocini e le date di emissione (novembre 2010) e chiarisce che si tratta di patrocini a titolo gratuito, in base ai quali ha facoltà di usare il marchio della Regione Lazio per i progetti della casa editrice.Le nuove informazioni esigono un secondo controllo da parte della Regione Lazio. Ci vuole parecchio tempo prima che giunga una risposta, perchè nel frattempo è cambiata l’amministrazione ed è difficile trovare traccia dei vecchi protocolli. Gli uffici competenti devono verificare direttamente con Mgc Edizioni. Alla fine, però, arriva il verdetto ufficiale: «Siamo riusciti a contattare la casa editrice. Il patrocinio risale al 2010 ed ovviamente non ha validità. Abbiamo invitato la stessa a inoltrare formale richiesta di nuovo patrocinio sottolineando che non è possibile per iniziativa con scopo di lucro», fa sapere la Regione alla Repubblica degli Stagisti.Insomma, è possibile che Catanzani fosse in buona fede: i patrocini erano stati effettivamente concessi, ma erano semplicemente scaduti. Allo stesso modo, la questione dell’iscrizione “gratuita” può essere solo un problema di differenza di interpretazioni. In fondo, il regolamento del bando è molto chiaro. E sì, è anche possibile che la collaborazione con la Siae venga confermata a breve, e che all’origine vi fosse solo un peccato di “entusiasmo precoce”.In ogni caso, il corso di giornalismo di Mgc Edizioni dovrebbe servire da lezione: agli editori e organizzatori, perchè cerchino di essere più chiari possibile, senza ambiguità e informazioni inesatte (seppur in buona fede). E soprattutto ai navigatori, perchè verifichino sempre i dettagli dei bandi e in ogni caso tengano un occhio aperto. Anzi, anche due.di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Don Gallo contro tutti: «Corsi di formazione, un trucco per tagliare fuori i giovani. Che invece devono tornare protagonisti»;- Giornalisti a tutti i costi, il business dei mille corsi;- Le sentenze dell'Agcm e del Tar del Lazio: mettere corsi a pagamento tra gli annunci di lavoro è una pratica scorretta e inganna chi è in cerca di impiego

Stagisti-correttori di bozze alla Armando Curcio Editore: il «lavoro» è da casa e senza rimborso

Uno stage a titolo gratuito in una famosa casa editrice, per la durata di tre mesi: niente di nuovo sotto il sole. Da questo punto di vista non stupisce la segnalazione di Marta F. sul forum della Repubblica degli Stagisti, che denuncia l'uso di stagisti a costo zero da parte di una famosa casa editrice, nota soprattutto per la produzione di enciclopedie. «Desidero segnalare la mia esperienza di stage non retribuito presso la Armando Curcio Editore di Roma perché il lavoro è destinato a proseguire nel tempo probabilmente nelle stesse modalità: reclutamento giovani stagisti gratis per brevi periodi» scrive Marta, laureata in Lettere con 110 e lode, una «prescelta tra centinaia e centinaia di curricula arrivati». Almeno questo è quel che le è stato detto al colloquio. Per convincerla ad accettare, racconta la ragazza, le è stata delineata una buona prospettiva: «Mi viene spiegato che la casa editrice ha appena firmato un contratto 'epocale' con la Microsoft per la realizzazione di testi scolastici, dalle elementari alle superiori, di tutte le materie, per supporti digitali - un lavoro lungo, dunque, almeno due anni - e che lo stage dà la possibilità agli stagisti più meritevoli di essere inseriti nell’organico con un contratto a progetto, proprio per completare l’opera intrapresa. Inizio quel giorno stesso». In effetti l'annuncio per la ricerca di stagisti è ben visibile sul sito ufficiale della casa editrice [da non confondere con un'altra casa editrice quasi omonima, la Curci, che invece si occupa principalmente di testi di musica], alla sezione "Lavora con noi" [qui a sotto, uno screenshot]. Nell'annuncio non sono specificati né la durata dello stage né il particolare della gratuità; l'unico aspetto ben evidenziato è che, poiché «la selezione è limitata al solo personale di redazione con compiti di scrittura e correzioni bozze», saranno preferiti stagisti con esperienze pregresse in questo campo: «costituirà titolo di preferenza l’aver svolto la medesima attività per siti web e/o periodici». Nello sfogo che la lettrice affida al Forum una delle lamentele più forti è quella rispetto all'assenza di qualsiasi tipo di indennità economica: ma questa circostanza non costituisce una irregolarità, perché gli stage a titolo gratuito sono ancora legali (in attesa che anche il Lazio recepisca le linee guida sugli stage recentemente concordate in sede di Conferenza Stato-Regioni). Sono invece le modalità di svolgimento del tirocinio a lasciare perplessi. Stando al racconto della lettrice, poi confermato dalla Repubblica degli Stagisti anche dalla vicepresidente della Curcio, le mansioni dei tirocinanti sono le stesse di un redattore alle prime armi: correzione di bozze, sfoltimento dei testi, divisione in paragrafi, scannerizzazioni, adattamento alle norme redazionali della casa editrice. Tutte mansioni che potrebbero essere più correttamente svolte da un dipendente retribuito.Il contratto della Curcio con la Microsoft prevede la realizzazione di testi scolastici in