Categoria: Approfondimenti

Dolce attesa per chi? In una commedia la maternità ai tempi del precariato

Fare un figlio non sarà stato facile neanche in passato. Ma essere precari oggi in Italia – dove l'indice di natalità è tra i più bassi in Europa - rende la maternità praticamente un sogno proibito: una percorso a ostacoli che può scoraggiare tante giovani donne. Ed è proprio sui turbamenti di una futura mamma trentenne che indaga lo spettacolo teatrale Dolce Attesa per chi?, commedia brillante scritta dalla speaker radiofonica Betta Cianchini e diretta da Marco Maltauro, presentata a Roma alla Fonderia delle Arti. La rappresentazione romana del 24 febbraio, l'ultima per il momento, è stata un susseguirsi di applausi e risate. Perché, nonostante la tematica forte e a un passo dal dramma, la storia è affrontata con leggerezza e ironia. Nella messa in scena si assiste a uno sdoppiamento della personalità di una ragazza incinta, a due visioni - una cinica e l'altra più romantica - della maternità. Bianca (Giada Prandi) ha trent'anni e - neanche a dirlo - un contratto a progetto. Neppur il suo compagno può garantirle un briciolo di stabilità: lui è un cervello in fuga, costretto per fare carriera a emigrare dall'altra parte del mondo. In questo contesto zeppo di complicazioni, Bianca non fa che interrogarsi sulla scelta di diventare madre, cosciente che il suo capo potrebbe licenziarla, che non può fare affidamento sui servizi – nulli – offerti dalla sua città, che non potrà concedersi nessun acquisto extra, che lo shopping anzi sarà azzerato, che la madre ha l'Alzheimer e via dicendo con altre mille difficoltà. Di fronte a le c'èi il suo alter ego (Cristiana Vaccaro), che a seconda della scena diventa compagno, amica, anima e mente a cui trasmettere angoscia e frustrazione, e da cui ricevere risposte pungenti ma spesso esilaranti che sdrammatizzano la triste condizione di chi non può permettersi di gioire fino in fondo per l'arrivo di un bebé. Solo perché precario. Si può fare un bambino con un compagno ricercatore precario che pensa di andare all’estero? Rimanere o seguirlo? Cosa fare se non si hanno i nonni a disposizione? Come conciliare il desiderio di maternità con il lavoro? Sono solo alcuni dei dilemmi che attanagliano Bianca ogni giorno. Ha fatto bene l'amica, la bravissima Vaccaro (che indossa i panni di un soldato, perché gli abiti di scena rappresentano la guerra del quotidiano) a incastrare un uomo ricco – anche se sordo – che le concede un tenore di vita elevato? Comica la scena in cui snocciola la lista dei gadget 'di lusso' che allietano la sua gravidanza: dalle calze contenitive alla panciera, niente costa meno di 30 euro: cifra proibitiva per la povera Bianca. Per la coppia precaria neanche l'assistenza sanitaria è un diritto: ci vogliono mesi per una visita, ed è un colpo azzeccatissimo quando in scena si ascolta la registrazione di una vera telefonata al cup del servizio sanitario nazionale. L'attesa per un appuntamento diventa eterna. Difficile dire chi vincerà tra la parte sentimentale e quella razionale di Bianca, fra testa e cuore: le battute rivelano tutto il nervosismo di chi non sa se sarà all'altezza del compito di essere madre e avverte un malessere di fondo difficile da celare. Bianca passa in un attimo dalla felicità per la pancia che cresce alla preoccupazione di dover fare tutto da sola e alla paura di un futuro incerto. «Il famigerato orologio biologico si è inceppato o forse le donne italiane hanno paura di farlo suonare?», si legge nel comunicato dello spettacolo. La divertente pièce offre alcune risposte, con una interpretazione sarcastica ma briosa della vita. Il progetto di Dolce attesa per chi?, sostenuto da Future Health - banca di tessuti umani specializzata nella conservazione di cellule staminali - nasce sulla scia dello spettacolo Post Partum della stessa autrice Betta Cianchini, dedicato al tema del maternity blues: una sorta di leggera depressione post partum che colpisce tre neomamme su quattro. Proprio dai messaggi ricevuti dagli spettatori di quel primo spettacolo la Cianchini dichiara di aver tratto l'ispirazione: «La mole di testimonianze di donne (e non solo) che hanno raccontato le loro tragicomiche avventure mi hanno dato lo spunto per studiare, e nel mio caso anche ricordare, cosa avviene prima del grande giorno».  Le prossime rappresentazioni saranno a Carpi, l'8 e il 9 marzo.Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Maternità precaria: per avere un sussidio meglio essere ragazza madre- Indennità di maternità per le precarie, quanto danno le casse previdenziali dei professionisti- Inps: la dura legge dell'indennità di maternità alle lavoratrici precarieE anche:- Katia Scannavini: «Italia Lavoro non ha tutelato la mia gravidanza»

Non solo mele, con TechPeaks a Trento si coltiveranno anche start-up

Accogliere cento talenti da tutto il mondo, aiutarli a sviluppare il loro progetto imprenditoriale e sostenere anche economicamente fino a 30 start-up nel settore delle telecomunicazioni. Dura 18 mesi il progetto TechPeaks, lanciato dalla provincia autonoma di Trento in collaborazione con l'associazione Trento Rise e la società Trentino Sviluppo. Obiettivo finale: dare vita al più importante acceleratore d'impresa pubblico di tutto il Paese.Possono partecipare al bando - la scadenza per presentare la domanda è fissata per il 5 aprile - sia singoli sia gruppi composti da un massimo di tre persone. In questo secondo caso, è richiesto che almeno due componenti abbiano esperienza nel settore delle Tlc. E, soprattutto, che la squadra che si presenta abbia già un'idea imprenditoriale innovativa da proporre, elemento non richiesto a chi invece si candida individualmente. La selezione terrà conto in particolar modo delle esperienze nell'ambito della ricerca e dello sviluppo di software, oltre che di eventuali esperienze pregresse all'interno di start-up innovative.I candidati selezionati potranno accedere alla fase 1 del programma, che durerà dal 30 maggio al 31 dicembre. Le prime settimane saranno dedicate ad attività di coaching personale, dedicate alla creazione e all'affinamento delle idee imprenditoriali dei singoli. Quindi verranno costituiti dei gruppi di lavoro, composte da un minimo di tre ad un massimo di cinque persone, che non necessariamente dovranno rispecchiare la composizione dei team eventualmente ammessi al progetto. A questo punto i partecipanti avranno la possibilità di confrontarsi con gli oltre 500 ricercatori attivi nel settore delle Tlc presenti sul territorio trentino, con imprenditori del comparto telecomunicazioni e con potenziali investitori italiani ed internazionali.Durante questi sei mesi i techpeakers riceveranno un rimborso spese pari a 500 euro, avranno a disposizione un alloggio e potranno accedere a pasti a prezzi convenzionati. Oltre, ovviamente, ad avere una postazione di lavoro con collegamento alle Rete. In cambio, dovranno trasferirsi in Trentino e partecipare ad un programma di “Restituzione al territorio”, ovvero dedicare un periodo di tempo compreso tra le 20 e le 50 ore alla diffusione della loro esperienza, ad esempio tenendo seminari nelle scuole secondarie di secondo grado o nelle facoltà dell'Università degli Studi di Trento. Oppure offrendo agli studenti percorsi di tirocinio all'interno della start-up.Obiettivo finale di questa prima parte del progetto è che ogni gruppo di lavoro definisca un progetto imprenditoriale. Le idee saranno valutate da una commissione e quelle ammesse alla seconda parte del programma riceveranno un contributo a fondo perduto pari a 25mila euro. Per ottenerlo sarà necessario che i componenti della squadra diano vita ad una società con sede in Trentino. Queste imprese saranno le protagoniste della seconda fase di TechPeaks: un anno di tempo per la ricerca di un investitore privato che finanzi il progetto imprenditoriale. Le aziende che raggiungeranno questo obiettivo potranno avere accesso ad un matching fund: in pratica, riceveranno una cifra pari a quella dell'investimento privato, per una somma massima di 200mila euro. Il contributo potrà essere erogato in varie forme: come partecipazione al capitale sociale, come finanziamento agevolato oppure come anticipazione finanziaria. In cambio, la start-up dovrà mantenere una sede operativa in Trentino per almeno tre anni.Entro la fine del 2014 la provincia autonoma di Trento si candida così ad ospitare il più importante acceleratore d'impresa pubblico dedicato alle telecomunicazioni. Un progetto che si inserisce in un contesto che già ospita centri di ricerca come la Fondazione Bruno Kessler e una delle sei sedi europee degli EIT-ICT Labs e che entro il 2018, in anticipo rispetto alla scadenza fissata dall'Agenda digitale europea, progetta di cablare tutte le utenze Internet, sia pubbliche che private. Insomma: dopo le mele, oggi la provincia autonoma di Trento si candida a coltivare start-up.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di altri acceleratori di impresa? Leggi anche:- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partire- H-Farm. Boox e Nanabianca, un'«alliance» per sostenere le start-up- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag MilanoVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Solwa, la start-up padovana che purifica l'acqua con l'energia solare- Dalla Romania a Torino per diventare startupper. E italiano- Tiny Bull Studios, la start-up che guarda al futuro dei mobile game- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni

