Categoria: Editoriali

Milledodici, ovvero almeno mille euro netti al mese per almeno un anno. Ecco le condizioni minime per offerte di lavoro dignitose

Cosa cerca chi viene a navigare qui sulla Repubblica degli Stagisti? Innanzitutto notizie e approfondimenti. Sappiamo che i nostri lettori sono nel 99% giovani tra i 20 e i 30 anni, che stanno facendo o hanno finito l'università e che cercano un contatto con il mondo del lavoro. Qui offriamo loro la più preziosa delle alleate: l'informazione. Attraverso i nostri articoli diamo notizia delle buone occasioni, dei passi avanti (o indietro) della normativa, degli scandali legati agli stage-truffa. La Repubblica degli Stagisti è poi anche un luogo dove i lettori possono direttamente trovare opportunità: attraverso l'iniziativa OK Stage permettiamo a decine di aziende di pubblicare annunci di ricerca stagisti, chiedendo però loro l'impegno a rispettare la Carta dei diritti dello stagista.Ma i nostri lettori non sono interessati soltanto ai tirocini. Se ne trovano uno che fa al caso loro, pagato bene e con buone prospettive di assunzione, certo lo prendono al volo. Ma quello che cercano è un canale di ingresso nel mondo del lavoro. E quindi abbiamo capito che era giunto il momento di fare un passo in più, e occuparci in prima persona non solo dell'universo stage, ma anche dei primi contratti.Ci siamo chiesti, allora, quali fossero le esigenze più pressanti dei giovani italiani. Ne abbiamo individuate due. Prima di tutto, i soldi: i lavori sottopagati sono purtroppo all'ordine del giorno, e non è raro sentirsi offrire lavori a tempo pieno compensati con poche centinaia di euro al mese. In Italia, a differenza di molti Paesi europei, non è infatti in vigore il salario minimo, quello che in Inghilterra chiamano minimum wage (poco meno di 6 sterline l'ora, l'equivalente di 1100 euro al mese) e in Francia smic (1300 euro al mese). In secondo luogo, la prospettiva: i contratti troppo spesso durano pochi mesi, addirittura a volte poche settimane, e magari vengono rinnovati a singhiozzo, tre mesi e poi altri tre mesi e poi forse altri tre, senza dare nessuna certezza ai giovani lavoratori nemmeno per il brevissimo periodo.Partendo da queste due esigenze la Repubblica degli Stagisti ha posto le sue due "linee del Piave", le condizioni minime che dovrebbero essere offerte a tutti, per garantire la possibilità di mantenersi autonomamente e di poter progettare il proprio futuro almeno nel medio periodo. La prima linea è lo stipendio: almeno mille euro netti al mese per un impegno full time. La nostra base d'asta, l'importo minimo sotto il quale pensiamo che nessun datore di lavoro dovrebbe mai spingersi, per rispetto dei suoi collaboratori. La seconda linea è la durata: almeno 12 mesi, perché un anno è una prospettiva dalla quale si può partire per fare qualche progetto, mentre una durata inferiore condanna a sentirsi continuamente in balia degli eventi, con una bomba ad orologeria sotto la sedia.Abbiamo chiamato questo nuovo progetto Milledodici: le aziende che sceglieranno di parteciparvi - quattro già lo hanno fatto: Leroy Merlin, C.P Informatica, Mainsoft e Accenture - si impegnano a pubblicare sulla Repubblica degli Stagisti solamente annunci in linea con questi due requisiti-base, e con sei tipologie contrattuali: apprendistato, inserimento, tempo determinato, tempo indeterminato, contratto a progetto, categorie protette. Da Milledodici sono esclusi tra gli altri la collaborazione occasionale, la collaborazione a partita Iva e il lavoro somministrato. È escluso anche il contratto di sostituzione maternità perché, pur essendo un buon contratto, esso non può per sua stessa natura garantire il requisito dei 12 mesi di durata – dato che solitamente non si sa quanto la neomamma sceglierà di far durare il congedo maternità. Il contratto a progetto è invece incluso, perché garantisce già alcune tutele (come per esempio il versamento dei contributi) - e, se usato bene, un buon grado di autonomia - ma sopratutto perché è in questa tipologia che si annidano più spesso i lavori sottopagati: e quindi è proprio lì che un'iniziativa come Milledodici è più utile.Certo, di siti web che pubblicano annunci ce ne sono già moltissimi. Però nessuno pone un filtro alla base: nessuno pone condizioni ai suoi inserzionisti, pretendendo che pubblichino solo annunci di un certo tipo. E che poi rispettino in sede di proposta le condizioni dichiarate nell'annuncio. Noi sì.Sulla Repubblica degli Stagisti quindi da ieri la pagina "annunci" si è sdoppiata: da una parte resta quella delle offerte di stage, dall'altra inauguriamo quella delle inserzioni di lavoro. In questo modo i nostri lettori potranno d'ora in poi avere uno spazio protetto in cui saranno sicuri di trovare solo opportunità dignitose, con contratti di almeno un anno, e stipendi di almeno mille euro netti al mese.Ecco il nuovo impegno della Repubblica degli Stagisti: non solo tutelare i tirocinanti, ma agire concretamente per stimolare un miglioramento generale delle condizioni contrattuali offerte ai giovani.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Il sito, la Carta, il Bollino: ecco le nuove ali della Repubblica degli Stagisti- La Carta dei diritti dello stagista ispira Regioni, associazioni politiche e siti web a tutelare gli stagisti. A cominciare dal rimborso spese

Per avere più giovani in politica: «Ragazzi, alle elezioni votate i vostri coetanei»

