Voucher, punta dell'iceberg del lavoro nero: lo dice l'Inps

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 06 Ott 2016 in Approfondimenti

È diventata la nuova modalità di inquadramento per i lavoratori occasionali e se per i datori di lavoro ha molti vantaggi, meno ne ha per chi presta il lavoro: sono i voucher, ovvero le forme di pagamento destinate a tutte quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo.

Ma quanti sono oggi i lavoratori inquadrati in questo modo e soprattutto chi sono? Non è facile capirlo, soprattutto perché il pagamento attraverso voucher può essere effettuato per qualsiasi tipo di attività e per qualsiasi soggetto, che sia studente o pensionato, disoccupato o inoccupato, addirittura anche lavoratore tanto part time quanto full time o subordinato.

Ad aiutare a capire chi siano questi lavoratori ci pensano, però, le statistiche Inps, che nell’ultimo report appena pubblicato “Il lavoro accessorio dal 2008 al 2015. Profili dei lavoratori e dei committenti” parlano di una «crescita continua, rapida, diffusa territorialmente e settorialmente» con oltre un milione 400mila lavoratori coinvolti nell’arco del 2015. Evidenziando come uno degli obiettivi per cui erano nati i voucher – aiutare l’emersione dal lavoro nero – non sia in realtà stato raggiunto, visto che «diverse relazioni non fugano il sospetto che il voucher sia in realtà un segnale tipo iceberg di attività sommersa anche di dimensioni maggiori di quella emersa».

Il paper fotografa in un solo anno, dal 2014 al 2015, un aumento dei voucher venduti di quasi 46 milioni. Una crescita probabilmente facilitata anche dalla vendita nei tabaccai, dove è stato acquistato quasi il 70% dei buoni lavoro. E per quanto i voucher siano usati trasversalmente su prestatori di qualsiasi classe di età, il rapporto è esplicito nel dire che «l’età media dei lavoratori è diminuita costantemente nel corso degli anni, così come la percentuale di maschi: erano quasi l’80% nel 2008, sono scesi sotto il 50% nel 2015. Entrambe queste linee evolutive sono il riflesso della storia normativa del lavoro accessorio». Nonostante il numero di lavoratori a voucher sia evidentemente esploso, non è aumentato il numero medio di voucher riscossi, sempre intorno ai 60 a persona, e quasi tutti – quattro su cinque prestatori – hanno avuto un solo committente.


Ma è l’età il fattore più interessante: fa riflettere, infatti, che la percentuale più alta di voucher, il 21%, sia usata per la fascia di età tra i 20 e i 24 anni. E c’è di più: dell’oltre un milione 380mila prestatori di lavoro accessorio nel 2015, poco meno della metà – per la precisione 595mila – sono under 30. Se a questi si aggiunge la fascia di età tra i 30 e i 34 anni, si arriva ad oltre 747mila persone. Sono sempre i numeri a mostrare come i voucher che «nel 2008 apparivano come uno strumento per vecchi» abbiano con il tempo completamente cambiato target. Nel 2015 questa modalità di lavoro è sempre più usata e abusata per i giovani: il 34% dei lavoratori a voucher lo scorso anno era sotto i 35 anni. Percentuale simile a quella dei 55-64enni nel 2008, oggi calati a uno scarso 8%.

I voucher, poi, che erano stati pensati anche per i lavoratori stranieri e quindi favorire il lavoro sommerso – spesso anche domestico – in realtà non hanno mai avuto come target di riferimento gli extracomunitari. Sul totale di quelli retribuiti con i buoni lavoro, solo 120mila sono stranieri. A livello geografico, se quasi la metà dei percettori di voucher si concentra in tre regioni del Nord, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, il rapporto evidenzia come in realtà la classica differenziazione nord-sud in questo caso non sia scontata. Perché, infatti, i picchi di uso del lavoro accessorio si riscontrano nelle regioni con elevata presenza di terziario turistico e di agricoltura. Infatti al quinto posto, dopo Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, c’è la Puglia con oltre 105mila prestatori di lavoro accessorio nel 2015.

Ma il dato che fa riflettere è quello sulla possibile ripetizione: a
chi, infatti, pensa al lavoro attraverso voucher come a un passaggio verso un contratto migliore o a una parentesi temporanea, i dati dicono invece che lo scorso anno quasi la metà dei “voucheristi”, circa 570mila, era già stato impegnato con quella tipologia di regolazione anche l’anno precedente.

Altro tema rilevante: i “voucheristi” sono considerati a livello statistico degli “occupati”.
Perché se una persona ha percepito del reddito nel periodo in cui l’Istat compie le interviste sulla forza lavoro, la presenza o meno di un contratto regolare, il tipo di guadagno e le ore di lavoro non hanno rilevanza. Perciò anche chi avesse lavorato solo un paio d’ore, retribuito con voucher, a livello di Rilevazione sulle forze di lavoro dell'Istat entra nella casella degli occupati. Eppure la stessa Istat certifica che i voucheristi, secondo le ultime rilevazioni, ricevono in media in un anno soltanto 478 euro netti.

Questo ha anche un risvolto sul futuro pensionistico di chi è impiegato (esclusivamente) con questa metodologia: perché i compensi derivanti da lavoro accessorio quasi mai riescono a garantire l’accredito minimo a fini previdenziali.
Il rischio concreto è che con il tempo e le ripetizioni di voucher, «i compensi derivanti da lavoro accessorio quasi mai riescono a garantire, nel singolo anno, l’accredito minimo di un mese di contribuzione utile ai fini previdenziali». La quota che viene versata alla gestione separata dell’Inps come contributo, 1,70 euro ogni 10 lordi orari, servirà dunque solo a formare il montante pensionistico. Ma per tutti quelli che non hanno altri rapporti di lavoro non formerà anzianità, visto che per farlo il soggetto deve ricevere nel corso dell’anno il minimo previsto dalla gestione separata.

C’è poi un altro dato interessante che esce dal rapporto, quello riguardante i committenti  del lavoro a voucher. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, i principali datori di lavoro non sono le famiglie – o comunque i “privati” – bensì le imprese, in particolare quelle del settore alberghiero-ristorazione. Boom che si spiega abbastanza facilmente: in questi settori c’è una richiesta di poche ore di lavoro, spesso in orari particolari, festivi o notturni, che ha trovato la sua piena realizzazione con i buoni lavoro – andando a soppiantare contratti stagionali e contratti a chiamata, che permettono la stessa flessibilità ma che sono ben più onerosi per il datore di lavoro.

Il sistema dei voucher che emerge da questo rapporto mostra quindi troppe fragilità, tanto da far avanzare anche l’ipotesi di una loro soppressione. Chissà se il ministro Poletti deciderà di affrontare la questione con il presidente dell’Inps, Tito Boeri.


Marianna Lepore

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