Non solo sono le meno finanziate tra quelle dei Paesi Ocse. Ma negli ultimi quattro anni hanno visto costantemente ridursi le risorse messe a disposizione dallo Stato. Il risultato è che le università italiane stanno assistendo ad un vero e proprio crollo delle immatricolazioni. Mentre cresce il rischio di fuga all'estero dei talenti più brillanti.È lungo l'elenco dei mali che affliggono l'università italiana stilata dal Consiglio universitario nazionale nel corso dell'adunanza di fine gennaio, intitolato 'Le emergenze del sistema'. Il primo tema sollevato dal Cun riguarda le risorse a disposizione del mondo accademico. L'Italia, secondo dati Ocse del 2009, investe appena l'1% del suo prodotto interno lordo nell'università. In particolare, il governo stanzia appena lo 0,8 per cento. Peggio fa solo il Regno Unito, dove però i privati mettono a disposizione una somma pari allo 0,7 per cento del Pil. Dato che riporta lo stanziamento britannico in linea con la media dei 21 Paesi UE, che al mondo accademico destinano l'1,5% del prodotto interno lordo. Una percentuale che sale all'1,6% se si considerano i Paesi Ocse. In definitiva, la spesa italiana per la formazione universitaria è pari a due terzi di quella degli altri Stati europei.Eppure lo scorso novembre proprio il Consiglio d'Europa scriveva che «anche in un periodo di scarse risorse finanziarie, investimenti efficienti ed  adeguati nei settori favorevoli alla crescita quali l'istruzione e la formazione  costituiscono una componente fondamentale dello sviluppo economico e della  competitività, i quali a loro volta sono essenziali per la creazione di nuovi posti di  lavoro». Appello che in Italia è rimasto lettera morta. Anzi, al contrario, la spesa per l'università è in costante calo dal 2009: da allora, quando ministro era la berlusconiana Maristella Gelmini, ad oggi, con il 'tecnico' Francesco Profumo che pure è stato rettore del Politecnico di Torino. Una riduzione costante il cui risultato è che, si legge nel rapporto del sodalizio guidato da Andrea Lenzi [nella foto a sinistra], «il fondo di finanziamento ordinario ha conosciuto una contrazione delle  risorse tanto da essere, per il 2013, inferiore all’ammontare delle spese fisse a carico  dei singoli atenei», chiamati quindi a recuperare risorse per chiudere i bilanci. Operazione complessa per alcune facoltà, ai limiti dell'impossibile in tempi di crisi. L'alternativa è quella di tagliare i costi.Di fronte a questo quadro «appare consolidarsi il rischio di un incremento dell’emigrazione intellettuale delle giovani generazioni». Insomma si torna alla fuga dei cervelli. Del resto come biasimare i giovani ricercatori che accettano offerte dall'estero quando gli stipendi «per le fasce iniziali di accesso ai ruoli, possono arrivare al 50-70% in più di quanto percepito in Italia»? Ma questi numeri sono solo il preludio all'allarme finale lanciato nel suo rapporto dal Cun, che parla di una tendenza «particolarmente preoccupante» legata ad una «non trascurabile flessione delle immatricolazioni». Stando infatti all'anagrafe degli studenti gestita dal ministero dell'università gli iscritti all'università sono passati dai 338mila del 2003 ai 280mila dell'anno accademico 2011/2012. Si tratta di un calo di 58mila studenti, pari al 17 per cento del totale. Per capire meglio, è come «se in un decennio fosse scomparso un ateneo grande come la Statale di Milano».Per un Paese come l'Italia, che nel 2010 era al 34simo posto per numero di laureati, che nella fascia tra i 30 ed i 34 anni sono il 19% contro una media europea del 30, non è certo un dato incoraggiante. Lo scorso anno, ricorda il rapporto, Roma si è impegnata a portare al 26-27% la percentuale di popolazione in possesso di un diploma di laurea. Per riuscirci il primo passo è ricominciare ad investire, e dare una decisa scalata alla classifica Ocse che nel 2009 vedeva l'Italia al 32simo posto per la spesa in educazione terziaria rispetto al Pil. Però per farlo il prossimo governo dovrà invertire la tendenza, rimpolpando finalmente i fondi per l'università e sopratutto per il diritto allo studio. Riccardo SaporitiHai trovato interessante questo articolo? Leggi anche:- Università, fuga col bottino: dal Veneto alla Sicilia, in scadenza oltre 40mila euro in premi di laurea- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'ossoE anche:- I giovani sono i più colpiti dalla crisi, il Cnel: «Sempre più difficile trovare il lavoro per cui si è studiato»- Borse di studio, un montepremi complessivo a cinque zeri finanzia formazione e idee

Aspiranti startupper a caccia di finanziamenti? Ecco bandi e concorsi da non perdere