Qualche settimana fa su Vanity Fair la giornalista Barbara Palombelli tuonava contro la proposta di equiparare l’elettorato passivo e quello attivo: eliminare cioè quel bizantinismo che in Italia prevede che si possa votare a 18 anni per la Camera dei deputati, ma che i candidati deputati debbano avere almeno 25 anni, e che si aspetti di compierne 25 per votare per il Senato (dove invece per essere eleggibili bisogna avere almeno 40 anni). Il succo del discorso della Palombelli era che i ragazzi italiani a 18 anni sono ancora sui banchi di scuola, dipendono da mamma e papà, non sono maturi e quindi è già tanto che possano votare per uno dei rami del Parlamento, figuriamoci avere (in potenza) la possibilità di entrare a farne parte e rappresentare (1/630esimo) del popolo italiano.L’altro giorno sul Corriere della Sera due economisti di peso, Giavazzi e Alesina, remavano in senso contrario invocando un «provvedimento più radicale che sblocchi la gerontocrazia che domina l’Italia» e proponendo di «abbassare a 16 o 17 anni l’età minima per votare» o mettere «limiti di età (ad esempio 72 anni) ai politici, ai burocrati, ai membri dei consigli di amministrazione delle società quotate».Gli italiani vivono in media 84 anni. Si nasce, si cresce, si invecchia, si muore. Nei primi anni si è bambini, non si sa parlare, non si provvede a se stessi, non si possono prendere decisioni per sé o per gli altri. Per questo non si può votare. Anche negli ultimi anni di vita nella maggior parte dei casi è così: ma dirlo è un tabù. E gli anziani conservano i loro diritti di voto attivi e passivi fino all’ultimo. Non solo quelli che restano lucidi: tutti. Rompere questo tabù vorrebbe dire ritagliare spazi ampi per i giovani, per farli entrare nelle stanze dei bottoni ed essere finalmente rappresentanti della loro generazione. Chi l’ha detto che la decisione di un 18enne sia peggio di quella di un 70enne?L’architettura della rappresentanza è sbilanciata a favore dei “grandi vecchi”, eppure numerosi studi evidenziano che l’apice delle capacità intellettuali viene raggiunto fra i trenta e i quarant’anni. I vincoli che in Italia avvantaggiano i più anziani nell’accedere a cariche e incarichi di potere non rappresentano soltanto una discriminazione verso chi è anagraficamente più giovane. Essi vanno anche a bloccare la crescita del Paese, tenendo fuori migliaia di venti-trentenni che potrebbero rinnovarlo.Un silenziatore alla competizione: i ruoli chiave vengono assegnati sulla base del mero dato anagrafico, facendo sempre prevalere l’anzianità. Quando a vincere dovrebbe essere semplicemente chi ha l’idea migliore, il più capace – che può essere il 70enne, certo. Ma può essere anche il 25enne.Ma qualche giovane già c’è!, si affretteranno a dire i cerchiobottisti. Già, c’è. Di solito si chiama come un vecchio – e la cosa non è casuale perché di quel vecchio politico, o imprenditore, o professore, o medico è il figlio o il nipote. Oppure è molto bello/a. Al di fuori di queste categorie i giovani di potere sono più unici che rari. I deputati al di sotto dei trent’anni per esempio sono quattro. Aggiungendo quelli sotto i quarant’anni si arriva a quota 53.Peccato che gli italiani tra i 18 e i 39 anni siano 17 milioni, il 28% della popolazione. Quelli potenzialmente eleggibili alla Camera, con la legge attuale, 12 milioni e mezzo: grossomodo il 21% dei cittadini. Eppure in Parlamento ci sono soltanto 53 under 40, il 9% del totale dei deputati. Al Senato sono completamente assenti, per effetto della norma appassionatamente difesa dalla Palombelli. Questo è il motivo per cui le leggi vengono costruite e approvate pensando quasi esclusivamente alla difesa dello status quo, senza attenzione per i bisogni e i problemi delle giovani generazioni.Io qualche volta, lo confesso, ho paura a farmi rappresentare da persone tanto navigate, ma che non sanno aprire la posta elettronica. A Barbara Palombelli suggerirei di guardare all’estero, dove i giovani non sono penalizzati per la loro età, vengono valorizzati e messi in condizione di arrivare – se lo vogliono e ne hanno le capacità – a posizioni di potere e rappresentanza. E però ai giovani italiani suggerirei di rimboccarsi le maniche: fare politica, associazionismo, impegno civile; non avere paura a impegnarsi; non mettersi in rassegnata attesa del proprio turno. E sopratutto sostenere tra i candidati alle elezioni, là dove possibile, i propri coetanei. Il sistema non si inverte che dall’interno. Eleonora Voltolinapubblicato sul blog del Fatto Quotidiano

In Nordafrica i giovani hanno deciso che il loro tempo è adesso. E in Italia?

In diversi Paesi del Nord Africa e dell’area araba i giovani hanno detto basta, non ci stiamo più. Hanno fatto sentire la propria voce e prodotto un cambiamento che non è eccessivo definire epocale. Le nuove generazioni sono, del resto, da sempre le migliori alleate del cambiamento. Non hanno interessi precostituiti e sono portatrici di una visione nuova della realtà. La contrapposizione con lo status quo diventa tanto più forte quanto più il sistema è bloccato e le opportunità  di valorizzazione delle proprie specifiche competenze sono ristrette, ma anche quanto più alta è la consapevolezza che una stagione nuova va iniziata con il proprio contributo attivo.Se questo in Italia non avviene non è solo per il fatto che le nuove generazioni italiane pesano demograficamente di meno. Se il nostro Paese è socialmente immobile, economicamente anemico, incapace di innovare e di rinnovarsi, è anche perché i giovani sono diventati una forza timida e remissiva. Non appaiono più il motore del cambiamento. Sono una specie di “esercito immobile”. Non c’è nessun “stringiamoci a coorte” risorgimentale per cambiare il corso della storia. Ma solo tante piccole storie individuali di sommersi e (parzialmente) salvati. I motivi sono molti. Ma tra questi c’è forse anche il fatto che sono stati sinora più indotti a considerarsi più figli destinatari di aiuti e favori dai genitori che cittadini con pieni diritti da difendere e da promuovere nei confronti dello Stato. Del resto promozione e protezione sociale in questo Paese arrivano quasi esclusivamente dalla famiglia di origine ed è quindi ai genitori che i giovani in primis si rivolgono quando le cose non vanno. Parando così i colpi a valle senza incidere sulle cause a monte di un sistema che diventava sempre più squilibrato.Difficile dire se scoppierà una rivolta generazionale anche da noi. Se ci sarà avrà sicuramente caratteristiche diverse da quelle dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Quello che è certo è che l’insoddisfazione e l’insofferenza dei giovani stanno raggiungendo livelli di guardia. La soluzione può arrivare solo da una offerta politica credibile, come è sembrato essere Obama negli Stati Uniti, o con la produzione di cambiamento che spontaneamente germina dal basso. Magari con modalità tutte da inventare, ma di certo dovrà essere collettiva. Quello che ha sinora frenato i giovani è stata, come abbiamo detto, la loro reazione individuale che li ha portati ad andarsene all’estero o a chiedere maggiore aiuto ai genitori. Da soli si può anche trovare una propria via di salvezza, ma solo assieme si cambia e si migliora strutturalmente la società in cui si vive, e questo le nuove generazioni italiane stanno iniziando a capirlo.La mobilitazione di sabato 9 aprile promossa dal comitato “Il nostro tempo è adesso” è senz’altro un segnale positivo in questa direzione. Alessandro RosinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Gioventù di nuovo in primo piano: dalla copertina del Time alle piazze italiane- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'esteroE anche:- Il nostro tempo è adesso: quasi cento associazioni, siti web, sezioni di partito, giornali, collettivi aderiscono alla manifestazione del 9 aprile- «Il nostro tempo è adesso»: Claudia Cucchiarato e Teresa Di Martino spiegano perchè sono promotrici dell'appello. L'elenco dei primi 300 firmatari