formato digitale e a Marta viene affidato un compito tutt'altro che semplice: prima «l’intero capitolo 'Gli egiziani' tratto da un’enciclopedia di storia per ragazzi che la Curcio ha realizzato nei primi anni ’60», e poi - nella seconda fase - «la realizzazione di mappe concettuali interdisciplinari, l’individuazione di approfondimenti e di rapporti con l’attualità. Tutto questo su testi che vanno dalla Preistoria ai Romani: quattordici capitoli, credo circa 300 pagine». Il tutto avviene, peraltro, senza che Marta e gli altri stagisti siano fisicamente all'interno della redazione della casa editrice. Senza tutor che li segua passo passo né rapporto quotidiano con i colleghi. Senza attività di formazione, che dovrebbe invece essere la finalità principale dello stage. I ragazzi reclutati devono lavorare in solitudine, da casa loro, utilizzando il proprio computer; e smaltire una (enorme) mole di lavoro per conto dell'azienda senza vedere il becco di un quattrino. Marta non va in redazione se non per «ritirare di volta in volta i materiali scansionati» e puntualmente viene incoraggiata a non mollare: «A ogni consegna mi viene detto che il lavoro è buono, e questo mi spinge ad andare avanti, a sacrificare tutti i fine settimana di dicembre e gennaio in vista di un inserimento nell’organico». Gli incontri sono sporadici («tre o quattro in tutto nel corso dei tre mesi» assicura l'ex stagista) e piuttosto frettolosi: «Duravano pochissimo, venti minuti al massimo, giusto il tempo di darmi il nuovo materiale e per qualche considerazione sul lavoro svolto». E non mancano neppure email dai toni poco concilianti della responsabile del lavoro dei tirocinanti, per sollecitare consegne sempre più rapide - anche se Marta sottolinea di non aver mai tardato rispetto alle scadenze concordate. È lei a riferire poi di aver ricevuto mail con minacce di «sostituzione» nel caso non svolgesse nei tempi «il lavoro affidato». O ancora, dopo una settimana senza «aver dato sue notizie» messaggi con frasi che vanno poco per il sottile come: «Ti rinnovo la domanda: continuiamo o ci salutiamo?». Insomma il lavoro andava completato bene e in fretta. Ma come, scadenze? Obiettivi di lavoro da rispettare? Ma non era uno stage?  La Repubblica degli Stagisti decide di approfondire la segnalazione, recupera i documenti societari e contatta l'azienda per raccogliere un'intervista. Dalla visura ufficiale risulta che nel 2012 la casa editrice ha un numero di dipendenti a tempo indeterminato oscillante tra 11 e 12. Dunque secondo la vecchia normativa che ancora fa scuola, cioè il dm 142/1998, non potrebbe accogliere più di due stagisti contemporaneamente.Eppure nella sua denuncia sul Forum la lettrice parla di numerosi tirocinanti. Come stanno le cose? È la stessa azienda a rispondere: tra la fine del 2012 e l'inizio del 2013 sono stati presi contemporaneamente ben quindici tirocinanti. Anzi inizialmente erano perfino venti, poi "scremati" eliminando i meno dotati. Come si giustifica una sproporzione tanto evidente, con un numero di stagisti addirittura superiore al numero di dipendenti? L'azienda puntualizza che oltre ai lavoratori assunti stabilmente vi sono una dozzina di collaboratori («freelance», si immagina assunti con contratti a progetto o con collaborazioni a partita Iva), sottintendendo dunque che il reale organico sarebbe di 25 persone. Ancora troppo poche, comunque, per giustificare l'attivazione contemporanea di 15 stage.Dal punto di vista della procedura di attivazione, lo stage di Marta è un punto di domanda: la ragazza non sa dire chi l'abbia promosso, perché a lei non è stato consegnato alcun documento di attivazione dello stage né alcun progetto formativo. La Repubblica degli Stagisti non riesce a rintracciare il soggetto promotore del suo stage, ma trova quello di altri due stage analoghi: l'ufficio stage di Lettere di Tor Vergata, che però attraverso i suoi responsabili si dice estraneo a ogni eventuale irregolarità. Una cosa è certa: anche sul piano normativo/amministrativo gli stage alla Curcio Editore sembrano fare acqua da tutte le parti.  Il finale della storia di Marta è tristemente "standard": un arrivederci e grazie con pacca sulla spalla. «Il 31 gennaio consegno tutto quanto. Vengo convocata il 4 febbraio. Dopo due ore di viaggio arrivo in redazione per ricevere una stretta di mano e un 'grazie' per il lavoro svolto. Mi si dice che dei quindici stagisti ingaggiati siamo rimaste in cinque, 'le migliori', e che i nostri nomi compariranno sui testi tra la lista dei collaboratori. E che qualora la casa editrice avrà necessità di assumere qualcuno nell’ambito dell’opera 'epocale' appena iniziata, noi saremo le prime a essere prese in considerazione». Quello di Marta è soprattutto un appello a chi legge affinché non ripeta il suo errore. «La mia esperienza è simile a molte altre, e certamente non è la peggiore. Ma desidero che si conosca perché sono certa che la Armando Curcio non ha alcuna intenzione di assumere qualcuno, sia pur con un contratto a progetto. Se non conoscete le più basilari norme redazionali e non siete laureati non sarete presi per lo stage: se avete già lavorato in una redazione, possedete capacità di