Dall’idea all’impresa sola andata. Un viaggio non privo di ostacoli soprattutto nella fase di ricerca dei finanziamenti. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto in una rassegna bandiche offrono attività di tutoraggio e capitale da investire per dar vita a una start-up.L’Ordine dei giornalisti del Veneto, con la collaborazione Venezi@opportunità, l’Azienda speciale della CCIAA di Venezia nata nel 2010 con lo scopo di favorire la commercializzazione delle produzioni locali e offrire formazione,  fornisce una serie di servizi per permettere a giornalisti under 40 iscritti all’albo regionale di aprire imprese giornalistiche (testate, agenzie o uffici stampa, trasmissioni radiofoniche o web tv e service in formato cartaceo o online) o progetti editoriali. Una «cassetta degli attrezzi» si legge nel bando, un percorso suddiviso in 5 tappe obbligate che va da un laboratorio di formazione all’erogazione di 20mila euro a fondo perduto. Gli aspiranti startupper dovranno inviare il loro progetto compilando un form online entro venerdì 1 marzo 2013. Una commissione composta da un membro dell’Ordine dei giornalisti del Veneto, un rappresentante di Venezi@opportunità e un giornalista esperto di impresa e nuovi media, selezionerà le 20 proposte che accederanno alla fase 2 del progetto: 32 ore di lezioni per redigere il business plan con nozioni di organizzazione aziendale, marketing e comunicazione. Dopo aver partecipato al laboratorio che si svolgerà fra marzo e aprile a Marghera (Venezia), i giornalisti potranno usufruire di consulenza per individuare ulteriori finanziamenti e analizzare la fattibilità del progetto imprenditoriale. A questo punto non resta che aprire l’impresa con sede operativa nella regione Veneto e fare domanda - entro il 31 gennaio 2014 - per accedere al finanziamento. Sulla base della validità tecnico-economica dell’attività imprenditoriale e del business plan, la commissione potrà decidere di dividere il contributo di 20mila euro fra più progetti o destinarlo ad una sola impresa editoriale. «La nostra intenzione è quella di destinare il finanziamento a progetti editoriali che riescano a trovare spazio sul mercato», spiegano dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto. Consapevoli della crisi dell’editoria, l’ente prediligerà le domande «supportate da un valido piano imprenditoriale». Le 20 proposte che accederanno al progetto saranno quindi quelle che coniugheranno una buona idea editoriale a un concreto progetto di impresa. «Il grado di fattibilità sarà un elemento determinante perché è necessario avere non solo competenze giornalistiche o editoriali ma è cruciale una formazione imprenditoriale. Assistiamo sul nostro territorio alla chiusura di tante testate e emittenti televisive locali ma crediamo che progetti basati su un solido business plan possano nascere anche in un periodo di chiusure e licenziamenti».Per maggiori informazioni: segreteria [chiocciola] ordinegiornalisti.veneto.it o servizionuovaimpresa [chiocciola] ve.camcom.itSe invece si è un cervello con un’idea stanco di essere in fuga, la regione Umbria, con la collaborazione dell’Aur (Agenzia Umbria Ricerche) e Servizio emigrazione della regione Umbria, promuove, con il co-finanziamento del Fondo Sociale Europeo, «Brain Back» un concorso di idee imprenditoriali per favorire il ritorno di emigrati umbri nella regione d’origine. Studenti e lavoratori domiciliati o residenti all’estero da almeno 24 mesi hanno tempo fino al 30 maggio 2013 per presentare il progetto di una start-up o di attività di lavoro autonomo e beneficiare di un incentivo che può arrivare a 20mila euro. Il contributo andrà a coprire spese notarili e di registrazione, fidejussione bancaria/assicurativa, consulenza legale o amministrativa e investimenti in beni materiali, macchinari o attrezzature, o immateriali come software, licenze o brevetti. A valutare le proposte, sulla base del profilo degli aspiranti imprenditori e della fattibilità del progetto, sarà una commissione nominata dal direttore dell’Aur che dividerà i 200mila euro a disposizione fra i progetti ammessi a finanziamento. Entro tre mesi dall’erogazione del contributo gli startupper registreranno l’impresa, che dovrà avere ovviamente sede legale e operativa in Umbria, impegnandosi a mantenerla attiva per almeno 5 anni altrimenti dovranno restituire l’incentivo. Per la preparazione delle domande di accesso al finanziamento, gli aspiranti imprenditori potranno usufruire di un servizio di orientamento e tuturaggio da parte di Associazione Forma.AZIONE s.r.l., una società di servizi di formazione professionale e consulenza nell’area risorse umane e organizzative con sede a Perugia. Per saperne di più sul progetto «Brain Back»: info [chiocciola] brainbackumbria.eu.Un altro finanziamento di 200mila euro per sostenere progetti imprenditoriali a carattere innovativo sta alla base del bando promosso dalla Camera di commercio di Pavia e rivolto a imprese costituite a partire da  giugno 2012, a spin off accademici e industriali o a attività imprenditoriali da registrarsi entro 90 giorni dall’erogazione dei finanziamenti a fondo perduto. Le imprese, che devono avere sede operativa a Pavia, possono presentare entro il 30 aprile 2013 una dettagliata relazione che illustri il progetto di impresa, il preventivo delle spese, il business plan e la  domanda per accedere ai contributi. Il finanziamento andrà a coprire il 50% delle spese sostenute per la realizzazione del progetto imprenditoriale assegnando a ogni impresa fino a un massimo di 20mila euro. Il contributo totale di 200mila euro sarà quindi diviso fra le start-up ammesse al finanziamento. L’incentivo, erogato solo per le aziende che prevedono una spesa totale non inferiore a 5mila euro, potrà coprire investimenti materiali e immateriali, acquisizione di servizi, spese di costituzione e promozionali. Esclusi dal finanziamento i canoni di leasing, la retribuzione del personale e i costi relativi alle utenze e manutenzione ordinaria dei locali. Il comitato tecnico e di valutazione, nominato dal segretario generale della Camera di commercio, valuterà le proposte progettuali sulla base del potenziale di crescita e del grado di sostenibilità e innovatività del progetto. Per informazioni studi[chiocciola]pv.camcom.itAnnalisa AusilioPer saperne di più leggi anche:- A Torino una start-up prova a riscrivere il futuro del giornalismo;- Una startupper sarda negli States: «Qui conta il merito. Ma si può fare anche in Italia»- Timbuktu: è italiano il magazine per bambini più scaricato dall'Apple Store

Stop ai cocopro per baristi e facchini: tutti i divieti della circolare del ministero del Lavoro

Niente più contratti a progetto per baristi e camerieri, estetisti e parrucchieri, facchini, letturisti di contatori. È questa la novità principale contenuta nella circolare 29 dell’11 dicembre 2012 del ministero del Lavoro, che fornisce una serie di indicazioni interpretative della legge Fornero (92/2012).Il provvedimento,  firmato dal direttore generale per l’Attività ispettiva Paolo Pennesi intervistato dalla Repubblica degli Stagisti pochi giorni fa,  si focalizza sul divieto di applicare contratti cocopro nei casi di mansioni routinarie ed elementari. Se infatti già l’art. 61 del d. Lgs 276 del 2003 (che dava attuazione alla legge Biagi) prevedeva che «il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi», la circolare aggiunge un altro elemento, stabilendo che «è necessario che dal contenuto del contratto, ovvero dalle modalità di svolgimento della prestazione, non emergano i caratteri della “routinarietà” o “elementarietà”». Di conseguenza, un rapporto di lavoro potrà essere considerato una collaborazione a progetto se «al collaboratore siano lasciati margini di autonomia anche operativa nello svolgimento dei compiti allo stesso assegnati».  La definizione delle attività di natura meramente esecutiva o ripetitiva è attualmente assegnata alla contrattazione collettiva, anche se questo «non condiziona l’applicabilità della presunzione» di subordinazione. Il ministero prova quindi a tracciare una direzione, individuando un a lista di mansioni «a titolo meramente esemplicativo e non esaustivo, sulla base di orientamenti giurisprudenziali già esistenti, (...) difficilmente inquadrabili nell'ambito di un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, ancorché astrattamente riconducibili ad altri rapporti di natura autonoma». L’elenco comprende una ventina di attività, tra cui figurano addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici, addetti alle agenzie ippiche, letturisti di contatori, facchini, magazzinieri, ma anche manutentori, muratori e braccianti agricoli. E ancora, addetti alle pulizie, autisti e autotrasportatori, commessi e addetti alle vendite, custodi e portieri. Sono escluse dai cocopro anche quelle figure per le quali è richiesta una formazione professionale e specialistica (estetiste e parrucchieri, istruttori di autoscuola, piloti e assistenti di volo), oltre  ad addetti all'attività di segreteria e lavoratori di call center inbound (quelli cioè in cui cioè si risponde alle chiamate di utenti). E non potranno più essere assunti con contratti a progetto neanche i lavoratori del settore della ristorazione: baristi, camerieri,  addetti alla somministrazione di cibi o bevande. In tutti questi casi, garantisce il ministero, «il personale ispettivo (...) procederà a ricondurre nell'alveo della subordinazione gli eventuali rapporti posti in essere, adottando i conseguenti provvedimenti sul piano lavoristico e previdenziale».Si ribadisce poi, sulla falsariga di quanto già stabiliva la legge 92, che i cocopro «devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore», collegati «ad un determinato risultato finale» che sia «obiettivamente verificabile». Il progetto non può consistere nella «mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente» e, pur potendo rientrare nelle «attività che rappresentano il cosiddetto core business aziendale, deve essere caratterizzato da un'autonomia di contenuti e obiettivi». Per esempio, lo sviluppo di uno software preciso, e non l'attività che si limiti alla sua gestione; l'ideazione di una specifica scenografia per la rappresentazione di uno spettacolo teatrale e non il mero allestimento del palco.Per quanto riguarda il compenso, la circolare ricorda che esso «non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività», chiarendo però che il riferimento normativo, «è alle retribuzioni minime, ossia ai minimi tabellari determinati dai contratti collettivi di categoria e non a tutto il complesso delle voci retributive eventualmente previste da tali contratti».  La parte finale è dedicata alle sanzioni: la mancanza di un progetto specifico – sottolinea la circolare in linea con quanto stabiliva la legge Biagi e chiarisce la legge Fornero – consente di ricondurre il contratto a progetto a un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La stessa sanzione è prevista anche nei casi in cui scatta la presunzione di subordinazione, ossia quando «il collaboratore svolga in maniera prevalente e con carattere di continuità le proprie attività con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente». Con una clausola, introdotta dall’ultima riforma e ricordata nella circolare: non vengono equiparate a lavoro subordinato e dunque riqualificate «le prestazioni di elevata professionalità meglio declinate dalla contrattazione collettiva»: il compito di individuare quali siano le attività ad alto contenuto professionale è cioè lasciato alle parti, senza alcuna indicazione per evitare abusi.Secondo Roberto D’Andrea [a sinistra], segretario nazionale di Nidil-Cgil, la circolare «non aggiunge molto a quanto già stabilito dalla legge Fornero, perché già era noto che il barista fosse una mansione ripetitiva. Ha però il grosso difetto di ignorare un aspetto che sta già facendo danni: il cavillo dell’elevata professionalità, lasciato alla libera interpretazione delle parti. Senza una sua definizione precisa da parte del ministero, tutto l’impianto complessivo dei paletti ai cocopro rischia di essere un puro esercizio teorico». Una vaghezza che ha reso la clausola «una scappatoia usata da alcune aziende per non regolarizzare. È stato firmato poco tempo fa, per esempio, un accordo tra sindacati e una società di recupero crediti in cui si stabilisce che i telefonisti che lavorano per l’azienda svolgono una mansione di elevata professionalità». Inoltre, nella lista delle attività elementari e routinarie, fa notare D’Andrea, «mancano gli operatori dei call center outbound, quelli cioè in cui si fanno telefonate a potenziali clienti. Per queste società, infatti, il decreto Sviluppo ha stabilito una deroga alla legge 92». La circolare, aggiunge il sindacalista, «al di là delle mansioni meramente ripetitive ed esecutive, per le quali il divieto dei cocopro è assodato, non dice niente, per esempio, di insegnanti o architetti. Casi in cui c’è un abuso di contratti a progetto».A sorpresa il berlusconiano Silvano Moffa [a destra], presidente della commissione Lavoro della Camera, è d'accordo con D'Andrea: ma per ragioni diametralmente opposte. «La circolare, così come la riforma Fornero, fa aumentare il lavoro precario. Nella black list del ministero ci sono tutte le mansioni per le quali più frequentemente si attivano contratti a progetto. Se le aziende non potranno più ricorrere ai cocopro per addetti alla distribuzione di giornali o letturisti di contatori, si rivolgeranno a forme ancora più temporanee e meno garantite di lavoro, come la collaborazione occasionale». Una tendenza che, dice Moffa, «è già fotografata dai primi osservatori, che registrano un aumento nell’ultimo trimestre del 2012 di contratti occasionali, con un reddito annuo inferiore ai 5mila euro». Se infatti, è il ragionamento del deputato, «i cocopro permettono il primo contatto con il mondo del lavoro, i paletti non fanno altro che scoraggiarlo». Ma come combattere gli abusi? «Per contrastare quello di lungo periodo serve piuttosto una stretta nei controlli, applicando la presunzione di subordinazione in tutti quei casi di precariato di lunga durata». Per quanto riguarda la discussa clausola dell’elevata professionalità, per presidente della commissione Lavoro «non è servita a molto. A Milano, negli ultimi mesi, i contratti a progetto dei neolaureati sono diminuiti del 16,5%».Il rischio, in molti casi, è che «i contratti a progetto si trasformino in partite IVA, per adesso ancora poco regolamentate», conclude D’Andrea. «Finché la partita IVA sarà così conveniente, non ha senso introdurre ulteriori restrizioni sui contratti a progetto», aggiunge Laura Calderoni [a sinistra], segretaria dell’associazione di architetti e ingegneri atipici Iva sei partita, che ha provato il fenomeno sulla propria pelle: «Ho iniziato con un contratto a progetto di un anno nel 2008 e alla scadenza sono stata costretta ad aprire una partita IVA».Veronica UlivieriPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Contratti a progetto nei call center, un giro di vite solo annunciato- Cocopro, partite Iva e stipendi dei precari: le proposte dell'emendamento Castro-Treu- Indennità una-tantum per cococo e cocopro: più che un ammortizzatore, una beffa- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani

Elezioni in Lazio, pochi i giovani in lizza per il consiglio regionale

Dare vita a una politica più «giovane» non solo in Parlamento, ma anche nelle aule dei consigli regionali. I prossimi 24 e 25 febbraio, insieme alle elezioni politiche, si vota per eleggere il governatore e i consigli regionali di Lombardia, Lazio e Molise. Nel Lazio sono ben 13 i candidati alla carica di presidente e quasi 700 gli aspiranti consiglieri per 50 posti, eletti per l’80% con il sistema proporzionale e per il restante 20% con il maggioritario. Ma quanti sono tra questi i candidati under 35? La Repubblica degli Stagisti è andata a «spulciare» le liste principali, per vedere se e in che misura i giovani hanno speranza di essere rappresentati dai propri coetanei in consiglio regionale per i prossimi cinque anni. A supportare la candidatura di Nicola Zingaretti (47 anni) sono sei liste: oltre al suo listino, quella del Partito Democratico la Lista Civica Zingaretti, Sinistra Ecologia e Libertà, Centro Democratico e Partito Socialista Italiano. Nei primi tre casi la rappresentanza under 35 è piuttosto scarsa: solo tre su 40 i candidati nati dopo il 1978. Si tratta di Gabriella Federici, classe 1982, attuale vice sindaco di Rocca di Cave, provincia di Roma; Simone Lupi, quasi trentaquattrenne (è nato il 26 febbraio del 1979), sindaco del Comune di Ciampino, e Daniele Ognibene, 32 anni a luglio, attuale assessore con deleghe alla cultura, ambiente, gestione rifiuti e politiche giovanili del Comune di Velletri, in provincia di Roma. Candidati, che, nonostante la giovane età, vantano già ruoli di spicco nelle istituzioni locali. Per la lista di Sel la proporzione è di cinque a 29. I nomi sono quelli di Giorgia Bordoni, trentenne, ricercatrice all’università La Sapienza di Roma; Chiara Bussone, classe 1986, delegata Fp Cgil e addetta della Croce Rossa; Marco Furfaro, del 1980, laureato in Economia, già portavoce regionale del Lazio di Sel e, successivamente, responsabile nazionale politiche giovanili e movimenti; Veronica Hamed, la più giovane, appena 23 anni, e Maurizia Onori, ricercatrice nel campo dei beni culturali, classe 1980. Furfaro è, tra l'altro, il primo tra i candidati laziali ad aver sottoscritto il Patto per lo stage con la Repubblica degli Stagisti. Una scelta motivata dalla necessità di «voler  dare a una generazione l’opportunità di vivere un’esperienza formativa, rimborsata e tutelata che tanti come me non hanno potuto fare». Una coalizione formata da dieci liste appoggia, invece, la candidatura di Francesco Storace, 54 anni (listino, Popolo della Libertà, La Destra, Mir, Movimento cittadini e lavoratori, Fratelli d’Italia, Cristiano Popolari, Grande Sud, Lista civica Storace, Per il Lazio). E, neppure in questo caso, sembra esserci qualche prospettiva di ricambio generazionale. Scorrendo la lista dei candidati del PdL, ad esempio, l’unico under 35 su 29 candidati in corsa per una poltrona è Luca Gramazio, classe 1980, attuale capogruppo del partito in consiglio comunale. Dando un’occhiata ai dati anagrafici degli altri candidati alla presidenza della regione, le notizie che arrivano non sono proprio confortanti. Davide Barillari, candidato del Movimento Cinque Stelle, 38 anni, è uno dei pochi a portare la media verso il basso. L’avvocato Giulia Bongiorno, ad esempio, che si candida con l’appoggio di un listino, di una lista civica e di partiti e movimenti centristi, ha 47 anni; Alessandra Baldassarri, imprenditrice, candidata per il movimento Fare per fermare il declino, che porta la firma di Oscar Giannino, è del 1960. Si tratta, tra l’altro, delle uniche due donne candidate alla Regione. Per il resto, solo uomini e nessun under 35: Luca Romagnoli, classe 1961, candidato per Fiamma Tricolore; Roberto Fiore, 44, è candidato per Forza Nuova; Giuseppe Rossodivita, 44 anni, è sostenuto da Aministia, giustizia e libertà; il giornalista Sandro Rutolo, 58 anni, si candida con il movimento Rivoluzione Civile. Chiudono la lista Simone di Stefano, 36 anni, di Casapound; Luigi Sorge, del Partito Comunista dei Lavoratori, Francesco Pasquali, di Ragione Lazio e Pino Strano, della Rete dei cittadini. Insomma, anche questa volta sembra si stia perdendo un’occasione per abbassare l’età media dei nostri rappresentanti nella vita pubblica. Serve, però, ricordare che questi candidati giovani hanno ovviamente delle chance, se si decidesse di esprimere per loro la propria preferenza, dal momento che per le elezioni del consiglio regionale è ancora possibile. La speranza è che almeno in Parlamento le cose vadano diversamente e si possa iniziare concretamente a parlare di una partecipazione attiva in politica da parte dei giovani.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Patto per lo stage, l'elenco di chi lo ha sottoscritto- Politiche 2013: tre candidate PD under 35 più votate alle primarie- Politiche 2013, ecco chi sono le giovani candidate di SEL più votate alle primarie- Appello Rosina-Voltolina: più giovani e donne alle primarie del PD E anche:- Pochissimi giovani nei consigli regionali: da nord a sud, degli eletti meno uno su dieci è under 35. E in Basilicata non c'è nessuno sotto gli "anta" - Solo otto consiglieri regionali under 35 eletti in Lombardia: giovani senza rappresentanza e senza voce- Elezioni alle porte: se tutti votassero un candidato giovane, entrerebbe un po' d'aria fresca nei consigli regionali 