Chiariamo: la Repubblica degli Stagisti non è un'associazione non profit. Ed è per questo che potete leggerla

Cari lettori, da ormai qualche settimana serpeggiano sulla Rete insinuazioni sulla Repubblica degli Stagisti. Poiché la calunnia è un venticello, tagliamo la testa a tutte le polemiche pretestuose parlando, come è nostra consuetudine, con franchezza e sfatando qui di seguito - se ce ne fosse bisogno - miti, voci e illazioni.Sì, la Repubblica degli Stagisti è una testata giornalistica edita da una società, la Ventidue srl, e non un'entità non profit. Io ne possiedo il 90%, il restante 10% è di proprietà di mio marito che ne è anche amministratore. I suoi bilanci sono pubblici, consultabili alla Camera di commercio come la legge prevede, e per la cronaca sono anche in passivo come spesso accade alle attività nate da poco tempo. La srl è stata costituita all'inizio del 2009, al termine di un anno e mezzo di puro volontariato (ai tempi del blog "Repubblica degli Stagisti" su blogspot) per permettere prima di tutto a me di potermi dedicare a questo progetto a tempo pieno, traendone quindi uno stipendio. La (momentanea) povertà della testata, e la sua indipendenza, sono sinonimo della sua libertà: non dovendo rendere conto a nessun grande gruppo o investitore, abbiamo una libertà totale rispetto alla gestione editoriale.No, la Ventidue srl non gode di nessun aiuto pubblico, di fondi regionali, di contributi statali o europei. Non ha finanziatori occulti, filantropi, non è beneficiaria di lasciti o donazioni. Non gode di sgravi fiscali di alcun tipo. No, la Repubblica degli Stagisti e la Ventidue srl non sono legate ad alcun partito, non hanno colore politico, non ricevono sponsorizzazioni da soggetti politici.Sì, la  Ventidue srl, società editrice della Repubblica degli Stagisti, vive principalmente delle quote di adesione ai progetti OK Stage e ChiaroStage pagate dalle imprese presenti su questo sito nelle parti riservate alle aziende. Come spieghiamo bene nelle relative sezioni, le aziende che aderiscono firmano un accordo quadro assolutamente innovativo che prima impegna ciascuna a rispettare i criteri del progetto al quale aderisce (OK Stage o ChiaroStage), e in seguito le permette di apparire sul nostro sito e  anche di pubblicare annunci se partecipa a OK Stage. Nel caso non rispetti uno dei criteri, l'azienda perde contrattualmente la possibilità di essere presente sul sito. Se una simile formula "etica" di advertising - «non pubblichiamo le tue pubblicità se non assicuri determinati impegni sociali» - fosse adottata dalle grandi testate nazionali, avrebbe una forza dirompente. Sarebbe una rivoluzione - che noi, nel nostro piccolo, già facciamo. La scelta del modello economico è anche stata dettata dalla volontà di far ricadere sui soggetti più forti (le aziende) piuttosto che su quelli più deboli (i lettori) il "mantenimento" del sito.No, il fatto di essere "profit", ovvero di vendere dei servizi sul nostro sito, non è in contrasto con gli scopi etici che contraddistinguono la Repubblica degli Stagisti. Siamo fermamente contrari all'equazione «commerciale = anti-sociale». Noi svolgiamo un'attività commerciale eticamente rilevante e socialmente utile. Pensare che profitto ed etica siano sempre uno antagonista all'altro, uno il contrario dell'altro, vuol dire impedire lo sviluppo e negare che le aziende possano impegnarsi per migliorare il mondo nel quale vivono. Non lo diciamo solo noi, ma anche qualche premio Nobel. A questo servono i concetti della responsabilità sociale dell'impresa, da cui noi abbiamo tratto ispirazione per creare i nostri progetti, che sono assolutamente unici nel loro genere.No, non facciamo "favori" alle aziende per massimizzare i nostri profitti, chiudendo un occhio in caso non rispettino qualcuno dei criteri del progetto a cui aderiscono. Innanzitutto perché  sarebbe assolutamente controproducente per l'iniziativa stessa se venisse fuori che ci sono delle mele marce. In secondo luogo perché siamo sì proprietari di una società, ma ciò non ci impedisce di avere un'etica forte. Quando verifichiamo - e ci capita rarissimamente - la violazione di una delle nostre prescrizioni da parte di un'azienda che fa parte della nostra community, la mettiamo di fronte alle sue responsabilità e o rientra nei binari giusti o perde la possibilità di essere presente sul sito. A monte, abbiamo sempre rifiutato di accogliere nel nostro circuito aziende che non rispettavano i criteri richiesti, rinunciando quindi a entrate economiche talvolta anche molto rilevanti pur di non tradire i nostri principi. No, non viviamo nell'agio che taluni ci attribuiscono. Il nostro ufficio è