scrittura, familiarità con doc e pdf e un minimo di cultura generale, lo stage non aggiungerà altro alle vostre capacità e competenze». In realtà l'affermazione di Marta sulla inutilità degli stage dal punto di vista dell'inserimento lavorativo viene smentita dall'azienda: nella (travagliata) intervista rilasciata alla Repubblica degli Stagisti [qui nella versione integrale] la vicepresidente Cristina Siciliano afferma infatti che la Curcio ha già fatto tre contratti a progetto della durata di un anno, pagati mille euro al mese, proprio a tre persone "testate" attraverso questo stage.In queste settimane il post di Marta sul Forum ha ricevuto diverse risposte, tutte di altre ragazze contattate dai selezionatori della Curcio. Una di loro, Barbara D., era pronta per il colloquio a febbraio, ma dopo aver letto la storia ha deciso di tirarsi indietro. Senza né riuscire a comunicarlo all'azienda («Sto provando a telefonare da due giorni per disdire e, sinceramente, anche per lamentare il loro comportamento, ma al momento, al numero dal quale ho ricevuto la telefonata, non risponde nessuno») né ricevere alcuna chiamata («dopo l'ora X del colloquio, nemmeno mi hanno chiamata per chiedermi come mai non mi fossi presentata»). «Questo indica quanto ci tengano a noi e al nostro stage», commenta. Oltre a Barbara, altre due lettrici hanno deciso di rifiutare la proposta dopo essere venute a conoscenza della policy di attivazione degli stage praticata dalla Curcio.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage alla Curcio: chi sono gli enti promotori? - Stagisti in massa (e da casa loro) alla Curcio, la vicepresidente: «Formazione di base» E anche: - Io, schiavo per tre anni in una piccola casa editrice- Stage gratuiti e lavoro nero, così sopravvive la microeditoria- La Cgil scende in campo per stanare gli sfruttatori di stagisti con la campagna «Non + Stage Truffa»- In un'inserzione si può celare una vera e propria truffa: quarta puntata della videorubrica per orientarsi nel mare magnum delle offerte di lavoro e stage- Quanti stagisti può ospitare un'azienda? Tutti i talloni d'Achille della normativa 

Lombardia, blocco degli stage per introdurre i nuovi indirizzi regionali

Lombardia, giornate difficili per i neolaureati in cerca di stage. Per una settimana le università della regione hanno lavorato freneticamente per adeguarsi ai nuovi indirizzi regionali in materia di tirocini. E in alcuni casi hanno dovuto sospendere l’approvazione di nuovi stage per laureati.Con il decreto della giunta regionale 3153 del 20 marzo scorso la Regione Lombardia aveva emanato gli indirizzi regionali in materia di tirocini, che rimandavano a un successivo decreto per l’approvazione degli schemi di convenzione e dei format dei progetti formativi. La Lombardia è stata una delle prime regioni a legiferare in materia dopo la nuova normativa sugli stage approvata nell’estate del 2011 (il famoso articolo 11 del decreto legge 138/2011, recentemente annullato dalla Corte costituzionale). In sintesi, gli indirizzi regionali distinguono tra stage curriculari ed extracurriculari, stabilendo poi che per la loro attivazione sia necessario un soggetto promotore, un soggetto ospitante, un tutor didattico organizzativo e un tutor aziendale (interno o esterno all’azienda).Tutte misure ben note, in attesa però delle disposizioni attuative da parte della Regione. Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, la giunta regionale ha quindi completato il percorso per rendere efficace la delibera: il 27 novembre è stato emanato il decreto 10956, che approva le indicazioni per l’avvio dei tirocini curriculari ed extracurriculari. E il decreto 365 del 23 gennaio ha infine precisato il metodo di applicazione delle indicazioni operative così emanate.In particolare, il regolamento regionale modifica drasticamente il calcolo del rapporto tra stagisti extracurriculari e dipendenti assunti, includendo nel novero di questi ultimi anche i lavoratori con contratto a tempo determinato o di collaborazione non occasionale della durata di almeno 12 mesi, oltre ai liberi professionisti e i soci lavoratori. Ampliando, di fatto, il numero di tirocinanti che le aziende possono inserire a parità di lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Proprio questo punto contrasta direttamente con le recenti linee guida in materia di tirocini, approvate dalla Conferenza Stato-Regioni il 24 gennaio. Che stabiliscono espressamente che la proporzione tra stagisti extracurriculari e dipendenti debba essere calcolata conteggiando solo i lavoratori assunti a tempo indeterminato dall'azienda in questione. Le Regioni sono chiamate a recepire le linee guida legiferando in materia di tirocini entro i prossimi 6 mesi; resta da vedere se la giunta regionale lombarda prossima ventura recepirà appieno anche le indicazioni sul calcolo del rapporto dipendenti/stagisti nella prossima legge regionale, o se piuttosto farà valere la competenza esclusiva di decidere in materia, riconosciuta costituzionalmente, distaccandosi dalle indicazioni concordate col ministero del Lavoro in sede di Conferenza Stato-Regioni. Di certo il fatto che la normativa locale del 2011 sia stata