A cinquant'anni stagista in Tribunale: «Obbligata ad accettare per non perdere il sussidio, ma adesso?»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 19 Gen 2015 in Storie

C’è un filo rosso che accomuna i quasi 3mila tirocinanti che dal 2010 a fine 2014 sono stati impiegati all’interno degli uffici giudiziari di tutta Italia. I progetti prima regionali con fondi europei, poi con finanziamenti del ministero della giustizia rientravano nelle politiche attive per i lavoratori percettori di ammortizzatori sociali e hanno permesso di fatto, negli ultimi anni, la copertura di molti vuoti di organico nei tribunali relativi a figure come commessi, archivisti, addetti. Tra loro c’è anche Patrizia Carere, 55 anni, che è stata tirocinante presso il tribunale di Cosenza e oggi, come gli altri, si trova con le ultime 160 ore di perfezionamento di tirocinio ancora da svolgere e ben poche possibilità che dopo quattro anni questo percorso continui. «Pensa che alla mia età potrò mai trovare lavoro nel settore privato da cui sono uscita?» chiede mentre racconta la sua storia. «Questi tirocini ci hanno dato la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro da cui eravamo stati espulsi e di darci la dignità di alzarci la mattina, svolgere il nostro lavoro e sapere che potevamo ancora contribuire alla società».

I tirocini in questione sono partiti nel 2010, prima in Lazio, poi nella maggior parte delle regioni d’Italia. «Erano tutti finanziati con fondi europei mirati al reinserimento di lavoratori cassintegrati, in mobilità o in disoccupazione. Poi nella legge di stabilità 2013 il ministero della Giustizia ha deciso di utilizzare queste risorse ormai formate per cercare di rimediare alle gravi carenze di organico. Così la pubblica amministrazione ha fatto un prosieguo di questi tirocini, tant’è che la prima proroga con la titolarità del ministero ha avuto la denominazione di “completamento del tirocinio”».

E in questa stessa legge di stabilità sono state trovate anche le risorse: 7,5 milioni di euro in quella per il 2013 addirittura raddoppiati in quella per il 2014. Non tutti i soldi di questa seconda tranche sono però risultati disponibili. «Con i primi 7,5 milioni abbiamo completato 230 ore di tirocinio concluse entro il 30 settembre 2014. Nel frattempo il ministro Orlando a maggio ha firmato un decreto per stanziare gli ulteriori 7,5 milioni a completamento dei 15 previsti nella legge di stabilità. Soldi che andavano spesi  entro l’anno. Pensavamo che, terminato il primo blocco, di lì a pochi giorni saremmo rientrati per il secondo. Invece le risorse sembravano sparite e dopo varie manifestazioni per sollecitare il recupero delle somme stanziate, di cui una anche a Montecitorio, hanno recuperato un milione e mezzo di euro dal fondo per l’emergenza. Così abbiamo svolto altre 70 ore. È stato un contentino, che ancora deve esserci pagato» dice amaramente l’ex tirocinante.

Ciò che fa riflettere è anche il nome di volta in volta dato al tirocinio: «Siamo partiti con un formativo, abbiamo proseguito con il completamento per poi passare al perfezionamento» riassume Patrizia Carere. Una modalità non troppo velata che mostra come sia stato necessario dare di volta in volta una nuova definizione a questa forma atipica, perchè non fosse troppo evidente lo sforamento dei limiti di durata fissati dalla legge.

Oggi i tirocinanti sono fermi, ma solo perché 6 milioni previsti nella legge di stabilità
necessari per concludere il percorso non sono ancora stati stanziati. «Sono dovuti intervenire con il decreto mille proroghe per far slittare la scadenza dal 31 dicembre al 28 febbraio. Oggi, però, ancora tutto tace e siamo a casa, in attesa. La cosa però più strana è che dal decreto mille proroghe sembra ci regalino qualcosa, ma in realtà ci restituiscono quello che ci spetta, che era stato stabilito e stanziato. Abbiamo svolto in questi anni un lavoro vero e proprio, camuffato con il nome di tirocinio. Abbiamo acquisito delle competenze e professionalità che non sono spendibili se non all’interno degli uffici giudiziari. È una formazione specifica, che non potremo mettere nel curriculum per cercare lavoro da qualche altra parte, per cui sono stati utilizzati anche fondi europei, e si rischia di perdere tutto» osserva la ex tirocinante.