situato in un seminterrato del quartiere popolare Corvetto - però ci piace molto, è luminoso e facilmente raggiungibile. Gli stipendi, per ora due, sono di circa mille euro al mese netti per un impegno a tempo pieno (il mio) e di 500 euro netti per un impegno che copre mezza giornata lavorativa. Quando la collaborazione è commerciale, sono previsti bonus legati ai risultati. Anche i collaboratori giornalisti naturalmente vengono pagati - a differenza della maggior parte delle altre testate online - in media 40 euro a pezzo.Sì, la Ventidue srl paga i suoi collaboratori: che siano giornalisti, programmatori, commerciali, commercialisti, consulenti, avvocati... Diversamente da altri riteniamo sbagliato il lavoro gratuito, non usiamo forme di collaborazione gratuite e retribuiamo al massimo di quanto ci possiamo permettere chi lavora con e per noi. Se non avessimo introiti, non potremmo pagare queste persone: il che vorrebbe dire o farle lavorare gratis o chiudere bottega - e in entrambi i casi qualcuno ci perderebbe. Non possiamo ancora assicurare stipendi alti, ma abbiamo fiducia nel futuro e speriamo di un giorno poter proporre retribuzioni più generose.Sì, stiamo cercando un collaboratore commerciale al quale proporre un contratto a progetto per seguire le iniziative OK Stage e Chiaro Stage. Per correttezza e assoluta chiarezza abbiamo subito, fin dall'annuncio, dichiarato la tipologia di contratto che offrivamo. Il carico di lavoro è tarato in modo da impegnare circa mezza giornata, e il fisso previsto di 6mila euro l'anno, cioè 500 euro netti al mese. Conosciamo e abbiamo valutato tutte le forme contrattuali esistenti per definire le nostre collaborazioni, e il contratto a progetto è l'unico economicamente sostenibile insieme alla partita IVA. Abbiamo escluso quest'ultima proprio perché non garantiva abbastanza il collaboratore. Il contratto a progetto, senza contare i bonus, costerà alla Ventidue srl circa 8.700 euro l'anno (per assicurare al collaboratore un netto di 6mila euro). Il contratto di apprendistato - part-time a orari fissi - ammesso e non concesso che il candidato prescelto fosse stato under 29, sarebbe costato 10.500 euro il primo anno, per terminare a 12mila euro l'ultimo anno. Il contratto a tempo indeterminato invece avrebbe avuto un costo di 15.500 euro l'anno, dunque quasi il doppio del cocopro. In una piccola realtà come la nostra, questi sono numeri che fanno la differenza.No, non pensiamo che il contratto a progetto sia il male assoluto. Prevede i contributi versati, un ente che fa da sostituto d'imposta e una copertura assicurativa sul lavoro. Non è certo la formula migliore, ma non è neanche così incredibilmente malvagia, sopratutto se confrontata agli stage gratuiti che quotidianamente combattiamo. Incredibilmente malvagi sono i contratti a progetto senza progetto - e non è il nostro caso, il progetto qui c'è ed è chiaramente delineato. Incredibilmente malvagi sono i contratti a progetto "bomba ad orologeria", di durata brevissima, magari rinnovati di mese in mese o di sei mesi in sei mesi - e non è il nostro caso, la durata qui è di un anno, con la prospettiva di un (solo) rinnovo di un altro anno.No, il fatto che la Repubblica degli Stagisti sia una srl o che abbia al suo interno uno o più collaboratori cocopro non è in conflitto con il suo impegno politico-sociale per un miglioramento della condizione dei giovani italiani.  Anzi, la Repubblica degli Stagisti ha promosso e lanciato tante idee per l'empowerment di questi giovani e per riforme delle regole del diritto del lavoro che introducano più tutele per i contratti flessibili. E continuerà a farlo.Questo è quello che siamo. Non siamo idealisti duri e puri: non è nella nostra natura, e poi la purezza va maneggiata con cura, anche il più puro a un certo punto trova uno più puro che lo epura - e noi vogliamo evitare i fondamentalismi. Siamo eticamente realisti: il nostro giornale ha sempre tentato di individuare i punti d'intesa tra mondo dei giovani e mondo dell'impresa, e sulla base di questi punti di trovare formule che permettano alla situazione di evolversi. Abbiamo denunciato tanti abusi, affrontando aggressioni e minacce di querela, ma nel contempo abbiamo sempre valorizzato le eccellenze del mercato del lavoro, per stimolare un'emulazione positiva e fornire ai giovani pietre di paragone.Facciamo il nostro lavoro, lo facciamo bene, continueremo a farlo. Difendiamo le nostre scelte e le idee su cui esse si basano. Naturalmente ci dispiace che qualcuno non la pensi come noi, ma la storia lo insegna: più le idee sono innovative, meno è probabile che ottengano l'unanimità dei consensi.Eleonora Voltolina