resa operativa nel giro di poche settimane, e proprio a ridosso dell'approvazione delle linee guida, lascia supporre che la volontà della giunta uscente non coincida pienamente con quanto stabilito nell'intesa con il governo, almeno su questo punto. Il risultato più immediato del nuovo regolamento regionale è che gli atenei della regione si sono dovuti attivare per raccogliere nuove informazioni dalle aziende circa il numero di dipendenti secondo i criteri di calcolo riveduti e corretti, modificando al tempo stesso le procedure di attivazione dei tirocini per rispettare i nuovi requisiti. A farne le spese, però, sono stati i giovani che si sono trovati impossibilitati ad attivare stage nella settimana di pausa forzata.Una lettrice della Repubblica degli Stagisti ha chiesto così aiuto attraverso il forum: «Sono una neolaureata della Bicocca, da noi hanno bloccato gli stage per i laureati con un avviso quantomeno vago: "Sospensione stage laureati: a seguito della pubblicazione del Regolamento Regionale Lombardia, per poter provvedere all'adeguamento normativo conseguente, con effetto immediato (9/1/2013) viene sospesa l'approvazione e la pubblicazione di stage per laureati". Ho chiamato più volte l'università ma nessuno sembra essere in grado di darmi informazioni precise a parte il fatto che "tra 2 giorni la situazione si sbloccherà di sicuro". Io però nel frattempo ho praticamente perso il posto di lavoro con contratto di stage che mi era stato offerto! Nelle altre università lombarde com'è la situazione? Qualcuno sa dirmi qualcosa?».Una segnalazione importante, dato che solo le università milanesi, come emerso dalla mappatura effettuata l'anno scorso dalla Repubblica degli Stagisti per il Comune di Milano, attivano ogni anno la bellezza di 21mila tirocini tra curriculari ed extracurriculari. Marisa Civardi, responsabile placement dell’università Bicocca di Milano, commenta così gli sviluppi degli ultimi giorni alla Repubblica degli Stagisti: «Purtroppo la sospensione degli stage è stata indispensabile per adeguarci al nuovo regolamento regionale. Le nuove norme avevano chiesto una serie di adeguamenti e di ridefinizione di tutte le procedure di attivazione dei tirocini. La Regione ha forse sottovalutato l’impatto del regolamento sugli atenei lombardi». L’aggiornamento ha quindi coinvolto tutte le università della Regione: «C’è stata sì un’interruzione di servizio, ma non di lavoro. I rappresentanti delle università e della Regione si sono incontrati e confrontati per procedere nel modo più celere possibile. Alcuni dei controlli richiesti dal regolamento avrebbero richiesto l’invio nelle aziende di veri e propri ispettori, di cui gli atenei non dispongono. Quindi abbiamo trovato un punto di incontro con la Regione e abbiamo inviato alle aziende formulari e questionari riformulati secondo le nuove esigenze».Il blocco degli stage è durato una settimana e, assicura la responsabile Bicocca, è già terminato: «Mi dispiace che la nostra laureata abbia avuto dei disagi. Non abbiamo potuto dare comunicazioni più precise in merito perchè neanche noi sapevamo bene quanto tempo ci sarebbe voluto per adeguare le procedure di attivazione degli stage», conclude Civardi.L'aspetto più preoccupante è però che questi indirizzi regionali sono molto distanti, in alcuni punti addirittura diametralmente opposti rispetto alle linee guida appena concordate a livello Stato-Regioni. E dunque c'è il rischio più che concreto che questo blocco, in sostanza, non sia servito a nulla: perchè in capo a sei mesi la Lombardia dovrebbe modificare i suoi indirizzi per renderli uniformi ai principi espressi nelle linee guida, modificando molti aspetti: in primis quello della proporzione tra stagisti e dipendenti.di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in Lombardia- Stage in Lombardia, i punti controversi della bozza del regolamento regionale: niente rimborso spese obbligatorio, di nuovo 12 mesi di durata e apertura alle aziende senza dipendenti- I sindacati rispondono alla Regione Lombardia: «Nella proporzione numerica tra stagisti e dipendenti non si devono contare anche i precari»

Les 4 di Promuovi Italia, una ex collaboratrice denuncia: «Migliaia di stage senza sbocchi»

A.G. ha 35 anni ed è originaria della provincia di Taranto. Dal 2006 al marzo del 2012 ha lavorato per Promuovi Italia, l’agenzia alle dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri che gestisce interventi di sviluppo nel settore turistico come il programma Lavoro e Sviluppo 4. Sei anni di contratti a progetto, rinnovati di volta in volta per due, tre o sei mesi: contratti che l'hanno costretta a vivere in una situazione di precariato spinto in prima persona, con il paradosso di avere come lavoro quello di collocare nel mercato del lavoro disoccupati e inoccupati. Una vicenda per molti versi simile a quella di Katia Scannavini, lasciata a casa da Italia Lavoro dopo un'analoga sequela di contratti a progetto proprio nel momento in cui era rimasta incinta. Anche A.G. ha subito la stessa sorte. Alla Repubblica degli Stagisti però non si è rivolta solo per denunciare il sopruso subito in prima persona, ma anche per sollevare il velo su quel che