Non sarebbe la prima volta che fondi comunitari vengono utilizzati in modo improprio: per questo Patrizia, in qualità di coordinatrice del Progetto Europa per l’Unione precari giustizia – comitato spontaneo che raggruppa tirocinanti di tutta Italia – sta studiando da tempo tutti i bandi degli enti locali per controllare le finalità e l’uso corretto dei fondi europei per le politiche attive. Questione che è anche al centro di una interrogazione presentata da Laura Ferrara del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo il 10 dicembre. In questo documento si chiede all’Europa se è a conoscenza dell’uso improprio in Calabria dei fondi stanziati per l’obiettivo Convergenza – che dovrebbero essere destinati a migliorare le condizioni per la crescita e l’occupazione e creare posti di lavoro finanziando interventi di politica attiva – che in questo caso non hanno mai prodotto un’offerta reale di occupazione.

Ma che un tirocinio in un Tribunale difficilmente potesse trasformarsi in una vera opportunità occupazionale non era in un certo senso facile da prevedere? Tutta la platea di disoccupati coinvolti in questo progetto non avrebbe potuto rifiutare questa proposta, o quantomeno le proroghe? «La prima cosa da fare, quando sei iscritto negli elenchi dei lavoratori in mobilità per avere diritto agli ammortizzatori sociali, è dare la disponibilità e se il centro per l’impiego ti chiama, sei obbligato ad accettare per non essere cancellato dalle liste» ribatte la Carere. «Ho 55 anni e sono stata obbligata a partecipare, non sono andata a cercare questo programma. È stato un percorso obbligatorio che si è rivelato per gli uffici giudiziari utile e produttivo tanto che si è pensato di sfruttarlo al massimo».

Che il lavoro di questi tirocinanti sia stato utile per i palazzi di giustizia è testimoniato anche dagli appoggi dati a loro favore da molti presidenti di procure e corti di appello, a cominciare dal primo presidente di Cassazione, Santacroce. Eppure, nonostante queste figure siano state preziose per lo smaltimento dell’arretrato
in situazioni in cui negli archivi non c’è più posto per un documento e le cartelle vengono abbandonate nei corridoi la posizione del ministero su come si intenda procedere non è chiara. Il ministro della giustizia Orlando «all’inizio ha fatto molte promesse, poi si è reso conto della difficoltà di reperire le risorse economiche e ha cominciato a tenersi sul vago». Diversi partiti politici hanno presentato emendamenti alla legge di stabilità per il 2015, ma sono stati tutti respinti. «Resta il mille proroghe che ha al momento solo slittato la data di scadenza».

Nel frattempo a dicembre i quasi 3mila tirocinanti sono stati richiamati per fare altre 70 ore: anche Patrizia Carere le ha fatte, e alla Repubblica degli Stagisti racconta di aver trovato nei tribunali la stessa situazione lasciata a luglio, con gravi rallentamenti di tutte le procedure dovuti alla mancanza di personale. Cosa che non stupisce, visto che negli uffici giudiziari c’è un vuoto di organico accertato di 9mila persone. «Certo, è giusto che nella pubblica amministrazione si acceda solo tramite concorso, noi non cerchiamo scappatoie, ma che almeno nel frattempo il governo ci riconosca i titoli per i quali siamo stati formati. Altrimenti come si pensa di mandare avanti la macchina della giustizia in questo modo?»

La richiesta dell’Unione precari giustizia
a questo punto è di ottenere non più proroghe dello stage bensì un contratto a tempo determinato di un anno, in attesa che venga indetto un concorso. «Siamo a reddito zero, nel 2014 abbiamo percepito 2.300 euro lordi, pari a 230 ore di servizio. Se un italiano su quattro è a rischio povertà, noi ci siamo già» osserva la ex tirocinante. Che come tanti nella sua stessa situazione si chiede anche come sia possibile che siano state attivate delle politiche finalizzate al reinserimento di lavoratori cassintegrati o in mobilità che poi, di fatto, non sono sfociate in un lavoro e che anzi, hanno incrementato il bacino dei tirocinanti, creando una nuova forma di sfruttamento. E al danno si aggiunge la beffa di ritrovarsi, tra una decina d'anni al momento di andare in pensione, con un grosso buco contributivo: «Ai fini pensionistici questi quattro anni non sono serviti a nulla». Perché lo stage non è un contratto di lavoro, e dunque non prevede il versamento di contributi. Forse avrebbero dovuto pensarci anni fa, i decisori delle politiche attive destinate ai disoccupati e cassintegrati, prima di intrappolare Patrizia Carere e altri 2800 come lei in "stage" lunghi quattro anni negli uffici giudiziari.

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