Urgono nuove regole per proteggere tirocinanti e praticanti: tante idee della Repubblica degli Stagisti nel disegno di legge di Cesare Damiano

È stata presentato ieri alla Sala Stampa della Camera dei deputati un disegno di legge che mira a riordinare la materia dei tirocini formativi e dei praticantati. Primo firmatario Cesare Damiano, già ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi e oggi capogruppo del Partito democratico in Commissione Lavoro. Per costruire la proposta sono stati coinvolti  molti esperti: dai sindacati alle associazioni universitarie e dei giovani professionisti, fino alla Repubblica degli Stagisti chiamata ovviamente a suggerire il modo per contrastare i più frequenti abusi degli stage. Ascoltati tutti, Damiano e gli altri dieci firmatari  (Marianna Madia, Piero Fassino, Luigi Bobba, Marialuisa Gnecchi, Ivano Miglioli, Amalia Schirru, Donella Mattesini, Lucia Codurelli, Elisabetta Rampi, Giuseppe Berretta) hanno messo nero su bianco un ddl che contiene elementi importanti e che, se venisse approvato, porterebbe grandi miglioramenti nell'organizzazione e nella gestione degli stage e dei percorsi di praticantato, andando a incidere positivamente sulla vita dei 500mila stagisti e dei 300mila praticanti italiani.Il testo del disegno di legge torna anche buono per tre riflessioni importanti. La prima: il denaro. La proposta prevede che gli enti ospitanti eroghino almeno 400 euro al mese di emolumento, così come accade in Francia, e che stage e praticantati gratuiti debbano essere quasi aboliti: la possibilità che un giovane - ancorchè in formazione - non percepisca soldi per la sua prestazione è prevista infatti solo per periodi molto brevi. E meno male: non se ne può francamente più di stage lunghi mesi e mesi non pagati, nè di praticantati che non rispettano le più elementari norme non solo dei Codici deontologici ma anche del semplice buonsenso, costringendo laureati a sgobbare 18, 24 o addirittura 36 mesi senza vedere un euro. È più che mai necessario uscire dalla trappola del concetto di gavetta come formazione che non merita emolumento: ogni persona che dedichi tempo ed energie ad un progetto, sia in un'impresa sia in un ente pubblico sia in uno studio professionale, ha diritto ad essere pagata per il suo tempo e le sue energie. A meno che non decida di devolvere il suo tempo gratuitamente, ma quello ha un altro nome: si chiama volontariato. La seconda riflessione: le sanzioni. Nessuna legge, tantomeno in Italia, può esistere e venire rispettata se non si prevede una penalità per chi la infrange. Noi italiani siamo un po' cialtroni, ci adeguiamo a una regola solo quando c'è una pena per chi la trasgredisce: è brutto da dire ma purtroppo è così. Perfino i più colti e onesti ammetteranno che il casco in motorino e la cintura in macchina hanno cominciato a metterli regolarmente soltanto quando sono arrivate la patente a punti e le multe fameliche. Pertanto da quando la regolamentazione sui tirocini è entrata in vigore - con il decreto ministeriale 142/1998 che questo disegno di legge mira a superare - essa è rimasta poco più che un suggerimento, essendo difficilissimo non solo effettuare controlli ma perfino stabilire, qualora venga verificata una trasgressione anche grave della normativa, quale punizione applicare. E così i pochi paletti che la norma vigente prevede - il numero massimo di stagisti ospitabili contemporaneamente, la durata massima degli stage - vengono quotidianamente saltati a piè pari da tanti soggetti, imprese private ma anche enti pubblici e purtroppo anche onlus e ong, che non percepiscono l'utilizzo fuorilegge degli stagisti come un vero e proprio "sfruttamento". Ben venga, quindi, la punizione di trasformare uno stage in un contratto di apprendistato qualora emerga che il tirocinante viene usato come un dipendente. Ben venga il blocco degli stagisti, ovvero la sospensione della facoltà di ospitarne per le imprese che compiono trasgressioni "minori" - per esempio ospitare più stagisti del consentito. Da anni la Repubblica degli Stagisti propone queste soluzioni.E la terza riflessione. Si può sostenere il disegno di legge Damiano, ma non utilizzarlo come paravento per potersi piangere addosso indisturbati e immobili (i giovani, i sindacati) o proseguire a comportarsi malamente (gli imprenditori, i manager). I tempi della politica sono lunghissimi, quindi è molto scarsa la possibilità che nel breve periodo questo ddl o altri simili possano essere approvati e trasformarsi in legge. Il dm 142/1998 e le sue lacune resteranno in vigore ancora per molto tempo: bisogna attrezzarsi quindi per agire senza attendere Godot. Come ho scritto nel mio libro, nel capitolo «Fatta la legge, trovato l'inganno», la normativa è certamente importante ma non bisogna nascondersi dietro ad essa per giustificarsi: non è la sola arma in mano per chi voglia migliorare l’universo stage. C'è il potere della corporate social responsability da non sottovalutare: e un altro potere, quello della piazza (virtuale e reale), che può mettere alla berlina chi si comporta male. A nessuno piace fare brutte figure, a nessun imprenditore piace apparire come sfruttatore dei giovani, a nessun politico come sordo alle loro richieste ed esigenze. Gli spazi di azione sono pochi ma vanno utilizzati tutti. La Repubblica degli Stagisti lo fa non solo con la sua Carta dei diritti dello stagista ma anche con i progetti Bollino OK Stage e ChiaroStage, che stimolano le imprese virtuose a comportarsi bene con i propri stagisti - a cominciare dal rimborso spese - malgrado la normativa vigente non lo imponga. E lo fa con le sue inchieste giornalistiche, spesso basate sulle segnalazioni dei lettori, che fanno emergere invece quelle imprese ben meno virtuose, che violano le norme e il buonsenso contando sull'omertà e la paura dei giovani di esporsi. Ciascuno può fare la differenza: bisogna però avere il coraggio di tirare fuori la voce.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La Carta dei diritti dello stagista ispira Regioni, associazioni politiche e siti web a tutelare gli stagisti. A cominciare dal rimborso spese- L'Inps viola il codice deontologico forense, non paga i suoi 75 praticanti avvocati e ne cerca altri 400. Ed è in buona compagnia- Praticanti Inps non pagati, il caso sollevato dalla Repubblica degli Stagisti diventa un'interrogazione parlamentare- Intervista al ministro Giorgia Meloni: «Più controlli per punire chi fa un uso distorto dello stage. Ma i giovani devono fare la loro parte e denunciare le irregolarità»E anche:- Il presidente della Regione Enrico Rossi promette: «In Toscana ricevere dei soldi per uno stage sta per diventare un diritto»E leggi anche le proposte lanciate dalla Repubblica degli Stagisti:- La proposta della Repubblica degli Stagisti al ministro Sacconi: imporre a chi sfrutta gli stagisti di fare un contratto di apprendistato- Elezioni regionali alle porte: se qualche candidato se la sente di impegnarsi per i giovani, ecco le proposte della Repubblica degli Stagisti- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- Sulla gravità della violazione del codice deontologico forense da parte degli enti pubblici: l'editoriale di Eleonora Voltolina

Oggi in tutta Italia manifestazioni a difesa della Costituzione. Senza dimenticare l'articolo 36, che sancisce il diritto a retribuzioni dignitose