accade all'interno di Promuovi Italia, specialmente con gli ingenti fondi pubblici a disposizione per iniziative di “occupabilità” nelle zone svantaggiate del Paese, e testimoniare il suo disagio di fronte in particolare ai progetti di tirocini finanziati con i fondi dell’Unione Europea. «Ricordo il caso di un’azienda che mi chiese se potesse licenziare i propri dipendenti per riprenderli come tirocinanti. Una proposta talmente assurda che dissi immediatamente di no senza neanche segnalarla ai superiori. Ma ce n’erano altre che volevano inserire parenti come tirocinanti pagati dallo Stato per non fare nulla: non avevano affatto bisogno di stagisti ma ne approfittavano ugualmente visti i finanziamenti pubblici», racconta A.G. alla Repubblica degli Stagisti.In ogni caso il lavoro di A.G. sembrava apprezzato, tanto da valerle un viaggio premio aziendale, una menzione d’onore in una delle pubblicazioni di Promuovi Italia e il continuo rinnovo del rapporto di collaborazione. Poi, però, è rimasta incinta. E dopo il periodo di gravidanza, allo scadere del contratto in corso, per la prima volta è stata lasciata a casa.A.G. si è rivolta alla Repubblica degli Stagisti con una richiesta di Help: «Non ho potuto fare a meno di ritrovarmi nelle parole scritte da Marianna Lepore nel suo articolo "Italia Lavoro aiuta i cittadini a trovare un impiego, ma lascia a casa i suoi collaboratori", perchè anch'io, come la protagonista dell'articolo, dopo 6 anni di collaborazione e dopo un periodo di maternità obbligatoria sono stata "scaricata" senza alcuna spiegazione».E a questo punto A.G., tradita dall'azienda a cui ha dedicato sei anni di lavoro, decide di togliersi qualche sassolino dalle scarpe raccontando come funziona il progetto Lavoro e Sviluppo 4 e descrivendo le storture che lo caratterizzano. «Sento di essere stata complice nel tradimento che Promuovi Italia compie sistematicamente nei confronti di migliaia di miei coetanei che vengono inseriti in stage che solo in rari casi hanno un reale fondamento di esistere e ancora più raramente riescono a sboccare in una offerta di lavoro seria e concreta. Vorrei riscattarmi nei confronti delle giovani "prede" mettendole in guardia nei confronti di organismi di questo tipo».A.G. racconta così la propria vicenda alla Repubblica degli Stagisti: «Ho cominciato a collaborare con Promuovi Italia nel 2006. Sono laureata in economia del turismo e, dopo aver saputo che  cercavano collaboratori nella provincia di Taranto, ho inviato la mia candidatura e sono stata inserita con un contratto a progetto. Il mio ruolo era quello di assistente per le imprese e il territorio. In pratica avevo il compito di contattare le aziende di Taranto e provincia che avessero ottenuto finanziamenti in base alla legge 488 del '92 [le uniche che possono usufruire dei programmi Les 4. L'elenco è gestito dal ministero del Lavoro e non è mai stato reso pubblico, ndR], presentare loro i nostri progetti e chiedergli se volessero aderire. Dopodichè, lavorando insieme ai tutor e con l’autorizzazione dei miei superiori, dovevo effettuare gli inserimenti dei ragazzi come stagisti. Molto spesso erano le aziende stesse a segnalarci dei nomi, più raramente dovevo attivarmi per aiutarle a individuare i giovani candidati».Ogni assistente aveva l’incarico di inserire un certo numero di tirocinanti. Nel caso di A.G. si parlava, in media, di 80-100 stagisti per ogni stagione turistica. La direzione centrale di Promuovi Italia metteva sotto pressione i collaboratori sul territorio: «Periodicamente si tenevano riunioni in cui venivano proiettate delle tabelle con i nomi degli assistenti, i tirocini realizzati fino a quel momento e le offerte di lavoro ricevute dai ragazzi. Ma sinceramente non so quali fossero le conseguenze per chi non conseguiva il numero minimo di inserimenti: io ho sempre raggiunto la mia quota». Questo approccio quantitativo, però, sacrificava del tutto la qualità: «Ci hanno sempre parlato di numeri. Non c’era il tempo di seguire con cura ogni inserimento e nessuno ci badava».Le condizioni del programma, sulla carta, sembrano vantaggiose per i tirocinanti, che percepiscono una borsa lavoro mensile di 500 euro, un’indennità di prima sistemazione una tantum di 250 euro, un’indennità sostitutiva di mensa di circa 300 euro al mese, rimborsi per i trasporti e coperture assicurative Inail e Rc, per una durata massima degli stage pari a 6 mesi. La copertura economica, però, non arriva dalle imprese ma da uno stanziamento pubblico pari a 60 milioni di euro, proveniente per l'80% dal Fondo sociale europeo e per il 20% dall'apposito fondo di rotazione nazionale.Promuovi Italia ha sempre fatto vanto delle condizioni offerte agli stagisti e della percentuale di offerte di lavoro che sono arrivate ai ragazzi al termine dei tirocini. Già nel 2011 dalla società comunicavano che più del 70% dei tirocinanti complessivi ne aveva ricevuta almeno una. Ma secondo A.G. il calcolo includeva anche contratti di lavoro a chiamata o a tempo determinato, senza alcuna possibilità reale di inserimento dopo la loro conclusione: «Nell’arco di tutti questi anni ho lavorato con circa 20 aziende. Di queste, solo 4-5 erano serie ed