Solwa, la start-up padovana che purifica l'acqua con l'energia solare

Sfruttano l'energia del sole per rendere potabile l'acqua. Così i sei giovani fondatori di Solwa sono riusciti ad attirare l'attenzione delle Nazioni Unite che, nel 2010, hanno inserito il loro desalinizzatore all'interno del programma Ideass, riconoscendo a questa tecnologia il valore di idea per lo sviluppo dell'umanità e garantendo così a questa start-up un canale pubblicitario privilegiato.Tutto è nato dalla tesi di laurea di Paolo Franceschetti, 31enne che ha studiato Scienze e tecnologie per l'ambiente all'università di Padova, dedicata al tema della potabilità delle risorse idriche. «L'idea è nata guardando bollire l'acqua per la pasta», racconta il fratello Davide (35), laureato in Scienze politiche e coinvolto nell'azienda come responsabile della comunicazione, «se la si lascia evaporare completamente sul fondo della pentola rimane il sale». Ed è proprio questo che fa il modulo Solwa. Visto dall'esterno si tratta di una grossa scatola nera, colore scelto per assorbire meglio il calore dei raggi solari: all'interno c'è una vasca, nella quale viene inserita l'acqua. Una volta evaporata, viene sospinta in un'altra cavità da una ventola, alimentata da un pannello fotovoltaico. In questo secondo spazio il vapore torna allo stato liquido, libero da tutti gli inquinanti. «Alla fine del processo otteniamo acqua distillata», sottolinea Franceschetti.Con questo progetto Paolo Franceschetti si è presentato nel 2008 a Veneto Innovazione, iniziativa promossa dalla regione. Una partecipazione importante perché ha permesso di costituire il primo nucleo di quella che sarebbe diventata Solwa. Alla ricerca di un ingegnere da coinvolgere nella progettazione, ha pubblicato una serie di annunci su giornali e riviste. Ed è così che ha conosciuto Matteo Pasquini (31), laureato a Pisa in Ingegneria aeronautica. Durante la cena inaugurale della manifestazione, i due hanno incontrato Alice Tuccillo (28), padovana e dottoressa in Economia e diritto, subito coinvolta nella stesura del business plan. Il lavoro di questi giovani ha ottenuto diversi riconoscimenti: nel 2011 sono arrivati il Premio nazionale dell'innovazione, che ha garantito un contributo di 30mila euro, e la vittoria nella prima tappa di StartCup Veneto, con un assegno da mille euro. Nel 2012, invece, il premio Gaetano Marzotto, che ha permesso di ricevere un finanziamento di 200mila euro.Un risultato importante per un'azienda fondata solo a gennaio dello scorso anno a Padova. Ai quattro soci storici si sono aggiunti due amici di Paolo Franceschetti, Marco Sportillo (34) ed Enzo Muoio (31), che si occupano dei rapporti con le istituzioni e le aziende. Il nome Solwa è la contrazione di Solar Water, acqua solare, a ricordare che «il nostro è l'unico potabilizzatore che utilizza solo l'energia del sole». Una soluzione che rende l'impiego di questo strumento praticamente a costo zero, visto anche che le spese di manutenzione sono molto contenute. La nascita di questa start-up si lega anche alla vittoria di VegaInCube, un concorso lanciato dal parco scientifico-tecnologico di Venezia Vega e rivolto alle imprese innovative nel settore green, che ha permesso all'azienda di essere incubata a Mestre, dove al prezzo agevolato di 354 euro mensili i sei startupper hanno a disposizione un tutor che li segue, tenendoli informati su bandi ai quali partecipare e li aiuta nella ricerca di possibili partner industriali.Anche se i fondatori di Solwa in ufficio ci rimangono davvero poco. Almeno in quello della loro azienda, visto che «tutti e sei abbiamo un altro lavoro: Paolo sta facendo un dottorato di ricerca, Alice è impiegata da un commercialista, Matteo in una società del gruppo Eni, Marco ed Enzo in un'associazione, io lavoro per una organizzazione non governativa», spiega Franceschetti, Con i propri stipendi hanno messo insieme i 10mila euro di capitale sociali versati per costituire una srl e hanno messo insieme la somma, pari sempre a 10mila euro, necessaria per la progettazione e il test del prodotto in Perù. Una meta scelta perché «nel 1860 vennero inventati dei moduli simili al nostro per purificare l'acqua nelle miniere di rame delle Ande. La cosa non ebbe però un riscontro economico e il progetto venne abbandonato».L'auspicio di questi sei startupper è che, per loro, le cose vadano diversamente. «Il punto di pareggio è ancora lontano. Tolti eventuali premi, contiamo di raggiungerlo nel giro di un paio d'anni». Anche se i primi moduli sono stati venduti: 8 in Palestina, uno in Brukina-Faso. Nel frattempo si lavora per strutturare l'azienda, con l'assunzione di una persona part-time per gestire gli aspetti amministrativi e di una a tempo pieno per lo sviluppo tecnico del modulo, che viene comunque costruito all'esterno, da alcune aziende meccaniche venete. E si lavora per far conoscere Solwa, partecipando a fiere come la Smau di Milano o Ecomondo di Rimini. Oltre a cercare nuovi finanziatori interessati ad utilizzare il sole per purificare l'acqua.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Dalla Romania a Torino per diventare startupper. E italiano- Tiny Bull Studios, la start-up che guarda al futuro dei mobile game- Tekné Italia, quando la tradizione si fa start-up- A Torino una start-up prova a riscrivere il futuro del giornalismo- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresaVuoi saperne di più sulla ssrl? Leggi anche:- Che fine ha fatto l'impresa a 1 euro per i giovani? Incagliata nella burocrazia- Tra burocrazia e ritardi, l'impresa a 1 euro resta ferma al palo- Impresa a 1 euro, dopo otto mesi la promessa del governo è finalmente realtà

Consiglio regionale lombardo, la campagna elettorale dei giovani candidati tra web e lavoro