Oggi migliaia di persone scenderanno in piazza, a Roma e in tutta Italia, per sostenere la Costituzione. Una mobilitazione capeggiata dall'associazione Articolo 21 e realizzata grazie all'impegno molte altre reti (dalle Agende Rosse all'Anpi, dalla Cgil a Fare futuro, da Libertà e Giustizia al Popolo Viola, dall'Unione degli Universitari alla Valigia Blu) confluite nel comitato nazionale «A difesa della Costituzione».Forse non tutti sanno che la Costituzione si schiera anche contro il lavoro sottopagato. Lo fa attraverso l'articolo 36, che al suo primo comma dice: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa». Stando a questo articolo, quindi, tutti i contratti che non prevedono uno stipendio dignitoso sono anticostituzionali. Perché si può forse avere un'esistenza libera se si lavora per pochi spiccioli? No. Si può essere sereni quando non si è sicuri di arrivare a pagare l'affitto? No. Si può essere autonomi, e progettare il proprio futuro, se si sa che al primo imprevisto si dovrà bussare alla porta di mamma e papà - o della Caritas - perché qualsiasi spesa extra è off-limits? Ancora una volta, no.Purtroppo i giovani sono i primi a fare le spese di questo sistema. Innanzitutto perché vengono nella stragrande maggioranza dei casi inseriti nel mercato  attraverso contratti temporanei, che non garantiscono continuità né dal punto di vista della professione né da quello del reddito: il grande errore di rendere il lavoro flessibile fiscalmente e contributivamente più vantaggioso rispetto al lavoro stabile ha creato un mostro. Ma se almeno questi contratti temporanei fossero pagati molto bene, i giovani italiani avrebbero di che mantenersi! E invece al danno si aggiunge la beffa: a parità di mansioni, chi ha un contratto a progetto guadagna in media molto meno dei colleghi a tempo indeterminato.È venuto il momento di dire basta. Oggi in piazza l'articolo 36 andrà ricordato a tutti coloro che se ne approfittano e che offrono condizioni salariali inique: non solo imprese private ma anche tanti, troppi enti pubblici, che dovrebbero dare il buon esempio e invece finiscono per sfruttare i giovani e i precari come e peggio degli altri. Basti pensare alle docenze gratuite nelle università, o ai praticanti che mandano avanti le Avvocature di migliaia di pubbliche amministrazioni senza percepire un euro per il loro lavoro.È venuto il momento di dire basta. E dalla piazza del 12 marzo verrà lanciato l'appuntamento a un'altra piazza, quella del 9 aprile. Un appello, «Il nostro tempo è adesso - la vita non aspetta», rivolto «a chi ha lavori precari o sottopagati, a chi non riesce a pagare l’affitto, a chi è stanco di chiedere soldi ai genitori, a chi chiede un mutuo e non glielo danno, a chi il lavoro non lo trova e a chi passa da uno stage all’altro, alle studentesse e agli studenti che hanno scosso l’Italia, a chi studia e a chi non lo può fare, a tutti coloro che la precarietà non la vivono in prima persona e a quelli che la “pagano” ai loro figli». Per ribellarsi. Per riprendersi il presente e il futuro.Oggi l'evento principale sarà a Roma, con un corteo che partirà da piazza della Repubblica alle 14 e passando per via Barberini e via Sistina arriverà a piazza del Popolo. Hanno già preannunciato la loro partecipazione artisti come Ottavia Piccolo, Monica Guerritore, Ascanio Celestini, Roberto Vecchioni, Daniele Silvestri. In altre cento città ci saranno manifestazioni e cortei: a Milano in largo Cairoli, dalle 15 alle 19, con l'organizzazione di Qui Milano Libera e la partecipazione tra gli altri di Nando dalla Chiesa, Salvatore Borsellino, Dario Fo, Moni Ovadia, ed Eleonora Voltolina della Repubblica degli Stagisti in rappresentanza dei firmatari dell'appello «Il nostro tempo è adesso - la vita non aspetta».Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Sulla gravità della violazione del codice deontologico forense da parte degli enti pubblici: l'editoriale di Eleonora Voltolina- La testimonianza di Francesca Esposito: «Ho interrotto il mio praticantato presso l'Inps perchè non mi davano un euro»- Articoli pagati 2,50 euro e collaborazioni mai retribuite. Ecco i dati della vergogna che emergono da una ricerca dell'Ordine dei giornalistiE anche:- Mantenere i figli è un obbligo per i genitori, anche se sono adulti e vaccinati. Ma chi ci perde di più sono proprio i giovani- «Stagisti sfruttati, ribellatevi: anche il sindacato sarà al vostro fianco»: la promessa di Ilaria Lani, responsabile Politiche giovanili della Cgil

Trovare lavoro è un reality show: parte stasera la nuova trasmissione «Il Contratto» su La7

È opportuno affrontare il tema dell'occupazione giovanile attraverso un reality show? Si può affidare a una trasmissione televisiva in prima serata il racconto del percorso, tortuoso e spesso molto sofferto, che i giovani italiani si trovano quotidianamente ad affrontare per trovare un lavoro decente e uno stipendio dignitoso? La domanda è al centro del dibattito da quando, un paio di settimane fa, su La7 hanno cominciato ad andare in onda gli spot della nuova trasmissione «Il Contratto», sottotitolo «Gente di talento», che vedrà in ogni puntata tre concorrenti (pardon, candidati) disputarsi un contratto a tempo indeterminato messo in palio da un'azienda. Molte sono le incognite: gli autori della trasmissione manterranno la promessa di banalizzare il meno possibile questo tema tanto delicato? La conduttrice, la 39enne Sabrina Nobile, saprà tenersi in equilibrio tra i casi particolari dei candidati e la condizione generale dei giovani italiani, afflitti da una disoccupazione alla soglia del 30%, da contratti privi di tutela e da salari ai limiti dell'indigenza? Nel comunicato stampa di lancio della trasmissione si legge che la conduttrice, affiancata dal presidente di HR Community Giordano Fatali, «commenterà le riprese della settimana di training e del periodo dello stage per delineare il profilo emerso di ciascun candidato». Lo stage sarà il momento centrale della trasmissione, perché durante questo periodo di formazione «i tre finalisti abiteranno nella stessa casa» e quindi «i telespettatori avranno la possibilità di conoscere storie, ansie e difficoltà della ricerca di un impiego». A priori si possono individuare in questa operazione mediatica alcuni aspetti positivi e altri negativi. I primi stanno nel contributo che head hunters, psicologi del lavoro e specialisti della selezione del personale dovrebbero apportare alla trasmissione, valutando i candidati davanti alle telecamere e fornendo indicazioni su quali cv risultano più efficaci, come è meglio presentarsi ai colloqui, e trucchi e accorgimenti per superare gli assessment di gruppo. Questa visuale «dal fronte opposto» spesso manca ai ragazzi, che cercano di confrontarsi tra loro ma non hanno il più delle volte gli elementi necessari a capire i meccanismi che stanno dietro alle selezioni e i criteri di valutazione degli addetti HR.Gli aspetti negativi si possono riassumere in uno: il rischio di spettacolarizzare la fase della ricerca di lavoro, riducendola a un gioco. Quando nella vita reale è tutto tranne che un gioco: e di possibilità di ricevere la proposta di un contratto a tempo indeterminato i giovani ne hanno davvero poche.Nella prima puntata i tre protagonisti si sfideranno per per un posto di telesales representative presso Monster. L'aspetto che colpisce di più delle informazioni anticipate da La7 è l'età dei candidati: Giovanni, 32 anni, siciliano laureato in filosofia; Manuela, 39enne sarda diplomata all'Accademia di Belle Arti; Dario, 36enne milanese laureato in Economia. Non propriamente dei giovincelli in cerca di una prima occasione.La trasmissione parte stasera. Dodici puntate in programma, collocazione in primetime alle 21:10 e anche in diretta web sul sito di La7. Per giudicare con cognizione di causa, non resta che vederla.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Michel Martone: «Il Contratto porta in tv la vita vera di chi cerca lavoro»- Disoccupazione giovanile, la vera emergenza nazionale: l'SOS di Italia Futura e le interviste a Irene Tinagli e Marco Simoni- Il deputato Aldo Di Biagio spiega la sua interrogazione: «Bisogna difendere chi ha lauree "deboli" dalla discriminazione nelle selezioni»- Istat, pubblicato il nuovo rapporto sull'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: situazione preoccupante sopratutto al SudE anche:- Peter Pan non per scelta ma per forza: nelle pagine di «Gioventù sprecata» i motivi che impediscono ai giovani di diventare adulti- Basta davvero un clic per trovare lavoro? Il Ministero del lavoro investe 400mila euro in un nuovo portale per l'impiego