erano interessate a inserire davvero i ragazzi in pianta stabile. Alle imprese partecipanti non era richiesto di proporre un numero minimo di offerte di lavoro dopo la conclusione dei tirocini. Se però non ne facevano nessuna, noi assistenti smettevamo di lavorarci, di includerle nella lista delle aziende papabili in cui inserire i ragazzi. Allora, pur di continuare a usufruire del programma, la maggior parte delle aziende offriva ai ragazzi incarichi precari, o addirittura il lavoro a chiamata, senza creare sbocchi occupazionali concreti. Gli stagisti, inoltre, erano impiegati come vera e propria manodopera gratuita: altro che tirocini "formativi"».Anche la natura stessa del progetto (un finanziamento sociale europeo che paga i tirocinanti al posto delle aziende) avrebbe dato adito a tentativi di abuso da parte delle imprese, primo fra tutti l'inserimento di ragazzi come tirocinanti anche quando non ve ne era alcuna esigenza. «Non le si poteva escludere tutte perchè il numero di aziende papabili era così ristretto, e il numero di tirocinanti da inserire così elevato, che bisognava comunque continuare a lavorare sempre con le stesse società, pur sapendo già dal principio che gli stage non avrebbero portato a nulla».In questo scenario desolante si inserisce la vicenda personale di A.G: «Durante la gravidanza, nel 2010, mi sono accorta che sul lavoro venivo progressivamente isolata. Non venivo informata delle riunioni, avevo sempre meno incarichi. Quest’ultimo punto poteva anche essere normale vista la stagionalità tipica del settore turistico, per cui ci sono mesi con un basso carico di lavoro, ma sentivo che qualcosa era cambiato». I sospetti di A.G. si sono dimostrati fondati: il periodo di maternità obbligatoria è finito a maggio del 2011 e a giugno, allo scadere del contratto, non le è stato offerto alcun incarico ulteriore.L’agguerrita collaboratrice si è rivolta a una rappresentante del Nidil di Taranto: «Quando si è informata le hanno detto che la qualità del mio lavoro era insufficiente: strano che se ne siano accorti dopo sei anni e tutti i riconoscimenti precedenti... Inoltre hanno detto che avevo attivato un numero eccessivo di tirocini in una singola azienda. Si trattava però di una catena con  un numero elevato di alberghi che poteva accogliere più ragazzi, in proporzione al personale. E inoltre avevo chiesto l’autorizzazione al mio responsabile. Alla fine sono riuscita ad  ottenere un ulteriore contratto di sei mesi, che si è concluso a marzo. Questa volta ero stata "declassata" a tutor, ma era evidente che era  un contratto "forzato" e senza alcuno sbocco per accontentare e non far fare troppo chiasso alla rappresentante del sindacato».Da questa esperienza ad A.G. è rimasta un’amara consapevolezza: «Sono ormai convinta di aver buttato via questi anni, investendo le mie energie in qualcosa che in realtà non seguiva nessuna aspirazione, ma girava con il vento politico per rimanere in piedi».La Repubblica degli Stagisti ha contattato Promuovi Italia illustrando le critiche di A.G. e chiedendo se vi fossero smentite o commenti. Dalla società hanno scelto di rispondere in maniera estremamente sintetica, respingendo di fatto le accuse senza però dare spiegazioni ulteriori: «La situazione giuridico-legale di A.G. sarà trattata nelle sedi opportune. In merito alle critiche rivolte al progetto, sono strettamente personali e soggettive e non attengono all’oggettività e alle finalità dello stesso». Ad oggi, il progetto Lavoro e Sviluppo 4 resta comunque sospeso alla luce delle evoluzioni della scena politica e in attesa di una possibile revisione per il futuro. Nel frattempo A.G. si ritrova con un bimbo da mantenere e senza lavoro, perchè improvvisamente ritenuta - dopo aver lavorato per sei anni dentro Promuovi Italia, da precaria, con risultati ritenuti buoni dai suoi stessi superiori - non abbastanza capace.   di Andrea Curiat   Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage, maxi-finanziamento europeo da 60 milioni per disoccupati di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Ma tra i criteri di selezione non c'è l'età;- Progetto di stage "Les 4" di Promuovi Italia: la scheda con tutte le informazioni utili;- Lavoro e sviluppo 4, milioni di euro ma non si sa a chi: la lista delle aziende c'è ma non si vede. Ministero, e la trasparenza?;- Tirocini Les 4, la Repubblica degli Stagisti gira le domande dei suoi lettori agli organizzatori: ecco le risposte di Promuovi Italia

Lo strano caso di Controcampus e dei tesserini fantasma