L’occupazione e la tutela delle categorie più deboli del mercato del lavoro sono al centro della campagna elettorale per le regionali in Lombardia. La Repubblica degli Stagisti ha monitorato la comunicazione politica online dei candidati under 35 appartenenti alle principali liste, selezionando quelli che propongono interventi specifici su questi argomenti. Ecco un viaggio nella rete alla scoperta di come si presentano otto giovani aspiranti consiglieri regionali di differenti schieramenti, con una premessa necessaria: al contrario di quanto si potrebbe pensare, non tutti stanno diffondendo le proprie idee con i social network e solo pochi hanno un blog. Quelli che lo fanno, però, a destra come al centro e a sinistra, vengono premiati con centinaia di "like" e commenti, soprattutto di loro coetanei.Il tema principale è senza dubbio quello della disoccupazione giovanile. Alberto Martoglio (a sinistra), 30 anni e un contratto da cocopro nell’amministrazione delle risorse umane del San Raffaele scaduto e non rinnovato, è  candidato nella lista Lombardia Civica per Albertini presidente per la provincia di Milano. Scrive sulla sua pagina Facebook – dove ha raggiunto quasi 400 “Mi piace” – che vorrebbe una Regione «a fianco dei giovani nel momento del loro ingresso nel mercato del lavoro» attraverso «programmi di effettiva e concreta “formazione professionalizzante”» e «l’apprendistato quale forma di gestione della flessibilità del lavoro in entrata». Propone «sgravi fiscali a livello regionale per le aziende che assumano con contratti stabili e riduzione dell'Irap come incentivo per le imprese a regolarizzare», mentre per i disoccupati pensa a «piani di riqualificazione professionale». Andrea Dara [a destra], imprenditore tessile trentaquattrenne candidato con la Lega Nord in provincia di Mantova, una pagina Facebook con oltre “like”, pensa addirittura a «detassare le aziende che assumono i giovani» trovando i fondi in quel «75% delle nostre tasse» che è lo slogan principale del candidato governatore leghista Roberto Maroni. E propone  l’istituzione di un «fondo di sostegno per incentivare i talenti» e il «rafforzamento dell'autonomia delle scuole nella scelta degli insegnanti e nella gestione dell'offerta formativa». Così come fa anche Christian My [a sinistra], consulente aziendale 31enne, uscito sconfitto nel 2011 dalle elezioni a sindaco di Viganò (266 voti su 1.255 votanti), di cui è consigliere comunale, adesso capolista del Pdl per le elezioni regionali in provincia di Lecco e fedelissimo alla linea del suo partito. Giulia Barbieri, web designer, 34 anni, capolista M5S in provincia di Pavia, spiega alla Repubblica degli Stagisti che tra gli interventi prioritari c’è quello di «avvicinare i giovani al mondo del lavoro attraverso un rapporto più diretto tra scuola e imprese, proponendo corsi che facilitino l'inserimento nelle aziende del territorio» e fa degli esempi: «tecnologie, enologia, lingue straniere, informatica». Matteo Zanoletti [a destra], classe 1983, ingegnere in un’azienda di software e candidato nella lista dell’Idv in provincia di Bergamo, punta invece sul rilancio economico attraverso una gestione virtuosa. Nel suo programma elettorale mette, al secondo posto, «+ LAVORO»: «Collaborazione tra chi amministra, ma anche tra chi fa politica e cittadinanza attiva, tra le imprese e i lavoratori, e tra tutti i cittadini in genere, al fine di sviluppare un piano economico moderno», scrive su Facebook, mentre tramite il suo profilo Twitter il coordinatore giovani Idv del Bergamasco segnala possibilità di stage e lavoro all’Unione europea.Accanto al sostegno a precariato e disoccupazione, sono numerose anche le proposte che riguardano l’imprenditoria giovanile e le start up. Daniele Nahum [a sinistra], il trentenne ex portavoce e ex vicepresidente della Comunità ebraica di Milano, candidato con la lista Patto civico per Ambrosoli, sul suo blog presenta un programma originale. Tra le sue proposte, comunicate anche via Twitter attraverso un profilo aperto da poco e già molto seguito (oltre 400 followers), c’è l’apertura di un bando di concorso per destinare spazi del Pirellone «a cento giovani imprenditori che abbiano dei progetti innovativi. L’affitto sarebbe gratuito e chiaramente avrebbero a disposizione tutte le infrastrutture tecnologiche». Anche Giovannangelo Salvemini (a destra), 32enne impiegato nel settore del controllo di gestione con un contratto a tempo determinato e aspirante consigliere nella lista milanese di Sel, sulla pagina Facebook pensa all’«abbattimento delle barriere in entrata per le start up», anche attraverso l’utilizzo di edifici di proprietà pubblica per incubatori e spazi di co-working destinati alle imprese create da giovani. È necessario, scrive sul suo blog, «oltre alle proprietà del demanio (ora passate alla gestione degli enti locali), individuare un piano di alienazioni che comprende svariati immobili». La grillina Barbieri [a sinistra], con foto d’ordinanza accanto al suo leader pubblicata in bella vista su Facebook, punta sulla «creazione di centri multifunzionali, nei quali far confluire sia attività formative che attività lavorative vere e proprie, sul modello offerto da realtà esistenti, ad esempio il circuito di co-working The Hub», come «soluzioni relativamente a basso costo per innescare meccanismi di aggregazione sociale, confronto e stimolo a far coltivare e crescere nuove idee di business sul territorio», che dovrebbero essere sostenute anche da «attività di formazione sull’imprenditoria e professionalità innovative». Anche nel programma di Christian My un punto è dedicato alle giovani imprese: «Fondo di sostegno per la creatività per incentivare i talenti, no Tax-Area per le imprese under 35 per 3 anni», scrive sulla sua pagina Facebook. Andrea Dara, che da candidato sindaco al Comune di Castiglione delle Stiviere la scorsa primavera si era aggiudicato il 20% dei voti (quasi 2mila), fa le stesse proposte.Nella campagna elettorale fanno la loro comparsa, forse per la prima volta, anche gli stage. Lo scorso 24 gennaio in Conferenza Stato-Regioni sono state approvate le linee guida sui tirocini extracurriculari, che le amministrazioni regionali, competenti in materia, si sono impegnate a recepire entro sei mesi. Il giorno successivo, Nahum, che dal 2007 al 2010 è stato presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia, ha annunciato su Facebook: «Se verrò eletto farò mie le proposte della Repubblica degli Stagisti». Il candidato della lista Ambrosoli si è impegnato, si legge sul suo blog, a presentare una legge regionale che preveda «per i giovani stagisti un compenso minimo di 500 euro», la creazione di «un database regionale che raccolga e tracci le informazioni relative agli stage», «forti incentivi fiscali» per chi assume stagisti, e riduca «il tempo di stage per i laureati da 12 mesi a 9 e per i diversamente abili da 24 mesi a 18». E sugli stage si concentra anche il programma di Reas Syed (a destra), 28 anni, praticante avvocato candidato nella lista del Pd per la provincia di Milano, che su Facebook ha raggiunto oltre 600 "like". Il giovane giurista di origini pachistane si è impegnato sul suo blog a «portare una proposta che preveda una retribuzione minima di 550 euro al mese per i stagisti lombardi». Syed è convinto che «la Regione debba farsi carico anche degli stagisti curriculari (non interessati dalle linee guida, ndr) instaurando un dialogo con i giovani professionisti e portando le loro istanze ai rispettivi ordini professionali». L'idea di base è «garantire un sostegno nella formazione di coloro che lavorano senza retribuzione». Senza dimenticare i praticanti avvocati: per loro la legge prevede che il compenso non sia obbligatorio e che debba scattare solo dopo i primi sei mesi di tirocinio.Le proposte sono molte, e non sempre così diverse: tra poco più di due settimane sapremo quanto i giovani under 35 sono rappresentati in Consiglio regionale.Per i candidati giovani, che non hanno grandi fondi da investire nella campagna elettorale e non possono tappezzare i muri della città con la propria faccia, il web è certamente una grande risorsa. Che, a costo zero o quasi, permette di farsi conoscere e di raccontare la propria idea di politica e di buona amministrazione. Riuscirà qualcuno di questi giovani a fare il salto più difficile, quello da internet alla preferenza in cabina elettorale? La Repubblica degli Stagisti, anche solo per il valore che attribuisce al ricambio generazionale, si augura di sí Veronica UlivieriPer saperne di più su questo argomento, leggi anche gli articoli:- Politiche 2013: tre candidate PD under 35 tra le più votate alle primarie- Politiche 2013: ecco chi sono le giovani candidate di SEL più votate alle primarie- Come far contare di più i giovani in politica?- Riforma del lavoro: rilanciare l'apprendistato non basta- Per rifare l'Italia bisogna partire dal lavoro e dalle retribuzioni dei giovani