Dieci buoni motivi lasciare l’Italia (e poi tornare): l'editoriale di Alessandro Rosina

Il punto di vista di un outsider che invita i giovani a riappropriarsi del loro futuro: con questo nuovo editoriale Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un paese per giovani (Marsilio) prosegue la sua collaborazione con la Repubblica degli Stagisti. Domani entra in vigore la legge sugli incentivi fiscali a favore del rientro in Italia dei “giovani” lavoratori (nati dopo il primo gennaio 1969). Un segnale positivo nella direzione di dare maggior peso e riconoscimento al capitale umano delle nuove generazioni. Il provvedimento approvato ha il pregio di essere stato disegnato in modo non tanto da frenare l’espatrio, ma di incentivare congiuntamente sia la scelta di fare un’esperienza all’estero, di almeno due anni, che il rientro. [Qui tutti i dettagli sui requisiti necessari per accedere agli incentivi]. Ma perché i giovani italiani se ne vanno sempre di più dal nostro paese e per quali motivi dovrebbero tornare? Proponiamo un elenco di dieci punti aperti alla discussione.Cinque motivi per andarsene...1) Perché chi vive in Italia si trova sulle spalle un debito pubblico enorme lasciato dalle generazioni precedenti ed usato per difendere il proprio benessere, non utilizzato per cambiamenti strutturali del paese.2) Perché chi vive in Italia fa più fatica a veder valorizzato il proprio capitale umano, le opportunità occupazionali sono più basse e si investe poco in ricerca e sviluppo.3) Perché chi vive in Italia si trova con un sistema di welfare inadeguato, che ha trasformato la flessibilità in precarietà e costretto i giovani a dover dipendere a lungo dalle risorse della famiglia di origine.4) Perché chi vive in Italia paga, con le sue tasse, le pensioni di chi oggi è anziano ma si troverà con un trattamento molto più ridotto quando andrà lui in pensione. Tutto questo grazie ad una riforma previdenziale fortemente iniqua dal punto di vista generazionale.5) Perché chi rimane in Italia vive in un paese con ricambio generazionale bloccato, basato su cooptazione e nepotismo. Un paese guidato da una classe dirigente tanto longeva quanto poco lungimirante, non in grado di far crescere il paese e molto arroccata sulle proprie posizioni di potere.… e cinque motivi per tornare1) Perché l’Italia rimane il proprio paese d’origine e non lo si può abbandonare al proprio destino. Tanto più che le potenzialità per tornare a crescere ed essere competitivi ci sono. Come fosse una Ferrari guidata da un settantenne: lui magari si diverte ma non ci può far vincere il Gran Premio. 2) Perché la politica è in crisi e larga parte della classe dirigente italiana è screditata. Servono energie ed intelligenze non compromesse con il vecchio per costruire le basi di un nuovo rinascimento. 3) Perché chi ha avuto un’esperienza all’estero tende ad essere più dinamico e innovativo, può essere quindi il migliore alleato per un cambiamento virtuoso nel nostro paese.4) Perché proprio per il motivo che poco è cambiato sinora, molte opportunità di cambiamento e sperimentazione del nuovo potranno aprirsi nei prossimi anni. C’è un’Italia nuova tutta da reinventare.5) Perché non è necessario tornare per dare un proprio contributo attivo al rinnovo del proprio paese. In un mondo sempre più globalizzato e connesso in rete la presenza fisica dentro ai confini conta sempre meno. L’Italia è di chi se ne prende cura, ovunque si trovi, non di chi la “calpesta”.Alessandro RosinaLeggi anche gli altri editoriali di Alessandro Rosina per la Repubblica degli Stagisti:- L'Italia è un paese per vecchi che parlano di giovani- Gioventù di nuovo in primo piano: dalla copertina del Time alle piazze italiane- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero- L'intramontabile Marcello Lippi e la disfatta ai Mondiali: c'è bisogno urgente di un ricambio generazionale- Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari

L'Italia è un paese per vecchi che parlano di giovani

Il punto di vista di un outsider che invita i giovani a riappropriarsi del loro futuro: con questo nuovo editoriale Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un paese per giovani (Marsilio) prosegue la sua collaborazione con la Repubblica degli StagistiÈ davvero difficile essere giovani in Italia. In questi giorni si parla molto di nuove generazioni, ma manca un’attenzione sincera nei loro confronti. Si sono viste molte lacrime di coccodrillo e anche un po’ di ipocrisia. «Non fiori ma opere di bene» verrebbe da dire, se ciò non suonasse un po’ cupo. Ecco un esempio di come, anche nel migliore dei casi, cultura e informazione continuino ad essere dominate da vecchie logiche: in un numero recente, quello del 6 gennaio, il quotidiano La Repubblica ha dedicato ai giovani  le pagine del suo “R2Diario”. All’interno di tale spazio di approfondimento viene usualmente proposto anche un elenco di libri di riferimento sul tema trattato. Ci si poteva legittimamente attendere che, parlando di difficoltà dei giovani ad emergere e ad essere valorizzati, si fosse anche coerentemente dato spazio ad alcuni libri scritti da giovani stessi sul tema. Non certo secondo la logica delle quote verdi, ma prendendo in considerazione titoli che, non meno degli altri indicati, hanno venduto e sono entrati nel dibattito pubblico. Anche perché uno degli aspetti più interessanti di questi ultimi anni è proprio dato dalle riflessioni di trentenni e dintorni sulle condizioni della propria generazione (e di quelle successive). Tutto questo nelle suddette pagine di Repubblica è stato quasi completamente ignorato. L’età media degli autori dei diciotto titoli citati è quasi doppia rispetto alla generazione di cui parlano. Tre di essi sono addirittura defunti. Gli unici under 40 sono Concetto Vecchio, giornalista di Repubblica e autore di Giovani e belli, e Maurizio Merico che al momento della pubblicazione del suo Giovani e società aveva poco più di trent'anni. Dei titoli proposti, quindi, solo uno su dieci è stato scritto da un autore che appartiene al mondo che racconta. Nulla di male – ma senz’altro una decisione molto parziale e discutibile. Senza nessuna pretesa di completezza cogliamo allora l’occasione per proporre un controelenco, anche questo arbitrario e di parte, ma che almeno ha il merito di segnalare libri sull’argomento scritti da persone con un’età media non superiore ai 35 anni. Non proprio un aspetto trascurabile in questo strano paese.Alessandro RosinaControelenco (alternativo a quello proposto da Repubblica, 6 gennaio 2011)- Generazione mille euro, di Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa, Rizzoli 2006.- L’Italia spiegata a mio nonno, di Federico Mello, Mondadori 2007- Generazione Tuareg. Giovani flessibili e felici, di Francesco Delzìo, Rubbettino 2007 - Curriculum atipico di un trentenne tipico, di Fabrizio Buratto, Marsilio 2008 - La fuga dei talenti, di Sergio Nava, San Paolo 2009- Non è un paese per giovani. L’anomalia italiana: una generazione senza voce, di Elisabetta Ambrosi e Alessandro Rosina, Marsilio 2009 - Vivo altrove. Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi, di Claudia Cucchiarato, Bruno Mondadori 2010 - La Repubblica degli stagisti. Come non farsi sfruttare, di Eleonora Voltolina, Laterza 2010- Non siamo figli controfigure, di Benedetta Cosmi, Sovera 2010 - Gioventù sprecata. Perché in Italia si fatica a diventare grandi, di Marco Iezzi e Tonia Mastrobuoni, Laterza 2010Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Libri sui giovani: il quotidiano La Repubblica consiglia quelli scritti dai vecchi, la Repubblica degli Stagisti risponde col suo controelenco di autori under 40 E leggi anche gli altri editoriali di Alessandro Rosina per la Repubblica degli Stagisti:- Gioventù di nuovo in primo piano: dalla copertina del Time alle piazze italiane- Umberto Veronesi, la fatica delle donne e dei figli suoi: ma in verità sono i figli di nessuno che fanno una fatica bestiale per emergere- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero- L'intramontabile Marcello Lippi e la disfatta ai Mondiali: c'è bisogno urgente di un ricambio generazionale- Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari- Sanremo e l’arte del finto rinnovamento: spazio ai giovani (vedi Valerio Scanu) a patto che abbiano dietro un grande vecchio (vedi Maria De Filippi)

Gioventù di nuovo in primo piano: dalla copertina del Time alle piazze italiane

Il punto di vista di un outsider che invita i giovani a riappropriarsi del loro futuro: con questo nuovo editoriale Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un paese per giovani (Marsilio) prosegue la sua collaborazione con la Repubblica degli Stagisti.Ogni anno la rivista Time dedica la sua copertina al personaggio più rappresentativo del nostro tempo. Per il 2010 è stato scelto Mark Zuckerberg, il creatore di Facebook. Si tratta del volto più giovane - 26 anni - ad aver conquistato tale onore dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Un buon segnale, no? Significa che questo secolo offre opportunità per i giovani. Ma ciò accade soprattutto dove ai nativi digitali vengono dati effettivamente spazio e mezzi per esprimere il proprio talento. Dove conta più chi ha i numeri che la forza della famiglia di origine alle spalle. Dove si investe molto in sviluppo e ricerca, stimolando quei settori dove lo spirito innovativo e creativo dei giovani può essere al meglio valorizzato. Nel nostro paese questo non avviene. Noi preferiamo più sfruttare che valorizzare i giovani. Siamo un paese che anziché crescere mettendo a frutto le potenzialità delle nuove generazioni, le sta forzando a rivedere al ribasso le proprie ambizioni e aspettative per adeguarle ad un sistema rassegnato al declino. Questo accade sia per l’incapacità della nostra vecchia classe dirigente di capire e cogliere le sfide di questo nuovo secolo, sia per la strenua difesa del potere acquisito e delle rendite di posizione a scapito dell’investimento nel nuovo e nel cambiamento. Se in questi giorni gli studenti protestano in piazza non è tanto per la legge Gelmini in sé, ma per un’insoddisfazione più ampia nei confronti di chi finora ha difeso le prerogative del presente tagliando sul futuro dei giovani. E’ il tentativo di una generazione di trovare voce e farsi sentire. Si sta forse facendo strada una nuova forma di consapevolezza e azione, che usa la contestazione a tale riforma come palestra per prepararsi a ben altri obiettivi. Chissà, vedremo. I rischi, forti e insidiosi, sono quelli della violenza e della strumentalizzazione. Solo dimostrando di essere più intelligenti e creativi dei vecchi al potere si può vincere. L’alternativa è quella di rassegnarsi alla gerontocrazia. Ad un paese che si avvia nel prossimo decennio ad avere più elettori over 50 che under 50 (si vedano i dati del Rapporto di ManagerItalia). Se non cambia qualcosa oggi sarà più difficile che la svolta arrivi domani. Senza uno shock generazionale rischiamo di diventare un paese vecchio dentro, rassegnato e sfiduciato, dove essere giovani continuerà a significare “immaturi”, anziché “avanguardie del nuovo”. Zuckerberg sulla copertina del Time sta lì a indicarci che un destino diverso è possibile.Alessandro RosinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Solo otto consiglieri regionali under 35 eletti in Lombardia: giovani senza rappresentanza e senza voce- Elezioni alle porte: se tutti votassimo un candidato giovane, entrerebbe un po' di aria fresca nei consigli regionali- Quando l'eredità genitori-figli è un peso: un libro spiega perché l'Italia soffre di «immobilità diffusa». Con qualche idea per cambiare E leggi anche gli altri editoriali di Alessandro Rosina per la Repubblica degli Stagisti:- Umberto Veronesi, la fatica delle donne e dei figli suoi: ma in verità sono i figli di nessuno che fanno una fatica bestiale per emergere- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero- L'intramontabile Marcello Lippi e la disfatta ai Mondiali: c'è bisogno urgente di un ricambio generazionale- Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari- Sanremo e l’arte del finto rinnovamento: spazio ai giovani (vedi Valerio Scanu) a patto che abbiano dietro un grande vecchio (vedi Maria De Filippi)