Un tesserino da giornalista pubblicista sventolato sotto il naso dei collaboratori - ma sempre irraggiungibile, proprio come la proverbiale carota. I lettori della Repubblica degli Stagisti segnalano ancora una volta quello che appare come un caso di comportamento poco corretto da parte di una testata giornalistica. L’oggetto delle critiche è Controcampus.it, portale di informazione via web dedicato al mondo degli studenti universitari.Il caso è complesso. Da un lato ci sono le accuse dei collaboratori della testata, che sostengono di essere tenuti in scacco con la promessa di ottenere il tesserino da giornalisti pubblicisti, senza però ricevere alcun compenso o ricevuta per il lavoro prestato. Il pagamento degli articoli, spiegano, sarebbe stato trattenuto per una non meglio definita "quota associativa" il cui importo, però, non è mai stato loro comunicato.Dall’altro lato c’è la difesa di Mario Di Stasi, direttore di Controcampus.it, che alla Repubblica degli Stagisti giura che le collaborazioni fossero del tutto volontarie e che fosse chiarissimo che non sarebbero state retribuite. Le affermazioni di Di Stasi sono corroborate dalle note che è necessario sottoscrivere per cominciare a collaborare; ma, contemporaneamente, sono contraddette dalle testimonianze dei due ex collaboratori, e da quanto riportato più e più volte in articoli ed editoriali pubblicati sullo stesso portale Controcampus, in cui si afferma che la testata offre proprio la possibilità di ottenere il tesserino da pubblicista.Per fare chiarezza è opportuno cominciare dalle segnalazioni inviate al servizio «Help» della Repubblica degli Stagisti. Alessandro [il nome è di fantasia, per proteggere l’anonimato del lettore]  racconta così la propria esperienza: «L'ufficio relazioni di Controcampus prospetta una collaborazione della durata di due anni finalizzata al conseguimento del tesserino da pubblicista. Quando si inviano gli articoli, però, non viene riconosciuto alcun compenso». Già questo sarebbe un fattore anomalo. Per ottenere il tesserino da pubblicista, infatti, è necessario che l’attività giornalistica non sia a titolo gratuito, ma regolarmente retribuita. Il regolamento specifico varia di Ordine in Ordine, a seconda delle Regioni (Controcampus vanta collaboratori su molte città italiane, dal Nord al Sud Italia), ma è sempre richiesto agli aspiranti pubblicisti di presentare le ritenute d’acconto ricevute nel biennio di attività per gli articoli pubblicati.Come se non bastasse, sembra anche che Controcampus preveda una quota associativa a carico dei collaboratori. Alessandro riferisce così la risposta dell’ufficio relazioni di Controcampus dinanzi a una richiesta di chiarimenti circa il funzionamento della pratica: «Ci hanno risposto via mail in questo modo: “la testata è edita da un’associazione, quest’ultima in quanto tale prevede una quota associativa. La quota associativa è il corrispondente che viene versato per lo stesso socio ai fini della sua pratica, per cui la stessa ritenuta d’acconto viene scalata dalla quota associativa e nulla in tal caso viene inviato all’associazione. Per cui a termine collaborazione le forniremo cud e documentazione valida per testimoniare la sua collaborazione”». Da questo testo contorto e confuso emergono alcuni dettagli: Controcampus prevede una quota associativa; i collaboratori sono tenuti a pagarla; il compenso degli articoli viene destinato a pagare la quota; ma i collaboratori non vedono alcuna ricevuta sino al termine dei due anni ipotetici di collaborazione. «Però non abbiamo mai saputo l'ammontare della quota associativa, né come importo preciso ma neanche in via approssimativa: tutto il sistema è davvero campato per aria», aggiunge Alessandro. Insomma, sembra che dalla redazione nessuno si sia mai preso il disturbo di chiarire ai collaboratori a quanto ammonta la quota associativa cui vengono destinati i compensi "fantasma" degli articoli. Senza tenere conto, poi, del fatto che ogni collaboratore può scrivere un numero variabile di articoli entro un minimo mensile: possibile che la quota associativa vari insieme all'ammontare di lavoro dei ragazzi? Il meccanismo descritto da Alessandro, insomma, è paradossale e privo di senso; sembra lecito pensare che sia stato ideato ad hoc per giustificare, in modo posticcio, il fatto che i ragazzi non ricevano neanche un euro di riconoscimento per il proprio lavoro.Sempre secondo Alessandro, inoltre, le regole stabilite dalla redazione di Controcampus ai fini della continuità collaborativa sarebbero draconiane: «Bisogna inviare almeno otto articoli al mese, con una media di due a settimana. In più sono richiesti anche appunti personali su approfondimenti e studi universitari che non hanno nulla a che vedere con degli articoli di giornale». Ma la politica più strana è quella della revisione degli articoli... ex post: «Ogni trimestre, un “ufficio relazioni” rivede tutti gli articoli pubblicati dai singoli collaboratori. Può capitare, così, che un pezzo già pubblicato da settimane - e con l’approvazione del caporedattore di riferimento - venga giudicato, a posteriori, non aderente alle regole redazionali, con motivazioni quantomeno vaghe. Il risultato è che il rapporto di collaborazione risulta irregolare e la supposta pratica per il tesserino da pubblicista riparte da zero».Contemporaneamente anche un’altra collaboratrice di Controcampus, Alessia [anche qui il nome è di fantasia], si fa avanti e contatta la Repubblica degli Stagisti attraverso Facebook: «Anche io sono vittima della scorrettezza di Controcampus... addirittura azzerano gli articoli. Perchè non li correggono subito? Perchè non dicono subito che non sono idonei alla rubrica? No, lo fanno dopo molto tempo per farti ricominciare daccapo. È un’ingiustizia».