Equo compenso giornalistico, ancora due mesi per sapere a quanto ammonterà

Sono circa 20mila (dati Inpgi) i lavoratori autonomi della professione giornalistica che dichiarano meno di 5mila euro lordi all'anno. Una situazione emergenziale, a cui la legge sull'equo compenso, entrata in vigore lo scorso 18 gennaio, cerca di porre rimedio – almeno nelle intenzioni. E si tratta di un passaggio quasi rivoluzionario in Italia, dove una legge del genere non c'è mai stata. «L'equo compenso introduce una crepa nel sistema, sancendo il nuovo principio per cui l'articolo 36 della Costituzione sulla dignitosa retribuzione diventa parametro valido anche per il giornalista freelance o autonomo», non più solo per il lavoro subordinato: lo ha spiegato l'avvocato della Fnsi Bruno Del Vecchio intervenendo al seminario 'Equo compenso: una legge da applicare – Prospettive, ipotesi e percorsi' organizzato la settimana scorsa a Roma su iniziativa di Associazione stampa romana, Commissione e Coordinamento lavoro autonomo regionale. Ma gli snodi attorno a cui lavorare sono ancora molti e spinosi perché questa norma per il momento sancisce solo dei principi. In primis si dovrà stabilire a chi si applica in concreto (e non si saprà finché la commissione creata ad hoc per stilare il regolamento di applicazione della legge non delibererà, entro i due mesi di tempo concessi). «La legge trova spazio solo nel lavoro autonomo e vale solo per i freelance, quelli reali. Chi lavora come subordinato ma invece ha contratti irregolari – i casi qui si sprecano tra false partite Iva, falsi autonomi... – deve fare riferimento al principio di effettività del diritto del lavoro, non all'equo compenso» argomenta Del Vecchio. Chi però subisce uno sfruttamento in questo senso «potrebbe andare da un giudice e vedersi applicata la legge su lavoro autonomo», ottenendo magari il riconoscimento della sua condizione di subordinato mascherata sulla carta da una finta autonomia. Quindi, per esempio, un cococo con contratto "farlocco" da 800 euro al mese in una testata che usa questa tipologia contrattuale a sproposito perché il giornalista è in realtà un subordinato a tutti gli effetti, resterà comunque fuori dal cappello di tutele della legge sull'equo compenso: perché non è pagato ad articolo, bensì a forfait. Tuttavia la legge non osta a che un collaboratore cococo sia pagato invece a pezzo, e allora, in questo caso, l'equo compenso avrebbe ragione d'essere perché andrebbe a incidere su quanto l'editore decide di corrispondere al lavoratore esterno per il 'prodotto' (l'articolo) che sta vendendo. Idem per le partite Iva: quelle non monomandatarie - e quindi i reali giornalisti autonomi - potrebbero contare sui benefici dispensati dalla legge. Si pone poi il problema dei praticanti giornalisti, che la lettera della legge sembra escludere facendo riferimento solo agli iscritti agli albi (e i praticanti, almeno quelli non freelance, tecnicamente ancora non lo sono): a loro si rivolge la legge? Secondo Del Vecchio «la ratio della norma sembrerebbe riconoscerlo», e la mancata inclusione sarebbe solo un disguido linguistico: «La volontà della norma è quella di includere tutti i giornalisti esterni alle redazioni».Un'altra categoria a rischio esclusione sarebbe quella inquadrata tramite contratto con cessione di diritto d'autore. In questi casi, sottolinea Paolo Buzzonetti, fiscalista e commercialista Asr, «il rapporto di lavoro vero e proprio non si verifica, come invece accade nei cocopro, nelle collaborazioni coordinate, in quelle occasionali e nelle partite Iva». Ma perché escludere il contratto con cessione di diritto d'autore se davvero la legge vuole tutelare gli autonomi e questo inquadramento è tra i più utilizzati dagli editori (e tra i più amati dai collaboratori perché più vantaggioso fiscalmente)? Poiché il seminario non ha fatto pienamente luce sulla questione, la Repubblica degli Stagisti ha chiesto delucidazioni alla giornalista Moira Di Mario, organizzatrice dell'evento, che ha spiegato che la risposta è nella legge italiana, che non ammetterebbe l'applicazione di questo contratto alla professione giornalistica. Un collaboratore, infatti, in tal modo cede letteralmente all'editore i diritti del suo articolo, trasmettendogli in pratica la sua proprietà. L'imprenditore può a quel punto farne quello che vuole, riutilizzandolo magari più volte e in più forme ma pagando il giornalista una sola volta. Cosa che invece non accadrebbe con partite Iva e cococo dove il giornalista resta proprietario dell'articolo. Anche gli stagisti, infine, sono fuori dalle tutele dell'equo compenso: «Loro non dovrebbero neppure lavorare, né firmare articoli, ma entrare nelle redazioni solo per imparare» sottolinea Del Vecchio. E i grattacapi della commissione non finiscono certo qui. Un'altra questione complicata è creare delle griglie per classificare il lavoro autonomo e poterlo dunque dignitosamente retribuire a seconda del suo valore. «Dire articolo non vuol dire niente, bisogna capire di cosa stiamo parlando» tuona Enzo Iacopino [nella foto], presidente dell'Odg, giudicando inoltre poco felice l'ipotesi di un equo compenso pari a 14 euro ventilata (e mai smentita) in ambienti Fnsi. E precisa: «Chiedere che un articolo venga pagato sempre 100 euro, sia se pubblicato sul Corriere della Sera sia se pubblicato sulla Gazzetta del Sud è un po' ardito» alludendo alla necessità di una differenziazione a seconda del prestigio della testata e della qualità del prodotto giornalistico. Quindi come stabilire il minimo? Tra i giornalisti all'incontro qualcuno propone una tariffa oraria, così come avviene in altri Paesi soprattutto del nord Europa, dove non esiste una legge analoga, ma sì esistono giornalisti pagato con tariffe temporali, al pari di altre categorie professionali. Così la contrattazione con l'editore potrebbe spostarsi su questo piano: la quantificazione oraria del lavoro. Ma chi assicura che gli editori italiani non si metterebbero in questo caso a fare pressione per pagare al minimo i collaboratori, spingendoli a non far figurare il tempo effettivamente necessario per ogni articolo? Risultato: migliaia di note debito attesterebbero articoli magicamente scritti in una sola ora di lavoro.  Comunque per ora si tratta di pura teoria. La certezza si avrà solo al termine dei lavori della commissione. Al seminario si è lanciato infine un allarme: l'introduzione di un minimo tariffario potrebbe andare a svantaggio di chi percepisce una buona retribuzione, quegli scarsissimi e fortunati freelance che possono dire di vivere bene grazie al loro lavoro. Gli editori potrebbero cioè approfittarne, e applicare anche a loro il compenso minimo che deciderà la commissione, con l'effetto di eliminare gli articoli pagati cinque euro ma dando di fatto la possibilità di ritoccare al ribasso i compensi di chi ha guadagni a due o tre zeri. Sarebbe veramente un'ingiustizia e c'è da sperare che non accada mai: però la priorità in questo momento è salvaguardare la dignità – e la sopravvivenza - di chi riempie le pagine delle testate nazionali per pochi spicci.Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- L'equo compenso è legge, ora ci vuole la Commissione: sarà 14 euro il compenso minimo per i giornalisti?- Natale, presidente Fnsi: «La legge sull'equo compenso è un pungolo per gli editori»- Giornalisti precari, il problema non è il posto fisso ma le retribuzioni sotto la soglia della dignità E anche:- Alle nuove norme sui praticanti manca l'equo compenso, lo dice anche la commissione giustizia del Senato

Tfa per insegnanti, un business da 50 milioni di euro (chiesti in anticipo) per le università