È evidente che il meccanismo descritto da Alessandro e Alessia, se effettivamente applicato nei termini descritti dalle testimonianze e in assenza di ricevute, permetterebbe a un qualsiasi editore di far lavorare gratuitamente i collaboratori dinanzi al miraggio del tesserino. Sarebbe sufficiente, ogni trimestre, affermare che alcuni degli articoli pubblicati non siano “validi”, per trasformare il lavoro dei ragazzi in una vera e propria fatica di Sisifo.Nel migliore dei casi ci si trova dinanzi a un regolamento oscuro e contraddittorio, in grado di esasperare anche il più volenteroso dei collaboratori e comunque non aderente alle regole degli Ordini in materia di pubblicisti. Nel peggiore dei casi, si potrebbe pensare a un vero e proprio meccanismo messo in piedi per attrarre i collaboratori con la chimera del tesserino.La Repubblica degli Stagisti ha quindi contattato il direttore di Controcampus, Mario Di Stasi, per una serie di chiarimenti. Di Stasi si rifiuta di rispondere a buona parte delle domande, sostenendo di non voler creare polemiche e mettendo in dubbio le motivazioni che hanno spinto Alessandro ed Alessia ad avanzare le accuse: «Supponiamo per intenderci il caso di un qualche collaboratore allontanato dalla nostra realtà perché più volte segnalato come autore di pubblicazioni non originali o comunque non realizzate secondo il proprio ingegno o attraverso i mezzi che il giornalismo richiama, quali interviste e raccolta fonti certe. Ancora supponiamo il caso di chi in passato nonostante l'espressa nostra indicazione scritta in note sulla scheda di collaborazione circa la gratuita e volontarietà abbia preteso determinati oneri».Di Stasi infatti ribadisce più volte via mail che la collaborazione con Controcampus è «gratuita e volontaria», come indicato nella scheda note ed informazioni pubbliche che deve essere accettata al momento di sottoporre la candidatura per la collaborazione. Ed effettivamente nella scheda è scritto testualmente (seppure in piccolo) e molto chiaramente: «La collaborazione a questo giornale telematico è da considerarsi assolutamente gratuita, esente da qualsiasi forma di rimborso o compenso anche futuro. La collaborazione del sottoscritto equivale solo per soddisfare gratificazione e ambizione personale. Per la collaborazione, gli articoli e per tutto il materiale pubblicato, non riceverai alcun compenso in termini economici. In nessun caso ti sarà dovuto un compenso economico per il materiale da te inviato a Controcampus».Caso chiuso in favore del direttore? Non proprio, perchè questa stessa nota sembra in contrasto non solo con le comunicazioni che Alessandro riferisce di aver ricevuto da Controcampus via mail e tramite Facebook, ma anche con le affermazioni pubbliche della redazione in numerose altre pagine del sito. In un editoriale del maggio 2011, a firma Domenico Lanzara e intitolato “Tirocinio: esperienza professionale, crediti formativi e tesserino da pubblicista”, si legge infatti testualmente: «Controcampus sta lavorando, in questi giorni, per accreditarsi presso il maggior numero di Atenei con Facoltà umanistiche che prevedono il tirocinio obbligatorio/facoltativo anche presso testate giornalistiche» e poco dopo: «L’esperienza formativa offerta non si ridurrà ad una semplice accrescimento delle competenze in materie giornalistiche; Controcampus sa quanto sia importante collegare effettivamente la formazione personale ad una futura carriera, in questo caso, in campo giornalistico ed è per questo che consente ai suoi articolisti di acquisire il tesserino da pubblicista». L’articolo dunque contraddice apertamente la politica della collaborazione gratuita: perché il tesserino da pubblicista non si ottiene in seguito a un semplice stage o tirocinio formativo, nè con collaborazioni gratuite.Forse l’articolo è vecchio e nel frattempo qualcosa è cambiato? No: nel marzo 2012 la redazione rincara la dose. E in un articolo si legge addirittura: «In questa selva oscura molti sono pure gli sciacalli che speculano sui sogni dei ragazzi, chiedendo di scrivere per qualche fatto con le false promesse di un futuro posto in redazione o di certificare gli articoli per raggiungere l’ambito traguardo dell’iscrizione all’albo dei pubblicisti. [...] Poi esistono siti come Controcampus che danno l’opportunità di ottenere il tesserino di pubblicista». Più chiaro di così. Insomma, paradossalmente Controcampus finisce per puntare l’indice contro gli “sciacalli” dell’editoria... per poi comportarsi a sua volta in maniera impropria.Per chiudere una volta per tutte la questione, la Repubblica degli Stagisti ha contattato un’ultima volta Di Stasi con una domanda secca: è mai stata prospettata ai collaboratori la possibilità di ottenere il tesserino da pubblicista? Ma l’unica risposta, stavolta, è stata il silenzio.di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Caso Controcampus, la testimonianza: «Solo spiegazioni contraddittorie sul tesserino "gratuito"» E anche:- Aspiranti giornalisti, attenzione agli annunci di stage a pagamento in Rete: la richiesta di help di tre lettori- Antonio Loconte: «Cari aspiranti giornalisti, lasciate stare e fate gli idraulici»- Che fine faranno i pubblicisti? Ordine dei giornalisti in subbuglio per la riforma delle professioni