Migliaia di giovani e meno giovani aspiranti docenti hanno iniziato o stanno per iniziare in tutta Italia il tirocinio formativo attivo (Tfa), il nuovo master di abilitazione all’insegnamento nella scuola che sostituisce le vecchie Ssis, chiuse nel 2008.  La maggioranza di chi ha superato le prove a numero chiuso di ammissione (un test a risposta multipla, una prova scritta e una prova orale, svoltesi a livello regionale tra luglio e novembre) e che nella graduatoria finale di ciascuna università è  rientrato nel numero massimo di posti disponibili per ogni classe di concorso, ha già dovuto pagare la tassa di iscrizione, che oscilla tra i 2.500 e i 3mila euro. Gli ammessi sono 20mila su 115mila candidati: circa 4mila per le scuole medie e 16mila per le superiori. In molti casi le università hanno chiesto il pagamento della quota di iscrizione senza informare i vincitori sulle modalità di svolgimento del tirocinio, sui giorni in cui saranno previste le lezioni all’università, sugli orari, i programmi didattici, le scuole nelle quali ciascun tirocinante dovrà fare pratica di insegnamento. La prima necessità sono i soldi, poi l’organizzazione la decideremo successivamente: più o meno questo hanno detto agli studenti alcune università. La maggior parte dei vincitori ha comunque pagato, perché vede il tirocinio come una grande occasione per il futuro inserimento nella scuola; qualcuno ha rinunciato perché non se l’è sentita di sborsare cifre non indifferenti senza sapere nulla, nemmeno se potrà conciliare il lavoro precario o la maternità con il tirocinio. È quanto accaduto per esempio all’università di Roma3, all’Alma mater di Bologna, a Genova, alla Statale e alla Bicocca di Milano, a Perugia, alle università della Toscana, alla Sapienza di Roma. «Io ho superato le selezioni a Perugia. Il termine ultimo per l'iscrizione era il 5 gennaio ma ancora non si sapeva nulla di orari, calendario, tipologia dei corsi. Chiunque si sia iscritto lo ha fatto a scatola chiusa, oltretutto con la tassa d'iscrizione più alta d'italia, 3.077 euro» racconta un utente del Forum Orizzontescuola. Ma gli iscritti avrebbero almeno la possibilità di essere rimborsati qualora scoprissero, al momento della pubblicazione di date e orari, di non poter conciliare i propri impegni lavorativi col Tfa? «La prassi non lo prevede» risponde alla Repubblica degli Stagisti Giovanni Salemmi, responsabile dell'ufficio che si occupa di scuole di specializzazione all'università di Perugia. «Poi i casi specifici possono essere analizzati dal rettore e dal direttore amministrativo. Comunque ci manca poco per pubblicare tutto sul nostro sito: i ritardi sono derivati anche dai ricorsi di alcuni partecipanti alle selezioni per l'ammissione al Tfa». Questi ritardi sono ammessi, non quelli sul pagamento della quota d'iscrizione entro i termini previsti. Un’altra ragazza, che preferisce mantenere l’anonimato, racconta alla Repubblica degli Stagisti che «anche a Milano è stato richiesto il versamento della prima rata senza che fosse ancora reso noto il calendario dettagliato dell'organizzazione didattica. Questi dettagli, comprensivi di orari, modalità di svolgimento dei laboratori didattici e metodi di valutazione, sono stati presentati solo il giorno prima della scadenza del periodo aperto all'immatricolazione. Per quanto riguarda l'attività di tirocinio diretto, presso gli istituti, tuttora non si hanno dettagli consistenti». Anche alla “Federico II” e alla Seconda università degli studi di Napoli il periodo non prorogabile di iscrizione è stato fissato tra il 10 e il 21 dicembre, prima della pausa natalizia, senza però fornire alcuna informazione sui corsi. Un’altra aspirante insegnante, che ha superato il Tfa alla Seconda università di Napoli nella classe di concorso A043 (Italiano, storia e geografia alle medie), racconta alla Repubblica degli Stagisti che si è rifiutata di pagare 2.500 euro senza sapere se il Tfa sarebbe stato conciliabile coi suoi impegni: «Si tratta di una cifra pari a circa 4 stipendi del mio contratto a progetto. Gli unici sicuri di poter seguire i corsi sono quelli che hanno alle spalle la famiglia e sono senza lavoro. Inoltre dalla pubblicazione delle date utili per l’immatricolazione fino alla scadenza dei termini passavano poco più di dieci giorni e non era semplice procurarsi i soldi in tempi così ristretti». A dire il vero non è stato ovunque così: ci sono atenei che hanno avviato i corsi prima dell’apertura dei termini di pagamento e altre che hanno opportunamente informato gli studenti prima di richiedere il pagamento, come l’università di Padova o quella di Trento. «Gli atenei hanno totale autonomia» spiega alla Repubblica degli stagisti Lucrezia Stellacci, direttore generale del Miur a capo del dipartimento per l’Istruzione. «Tuttavia, per coordinare le diverse università impegnate nei percorsi di Tfa e per chiarire i punti problematici rappresentati dai corsisti in merito alla frequenza, sta per essere varata una circolare della Direzione generale Università». Un po’ tardi, visto che molti corsi sono già iniziati.E poi, che prospettive reali di occupazione hanno i giovani che frequentano il Tfa? Dipenderà molto dalle scelte politiche del futuro governo, dalla volontà di confermare quanto annunciato dal ministro Francesco Profumo, ovvero nuovi concorsi pubblici nella scuola per i prossimi due anni, per accedere ai quali viene attualmente richiesto il requisito dell’abilitazione. Dipenderà anche dalle sentenze della giustizia amministrativa relative al concorsone della scuola, che è partito a metà dicembre con la prima prova: sebbene fosse richiesta l’abilitazione o la laurea prima dell’anno accademico 2002-2003, molti non abilitati e laureati post-2003 sono stati ammessi con riserva dal Tar e ora si attende la sentenza del Consiglio di Stato sulla loro ammissibilità. «Con riferimento a quanti, pur non avendo i requisiti per accedere al concorso, vi hanno partecipato con ordinanza cautelare sospensiva del Tar, siamo in attesa di conoscere l'esito dell'udienza che si svolgerà il 21 febbraio. Ove la decisione fosse negativa per i ricorrenti, gli stessi saranno esclusi definitivamente dal concorso» continua Lucrezia Stellacci. «Sulla legittimità del Tfa, penso che per abolirlo come istituto giuridico non basti una sentenza, ma che occorra un provvedimento normativo della stessa forza del decreto ministeriale n. 249/2010 che l'ha istituito».Se il ricorso fosse definitivamente accolto, comunque, si  potrebbe determinare un precedente giuridico tale da consentire a tutti, abilitati e non, di partecipare ai futuri concorsi. In questo caso il Tfa non avrebbe più motivo di esistere. Per partecipare al concorso sarebbe sufficiente la laurea quinquennale.L’altra cosa che fa riflettere è che il tirocinio durerà pochissimo, ben che vada quattro-cinque mesi. Si pagano 2.500 euro o più per seguire corsi da febbraio a giugno, o da gennaio a giugno per chi ha già iniziato: non si dovrebbe andare oltre questo mese perché uno degli elementi caratterizzanti del Tfa è il tirocinio nelle scuole, che non può ovviamente protrarsi oltre la data di chiusura delle stesse. Per i corsi teorici di didattica e laboratorio, invece, ci sono meno limiti, ma molte università sembrano comunque intenzionate a terminare entro giugno. E che sia eccessivo il contributo economico richiesto lo conferma il fatto che in Francia dal 2013 la formazione degli insegnanti sarà addirittura remunerata dallo Stato, un po' come quella dei medici. Infine c’è un’altra considerazione da fare: non si può slegare la questione dell’abilitazione da quella del reclutamento, e su questo punto saltano agli occhi alcuni abusi del sistema. Il rischio è di fornire tante abilitazioni a pagamento a giovani in cerca di lavoro per poi non assumerli mai perché i posti sono pochi e, di conseguenza, pochi sono i posti a concorso.  Dopo cinque anni dalla chiusura delle SSIS, l’Italia è ancora molto lontana dal riuscire a immettere in ruolo i vecchi abilitati Ssis, alcuni dei quali non sono riusciti ancora a fare un solo giorno di supplenza. Il ministero ha fatto male i conti realizzando la prima prova, il test a risposta multipla, che è risultato molto ostico, tanto che in molte università è accaduto che il numero degli ammessi alla seconda prova, quella scritta, fosse inferiore al numero totale di posti disponibili in diverse classi di concorso.  Così il ministero è in parte tornato sui suoi passi, dando per buone alcune risposte in modo da consentire a molti di avere un punteggio sufficiente per l’ammissione allo scritto. Lì dove gli ammessi allo scritto e all’orale erano ancora in numero inferiore ai posti disponibili, è capitato che tutti i partecipanti abbiano superato entrambe le prove. Per fare un esempio, alla Seconda università di Napoli, nella classe di concorso A043, il test preliminare è stato superato da una quarantina di persone su 350 candidati e 70 posti totali disponibili. Tutte le 40 persone che hanno superato la prima prova sono poi riuscite ad andare fino in fondo, superando anche scritto e orale e venendo ammesse al Tfa. Tutti bravissimi o forse l’università aveva bisogno di finanziarsi con quei soldi? In Italia è sempre in agguato il rischio che si commettano abusi e che l’interesse economico (in questo caso, delle università) prevalga sulla trasparenza dei criteri di ammissione al Tfa e sull’ organizzazione di un valido percorso formativo. Le università, coi fondi pubblici drasticamente ridotti, hanno bisogno di finanziamento e 20mila ammessi per 2.500 euro (in media) di iscrizione corrisponde a circa 50 milioni di euro. In tempi di vacche magre e di tagli all'istruzione, non proprio una cifra trascurabile.Antonio SiragusaPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Tirocinio: una parola, tanti significati- Giovani e lavoro, il manifesto dei ministri Sacconi e Gelmini: «Non c'è bisogno di grandi riforme, basta avvicinare la scuola alle imprese»- Riforma del lavoro, rilanciare l'apprendistato non basta